Nei giorni scorsi ho scritto un intervento in cui provavo a
mostrare, dietro le posizioni di alcuni virologi ormai in palese
conflitto tra di loro, altrettante ipoteche politiche, che io trovo legittime in quanto
espressione di un sentire diverso, a sua volta premessa di scelte diverse in materia di profilassi sanitaria. Destra e sinistra, semplificando. Bassetti e Galli, per
non rimanere sul generico.
La nuova destra liberista ha maggiormente a cuore le libertà dell'individuo (tra cui quella di ammalarsi), mentre prevale, anzi e come vedremo in seguito dovrebbe prevalere a sinistra la tutela della collettività, di cui fanno parte anche le persone più esposte a un decorso fatale della malattia, e cioè i fragili e gli anziani – oggi 983 morti, per la cronaca.
Riconosciuta la legittimità culturale di
entrambe le posizioni (che si equivalgono sul piano filosofico, non certo su
quello etico), ma anche la profonda differenza interpretativa e perfino
affettiva che le sostiene, viene il sospetto che il continuo richiamo
all'immediata ripresa della didattica in presenza da parte di molti
intellettuali e scrittori e giornalisti di sinistra, sia in realtà frutto di
una mentalità di destra. Ma non destra per modo di dire: destra destra.
Fate tornare a scuola mio figlio è
infatti il refrain ripetuto un po' ovunque, non traumatizzate mio nipote e i
suoi giovani amici, costretti a un'overdose di PlayStation e a quella roba
astrusa che è la didattica a distanza, DAD, sarà mica l’equivalente inglese di
papà...? Cazzo mi frega – sotto testo – se poi qualche anziano ci lascia le penne,
anzi già che ci siamo apriamo pure cinema e teatri, senza dimenticare le sale
da concerto: perché essere di sinistra fa tutt'uno con la cultura; un tempo la
si scriveva con la kappa, come Kossiga.
Libertà dunque, proprio come a destra,
di godere dei piaceri della propria parte, nella totale indifferenza a un tutto
umano che viene percepito come astratto – certo, i piaceri saranno magari
diversi: a destra la settimana bianca a Cortina, l'happy hour, il trenino in
discoteca sulle note di Disco Samba, mentre a sinistra è un quartetto di jazz
scandinavo o una lezione su Svetonio. E anche quando si parla di diritto, nella
pseudo sinistra che rivendica con gli occhialini da lettura in pugno
l'istruzione in presenza, è diritto dell'in-dividuo, l'habeas corpus del professore: qui, ora, davanti a me, poco
importa se magari ha sessantacinque anni e si caga sotto per il rischio che
corre.
Lo ricordava ieri sera Luciano Gattinoni, professore emerito all'Univetsità di Göttingen, ospite nella trasmissione di Bianca Berlinguer. L’apertura delle scuole non va intesa come un punctum, e piuttosto un processo che include momenti diversi ma collegati, che vanno dall'uscita di casa la mattina al rientro con i mezzi pubblici, senza scordare la disposizione all'intimità fisica che manifestano taluni popoli rispetto ad altri; e al netto della pandemia, preferisco di gran lunga la prossemica italica a quella, mettiamo, giapponese.
Ha così poco senso parlare di focolai scolastici la cui
incidenza sarebbe particolarmente bassa, la ministra Azzolina ha fatto di tale non evidenza un mantra, quando la processualità aggregata a cui è più corretto riferirsi (chiamiamolo sistema-scuole-aperte) rappresenta il secondo fattore quantitativo nella diffusione del contagio, dopo grandi eventi collettivi come maxi concerti e partite di calcio. E questi sono al contrario dati certi, offerti dal Comitato Tecnico Scientifico.
Eppure, c'è chi continua a volerli ignorare, richiamandosi al diritto costituzionale all'istruzione; nel quale non
viene però specificata la modalità, la forma concreta con cui deve avvenire il
trasferimento dei saperi, e ancora più importante la formazione del futuro
cittadino. Viene così un sospetto ulteriore: che quel diritto sia un diritto a
godere della propria immagine riflessa in chi lo reclama, da rintracciare nello
specchio dell'abitudine, della pigrizia intellettuale, se non diritto a un
godimento tout court; ed è la "jouissance" di cui parlava Lacan, il
quale aveva smascherato la falsa coscienza che si celava dietro ai movimenti
del maggio francese.
Forse è allora arrivato il momento, caro
scrittore e intellettuale e giornalista di sinistra, che qualcuno te lo dica,
come Pasolini lo disse agli studenti di Valle Giulia. Sì, anche tu non mi
piaci, allo stesso modo per cui al grande poeta e regista non piacevano i figli
di papà con i capelli lunghi e l'espressione "paurosa, incerta, disperata (benissimo)
ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative
piccoloborghesi, amici." Ad esempio, quando la mano che aveva appena scagliato
il sampietrino veniva nascosta dentro i tasconi dell'Eskimo.
Una vecchia storia superata, mi
risponderai: scrittore, giornalista, intellettuale di sinistra. Eppure gli
zombie hanno questa tendenza a ritornare. Perfino la moda, secondo i suoi
infiniti riflussi, sembra accordarsi a quel tempo di giubbini stretti stretti e
bocche spalancate, con l'unica differenza che il pronome noi sta progressivamente
riducendo di circonferenza. Ora quasi coincide con quella dell'io, a cui fare
seguire il verbo voglio.
Ma Pasolini era una forza che viene dal
passato, la sua immaginazione poetica includeva millenni, intere ere geologiche, e già aveva intuito ("io so, ma non ho le prove") la sovrapposizione
maliziosa tra individuo e mondo, l'egoismo celato dietro l'ostensione della virtù. Per
questo, adesso come allora, starebbe probabilmente con i poliziotti, con gli
infermieri, con gli anziani rimossi dal tuo sguardo avido di cultura; una volta
venivano chiamati ospizi ma adesso hanno messo Netflix e la carta igienica
all'aroma di mughetto, divenendo RSA. No, non gli piacevate e non gli sareste
piaciuti neppure ora, "buona razza non mente" e non cambia.
Solo che Pasolini si rivolgeva a
studenti di sinistra, mentre tu e tuo figlio – quanto non mi piace pure lui,
scusa se te lo dico – che con slancio epigonale reclama i suoi
diritti come i genitori, le sue libertà, mai quelle di chi crepa o anche solo tira a campare, sì voi siete diventati culturalmente antropologicamente e perfino
fisiognomicamente di destra.