domenica 10 maggio 2020

Il pullman


Il dubbio è che il posto occupato sul pullman nella gita scolastica delle medie – dove abitavo io le mete più frequentate erano Venezia e Verona, se non c'erano soldi si ripiegava su Bergamo – quel posto continui a riflettersi in tutto ciò che facciamo in seguito. Un’intuizione che ho avuto mentre stavo passandomi il filo interdentale.
Mi viene in mente un famoso conduttore televisivo, ha la barbetta grigia e il naso pronunciato e al termine del suo programma di interviste fa salire sulla scrivania una piccola comica irriverente, con accento piemontese inizia a sbertucciarlo per tutto il tempo. È evidente che il presentatore, sul pullman, da ragazzino, non aveva ancora la barbetta ma il naso era già abbastanza pronunciato, doveva occupare una posizione intermedia, dove alunni dai risultati scolastici ugualmente medi conversavano di calcio e motori col vicino, maschi con maschi e femmine con femmine. L’unica differenza, ai tempi miei, stava nell’argomento dei discorsi, che per le femmine smetteva di essere Cuccureddu e la Lancia Stratos di Munari e Mannucci per volgersi a Miguel Bosè, Kabir Bedi, qualsiasi attore o cantante andava bene, purché bello.
Della comica piccola e irriverente si avrà invece memoria alla penultima fila, in cui, sempre a cavallo degli anni ottanta, la voce dei discorsi cominciava a farsi alta, si ascoltava musica sui mangiacassette gracchianti o, meglio ancora, la si cantava a squarciagola (Battisti, più che altro), senza però avventurarsi negli ultimissimi posti a divanetto, che erano tutto uno scambio concitato di Marlboro accese di nascosto e birrette prese all'Autogrill e battutacce grevi e toccatine fugaci alle compagne ripetenti, le quali lasciavano fare fingendo di schermirsi. Roba che solo a ricordarlo si rischia di essere incriminati per molestie sessuali. Quello comunque era il mio posto, per la cronaca. Preadolescenti tra cui, nella migliore delle ipotesi, uscirà qualche pugile rimasto eterna promessa, spacciatore di cocaina o amministratore delegato di una società con sede alle Cayman, che poi è lo stesso.
La prima fila, già lo sappiamo, è quella dei secchioni e più ancora delle secchione, approfittavano dei tempi morti del viaggio per ripassare tra loro il programma scolastico e appuntarsi i monumenti da vedere, oppure commentare quelli già visti nel caso il viaggio fosse di ritorno. E sono gli stessi che ritrovi in banca quando vai a richiedere un mutuo  mi dispiace signor Hauser, oggi la dottoressa è molto presa, ripassi un'altra volta , oppure sono divenuti responsabili del marketing, dentisti, qualcuno è avvocato e perfino magistrato. Non certo cassieri dell'Esselunga, rivedervi lì dopo trent'anni mentre rovesci sul nastro scorrevole la scamorza: ma tu sei la Rizzati, Rizzuti... sì, scusa, Rizzotto, o dal gommista al cambio primaverile delle gomme neve. Lì è ancora ultima fila, sangue del mio sangue.
Ma già dalla fila successiva, seconda o terza fila, c'era sempre qualcuno che non trafficava con il vicino di posto, di solito era una ragazza con gli occhiali dalla montatura in celluloide trasparente e le trecce, per tutto il tempo guardava dal finestrino. Muta. Solo paesaggio in movimento, che si rifletteva nel doppio filtro degli occhiali e del vetro del pullman, senza mai trovare una collocazione definitiva e così alimentando l'attenzione. Ed è quella che, divenuta adulta e poi madre e infine nonna, regala alle nipotine libri che riproducono tramonti, fiori appena sbocciati, delfini, senza aggiungere al dono alcun biglietto di commento. Pura manifestazione.
Mi piacerebbe entrare ogni tanto tra i suoi pensieri, rivedere il film che scorre dal finestrino del pullman Sondrio-Venezia e poi Venezia-Sondrio, sempre zitta, alberi e nuvole e gente che esce da una gelateria con enormi coni fragola e pistacchio, sapere se il fetore delle nostre Marlboro le fosse arrivato alle narici, disturbando la sfilata del mondo nel suo sguardo concentrato, quasi rapito. Lo dico senza alcuna ironia, è vera ammirazione.
Lo stesso non posso dire di un’altra tipologia femminile. Di solito si trattava della più brava della classe, e non contenta era anche carina, socialmente impegnata, ecosolidale. Non sempre ricca, ma di certo mai povera. Per tutto il viaggio ronzava accanto al giovane prof di lettere, snocciolando, a memoria, interi passi de I promessi sposi per mostrargli quando fosse sensibile al richiamo delle Muse; per ricordargli quanto fosse bella bastava invece il modo con cui si lisciava di continuo i capelli, mentre lo guardava dritto negli occhi.
Mi è parso di ritrovarla questa mattina, sì, era proprio lei, adesso è diventata un'acclamata critica letteraria, ha scritto anche qualche romanzo. Sperimentale, come si dice, perché “la lingua è tutto”. Non lo sai che la lingua è tutto? Vai sulla sua pagina Facebook e poi lo capisci, è lì che l'ho trovata. Non era lei ma è sempre lei, poco importa chi fosse davvero, si cambia faccia e nome per rimanere uguali a sé stessi, come direbbe un altro autore che le farebbe storcere il naso, troppo semplice e folcloristico.
Bella è ancora bella, naturalmente. E intelligente. Tanto che risponde, sempre su Facebook, solo ai commenti di chi è intelligente quasi quanto lei; un’intelligenza che deduce dallo status sociale, dunque solo scrittori e intellettuali al pari suo, ammesso e non concesso che ci possano essere. Non c’è pericolo che venga incluso qualcuno della penultima e tanto meno dell'ultima fila. Una proscrizione che non è neppure necessario pronunciare, quelli come me capiscono subito che non c'è trippa per gatti.
Ma è rassicurante scoprire che almeno qualcosa rimane fedele nel tempo, non casca insieme ai capelli dalle tempie, resiste alle carie e ai crocefissi baciati da Salvini, quando quell'infinita gita turistica che è la vita prende la strada del ritorno. Mi stavi sul cazzo allora, ragazzina che ronzavi attorno al giovane prof di lettere, e mi stai sul cazzo ora.   

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