mercoledì 27 marzo 2019

Mamme che rubano, a true story

Oggi ho scoperto che mia mamma, ottantuno anni compiuti, ottantadue alla fine di settembre (è nata lo stesso giorno di Bruce Springsteen), ho scoperto che ruba.
Non spesso e non si tratta forse di furti in senso tecnico, ma, ogni volta che beve un caffè in un bar, si infila in borsa le bustine dello zucchero.
Lo bevo amaro, mi ha risposto per giustificare la quantità di zucchero di cui è ormai colma la dispensa.
Ma quante bustine prendi?
Non mi ha risposto.
Una non è certamente furto. Nemmeno due o tre, già che ci sono persone che bevono il caffè con tre bustine dentro. Poi gli viene il diabete, ma questa è un'altra storia.
Si tratta insomma di una semplice dilazione temporale, mi sono detto per assolvere, innanzitutto ai miei occhi, l'inatteso comportamento di mia madre.
È come la doggie bag, ecco. Basta chiedere al cameriere. Quindi, al ristorante, gli avanzi nel piatto vengono impacchettati con cura, e li puoi portare a casa e mangiare il giorno dopo. La destinazione canina, si sa, è solo un velo pietoso.
In ogni caso è tutta roba già pagata, come le bustine di zucchero che mia madre infila in borsa, aspetta che il barista sia girato verso la macchina del caffè e poi... zac!
Ma se mia madre trattenesse quattro bustine...?
In tal caso, la quarta bustina non sarebbe inclusa nel prezzo del caffè. Quello è proprio un furto bello e buono! E dal momento che il furto è un reato penale, il Codice prevedrà sicuramente un corrispettivo in anni di detenzione.
Dovrei chiedere a un avvocato: mamme che rubano lo zucchero al bar, quanto fa?
Di certo, a San Vittore, non le porterei lo zucchero, in quei pomeriggi piovosi in cui andrei a trovarla. Lei che compare dietro le sbarre con un camicione a strisce; le righe orizzontali ingrassano, sono convinto che così commenterebbe la situazione. Non potresti farmene avere uno zebrato?
E stiamo sempre parlando di mia mamma.
Ma qualcosa mi dice che la sua carriera criminale non sarebbe finita lì...
Secondo me, riuscirebbe a sgraffignare pure qualche arancia, giustificandosi col secondino: Ne ho prese due, sì, confesso. Ma solo perché la mia compagna di cella è allergica, e non le mangia.

martedì 26 marzo 2019

Can che abbaia non morde, ma uomo che abbaia non fa

Ieri pomeriggio ho assistito a una feroce zuffa tra cani. Per essere più precisi, si trattava dell'epilogo e un solo cane, un Rottweiler, aveva aggredito l'altro, un cucciolone di Labrador che stava ora rincucciato a ridosso di una recinzione divelta, a poche decine di metri dalla stazione ferroviaria di Bovisa, a Milano.
Quando sono arrivato erano già presenti larghe chiazze di sangue sul marciapiede, e, china sul corpo tremante dell'animale, la giovane proprietaria cercava di tranquillizzarlo, apparendo però la più scioccata tra i due. Intanto, gli studenti del Politecnico sciamavano su via Andreoli con le felpe annodate in vita, sbocconcellando pizzette e merendine. 
A offrire un qualche aiuto c'era solo un trentenne con una barbetta rada e scura, la faccia tonda e gli abiti del colore della barba. Accostatomi e provando a rendermi utile anch’io – possiedo un cane, so cosa si prova in quei momenti –, ho cominciato a cercare i riferimenti di veterinari in zona, mentre lui tranquillizzava la ragazza. Ho visto tutto, le diceva con voce ferma, posso testimoniare. Abito qui dietro e so chi è il proprietario del Rottweiler, che nel frattempo se l'era svignata. Vedrai che andrà tutto bene, ha aggiunto sovrastato dal guaito del Labrador, che continuava a leccarsi una profonda ferita sulla zampa anteriore. 
Finalmente, con lo smartphone, ho trovato uno studio veterinario a poche centinaia di metri di distanza, l'orario di apertura era imminente. Le cose sembravano recuperare un qualche ordine, certo imperfetto, quel che si dice metterci una pezza, quando è arrivato un altro uomo. L’abbigliamento casual ma curato, occhialini dalla montatura in metallo sottile, da cui saettavano occhi azzurrissimi che rimandavano però a un altro senso: l'olfatto. Quello di un aftershave alla lavanda, con cui doveva essersi cosparso senza fare economia. 
Evitando di chiedere informazioni, l'uomo, intuito l'accaduto e come preso dalla smania di imprimere il suo sigillo, ha telefonato alla polizia, perché è la polizia che in questi casi va chiamata. E che cavolo: la legge prima di tutto!
Questi non devono però avergli dato molte soddisfazioni, e così ha iniziato a inveire. Dapprima, genericamente, contro i cani liberi e feroci ("è uno scandalo, se ci fosse stato nei paraggi un bambino!") e quindi anche contro di me e il ragazzo con la barba, che stava ancora offrendo il suo conforto, per quanto con mezzi limitati e senza proclami universali. Ma in alcuni casi, basta la presenza.
Nella sua prospettiva dovevamo però apparire troppo tiepidi, forse addirittura complici: ci mancava il sacro fuoco di Giustizia e Verità, e ciò faceva automaticamente di noi dei disertori dall'esercito del Bene, di cui lui era come minimo capitano, non mi stupirei perfino colonnello.
Fortunatamente tutto si è poi risolto. L'emorragia del cane si è arrestata, ma è stato comunque portato dal veterinario, dove avrà ricevuto le cure del caso, come concludono i loro articoli i cronisti di nera. Anche il proprietario del Rottweiler è stato ritrovato, e, con intonazione da legal thriller, ha dichiarato subito: "Ho l'assicurazione, tranquilli, il cane è assicurato!"
Ritornando a Sondrio in auto ripensavo all'accaduto, in particolare all'uomo dagli occhi azzurri, che mi sembrava di conoscere da sempre. Magari con altre facce, altri travestimenti, ma c'è ogni volta qualcuno che se la prende con chi prova a fare, non importa cosa: quel gesto sarà sempre inadeguato, grossolano. Mentre la soluzione, offerta in forma rigorosamente teorica, assertiva, è tanto più incontestabile quando restituita nella dimensione geometrica e rarefatta dell'idea. L'importante non è infatti il risultato, ma avere ragione. Quella particolare forma di ragione che consiste nel sentirsi dalla parte giusta della storia.

(Ps - Qualcuno si ricorda di un certo Bertinotti? Ecco, avessi assistito prima alla zuffa dei cani, avrei compreso la sua politica. E magari evitato di votarlo.)

domenica 24 marzo 2019

La risacca dell'onda, o su come cambiano, nel tempo, uomini e donne

Uomini e donne. Se questo è il mare e limitandosi alla schiuma dell'onda, la premessa è doverosa, alla schiuma e alla leggera risacca che ogni vita compie allo scavallare della sua pienezza, sarebbe interessante surfare sulla superficie biografica senza alcuna rivendicazione o giudizio. Proviamoci, allora. 
Ad esempio registrando l'evoluzione pubblica della personalità, il modo, nel tempo, in cui generi diversi cambiano atteggiamento, perfino come si guida l'auto nel traffico dell'ora di punta (corna dal finestrino, strombazzate), e dall'insieme di questi tasselli ricomporre un puzzle che vede gli uomini partire malissimo, ma un poco recuperare nella fase declinante della vita; dai cinquant'anni in poi, via.
Per le donne, ma lo dico sottovoce e con mille cautele, ho il sospetto che avvenga invece una torsione di segno opposto: da agnello a lupo, e con tutti i limiti e l'ironia delle generalizzazioni sommarie, in effetti molto sommarie. 
Eppure è esperienza comune quella del ventenne che impenna e poi ti taglia la strada con lo scooter – io almeno l'ho fatto, a suo tempo – o che assume pose un po' smargiasse; una volta erano le Marlboro avvoltolate nella spallina della t-shirt, ora il rapper che si sfiora insistentemente il pacco. Ma se ti soffiano il posto in coda all'Esselunga, difficile sia una ragazzina e con maggior probabilità una donna matura, a volte anche un uomo, certo, ma più spesso una donna che con occhi affilati risponde al tuo sguardo di rimprovero: "Embè?"
Riflettendoci, mi è venuto il dubbio che a metterci lo zampino sia la biologia...
Non che sia un esperto della materia, ma, nella competizione riproduttiva, l'aggressività è funzionale al genere maschile, serve a sconfiggere gli avversari e guadagnare lo scettro di maschio alpha. Ci pensa allora il sistema endocrino, spillando testosterone a getto continuo. A giochi fatti, può però stemperarsi in placido rincoglionimento, con cui guardare agli operai intenti a sistemare un tombino che gorgoglia, gli occhi umidi e spalancati del bimbo di fronte alle evoluzioni dei trapezisti. 
Resta da capire in che modo vecchi signori con la panciera del Dr. Gibaud,
 sempre più docili e miti a ogni foglio di calendario che casca, trasferiscano i canini aguzzi alle coetanee, come la dentiera da Dracula che ci si passava a carnevale di bocca in bocca, e utilizzata al rientro da scuola per spaventare la mamma. Buu!
Lei naturalmente non diceva nulla, fingeva persino trasalimento, in quegli infiniti pomeriggi era come le mamme della pubblicità, e ti perdonava con un sorriso. O forse eri tu a non vedere che già soffiava il posto alle altre mamme in coda...

martedì 19 marzo 2019

Sogno di notte n° 5

Ieri notte ho sognato che andavo dal dottore. Un dottore alto, atletico, più che un medico sembrava un giocatore di rugby, con un barbone scuro da hipster. Mi fa male la pancia, dottore.
Insieme a me c'era anche mio padre, ma ancora giovane e scattante. Era invece vecchio l'ospedale in cui stavamo. Ricordava quello in cui King Vidor ambienta le scene della convalescenza in Addio alle armi; dal finestrone in fondo non si intravedevano però le guglie del Duomo, ma un lembo di mare in tempesta.
Mmm ha bofonchiato il rugbista dopo avermi tastato con attenzione, il suo è un caso davvero interessante. Un caso interessante...? ho risposto io con un filo di voce. La prego dottore, si spieghi!
Ma, invece di parlare, lui ha fatto un cenno all'infermiera, che è corsa a preparare un letto. Da sopra la struttura in tubi di metallo lucido, appeso a un filo, no, guardo meglio, è un tubicino di plastica trasparente, pendeva qualcosa.
Non ci ho messo molto a capire che si trattava della mascherina per l’ossigeno, ma a me continuava a sembrare uno di quei leoncini di peluche che vendono negli Autogrill, addobbati con la divisa delle squadre di calcio. Mi sono sempre chiesto chi fosse ad acquistarli per poi appenderli allo specchietto retrovisore dell'auto... Il vento che filtrava dalla finestra socchiusa faceva oscillare dolcemente il leoncino, portando sentori salmastri.
Manca poco, ha detto finalmente l'uomo. Se in quei momenti dovesse sentire mancare le forze, respiri lì dentro, respiri come se i suoi polmoni fossero un palloncino da gonfiare. L'aiuterà. Guardi come fa la donna alle sue spalle.
Mi sono girato. I
l locale era molto grande e con il soffitto a volta, ma i letti erano radi e disposti senza un ordine comprensibile, restituendo un senso di disordine e precarietà. Distesa su uno di questi, alla distanza a cui si tiene il cane dal gregge, una figurina esile si contorceva squassata dagli spasimi. Per calmarla, una diversa infermiera le carezzava i lunghi capelli sciolti sul cuscino, offrendole un fazzoletto attorcigliato. Morda pure, quando aumentano le contrazioni.
Ma quella donna sta... 
Sì, sta partorendo. Mi stupisco di lei: non l'aveva ancora capito? Non è frequente, ma ogni tanto succede anche agli uomini. Solo che, per noi, è come fare la cacca. 
Poi non so come va finire, perché mi sono svegliato.

domenica 17 marzo 2019

Hateresse

Una breve riflessione sul fenomeno degli hater, o, meglio, delle “hateresse”, se mi si passa il neologismo maccheronico.
Ma scriviamo solo di cose che si sono sperimentate, come suggeriva Hemingway. Ieri, nello spazio dei commenti al post di un mio contatto Facebook, una donna di una cinquantina di anni circa, forse qualcuno in più, mi ha dedicato quanto segue:
”Guido Hauser, ma allora non era un episodio isolato il tuo (in passato già ci eravamo presi male), sei davvero un complessato, un morto di figa e a quanto mi dicono anche un morto di fame. Invece di sfarinare i coglioni su fb con le tue tendenze suicide, perché non passi direttamente ai fatti?”
Prima di ragionarci sopra, però una premessa: non cerco solidarietà, e devo confessare che le sue parole seguono alla mia dichiarazione – per altro ampiamente confermata da questa digrignante invettiva – che la suddetta fosse una cretina.
Ora che una cretina, toccata nel vivo della sua specializzazione cognitiva, per così dire, risponda scompostamente, ci sta. Con i suoi limitati mezzi linguistici e intellettuali prova quindi a ribaltare la prospettiva, come si faceva da bambini quando, a un'offesa, si rispondeva: specchio riflesso, oppure chi lo dice sa di esserlo.
Ciò che mi interessa è dunque un’altra cosa. Perché una donna, non dico tutte le donne ma davvero molte tra quelle che ho conosciuto, quando vuol ferire un uomo si aggrappa agli argomenti del più vieto maschilismo, addirittura del machismo?
Ma proviamo a collaudare il mio dubbio direttamente sul testo. “Morto di figa”, a presupposizione che un uomo di valore, un maschio alpha, abbia risorse femminili in abbondanza. Curioso, poi, che ne deduca in me l'assenza dal fatto che la tratti per la scema che in effetti è; evidentemente, la mia tecnica seduttiva consisterebbe nell'insultare le donne che voglio portarmi a letto. Una strategia non proprio furba…
Almeno in questo c’è però coerenza: se invece che rose e serenate notturne offro epiteti offensivi, per forza che sono morto. Di figa.
Ma sarei morto anche di fame, a implicare, nuovamente, l’abbondanza quale valore maschile universalmente attestato; nel caso specifico, difetterei di risorse economiche, per non dire di oggetti di lusso quali orologi Rolex e auto Porche e vestiti firmati dal primo gonzo con gli occhi bistrati, purché molto costosi. Un morto di fame, insomma, ha già detto tutto lei.
Va quindi aggiunto il capolavoro di comicità involontaria, quel “mi dicono” che risuona come se avesse una gola profonda a tenerla informata su ogni mia mossa; e sia chiaro che nella vita privata non ci conosciamo, forse ha fatto addirittura mettere delle microspie, un detective mi pedina per poi relazionarla sui prelievi bancomat.
E per finire l’ultima delle tre morti che mi augura, quella per suicidio, che è forse l’unica parte autentica nel suo delirio, la mia effettiva fascinazione per il gesto ultimo e per chi lo compie. Ma anche qui, denotando una qualità tradizionalmente maschile: l’idea che le offese si lavino con il sangue, la nemesi deve essere quella della spada, anche quando auto inflitta.

Ricapitolando. Abbiamo una donna quasi certamente in menopausa – condizione comune e naturale, lo dico senza alcun giudizio svalutativo – e sul cui aspetto fisico eviterò come giusto di esprimermi (in questo caso, il giudizio ci sarebbe…) che riversa tutta la sua bile nella celebrazione implicita di un maschio ricco, conquistatore, pieno di forza, salute e giovani e bellissime donne ai suoi piedi. L'equivalente astratto di Fabrizio Corona, in pratica. 
Ma in tutto ciò, mi chiedo, non sarà presente uno sfondo masochistico, anche se forse inconsapevole?
Quell’uomo da lei idealizzato, quel Fabrizio Corona di turno che ai suoi occhi io non sono (e ha probabilmente ragione, per inciso), non restituirà infatti mai attenzione a una donna con le sue caratteristiche, probabilmente e perfino se ne burlerebbe con gli amici, sfoderando termini di uguale volgarità.
Come nella canzone di De Andrè, sta allora onorando la madre ma soprattutto il padre, sta onorando il suo bastone, che solo illusoriamente abbatte su di me con strali scomposti: mi punisce per non essere abbastanza punitivo, oltre che cretina avrebbe forse voluto sentirsi dare altri titoli, magari a sfondo sessuale (puttana, troia etc.) che da donna la riportassero alla misura di femmina, in un percorso di perfetta normalizzazione a cui l'intera querelle in fondo allude. 
A prevalere è così un sentimento di squallore e tristezza, che mi deriva dal costatare come alcune donne continuino a essere le principali nemiche di sé stesse. Specie quando non troppo intelligenti, per usare quell’eufemismo che avrei forse dovuto utilizzare dall’inizio.

sabato 16 marzo 2019

Il re è nudo. O sulle risposte sbagliate alle domande giuste


Greta Thunberg. In suo nome, la scorsa settimana, Milano si è quasi fermata. Ma non è accaduto solo nella città in un cui risiedo, la sedicenne svedese sta monopolizzando l'attenzione del mondo intero.
C'è da dire che anche le sue parole in favore dell'ambiente, i gesti simbolici, la muta testimonianza di fronte Riksdag di Stoccolma, hanno il mondo quale interlocutore. Tutto il mondo. Lei gli si rivolge direttamente e senza alcuna soggezione – gli occhi negli occhi, ammesso che il mondo abbia occhi come quelli che Méliès disegnava alla luna –, richiamando alla mente Giobbe nelle sue conversazioni zuffa con Dio.
Più che lo specifico contenuto di ciò che dice, di cui ho una competenza troppo vaga per esprimere un giudizio, vorrei provare a sviluppare un breve ragionamento a partire dalle reazioni al suo appello. Sia sui media tradizionali sia sui social network, mi sembra che possano essere suddivise in due macro categorie:
1) gli entusiasti, che portano a sostegno il candore della giovane pasionaria ecologista, la persona insomma, o meglio ancora il personaggio quasi favolistico, una specie di elfo nordico o Giovanna d'Arco della biosfera, con un impermeabilino giallo come unica armatura;
2) i cinici detrattori, i quali usano invece logori slogan di discredito, del tipo:  “pura retorica terzomondista”; “una perorazione ingenua ed emotiva”; "i soliti discorsi buonisti". In tal mondo vengono però fatte le pulci alla forma (“ricattatoria”, viene aggiunto) con cui la sua voce si propaga ovunque con la forza di un vento di tramontana. Una critica stilistica, insomma, quasi letteraria.
In entrambi i casi, i commenti mi sembrano comunque possedere alcuni elementi di verità. E’ vero, Greta Thunberg ricorda un personaggio fiabesco, emoziona, accende gli animi, ma le sue analisi non possiedono, di necessità, il rigore analitico di uno studioso di scienze ambientali, e sono nel loro slancio etico un po' sommarie. Questa essenzialità sentimentale ne rappresenta però anche la forza espressiva, come il bambino quando afferma che il re è nudo, e poco importa se si trattava invece del principe ereditario o del gran ciambellano di corte. A una sedicenne si può perdonare di muoversi un poco a spanne. 
In ogni caso, entrambe le fazioni – parlo sempre di tendenze generali, non di casi specifici – mi sembra si stiano concentrando sul dito, non sulla luna da essa indicata, che è forse ancora quella con gli occhioni spalancati in cui il razzo di Méliès si infilava (perché le nostre schifezze, prima o poi, raggiungeranno anche la luna, la terra è ormai una cloaca troppo piccola per gli scarti che vi depositiamo).
E’ inoltre particolarmente odiosa la chiamata in causa di presunti problemi di salute della ragazza (la sindrome di Asperger, viene detto da più parti) con l’intento di screditarne l’argomentazione. E’ infatti questo il primo e più grave degli errori logici, già riconosciuto dagli antichi che lo chiamavano argumentum ad hominen fallaccia ad personam – invece di ribattere gli argomenti che non condivido con dei contro argomenti persuasivi, colpisco, quale scorciatoia vigliacca, direttamente chi li esprime. Ad esempio: La terra è rotonda. No, la terra è piatta e Colombo un cornuto.
A me sembrerebbe invece importante restare al livello, elementare, certo, dell'interrogazione civile della ragazza, lasciando in secondo piano tutti quegli elementi personali e narrativi che ne hanno decretato il successo; le treccine da Pippi Calzelunghe, l'aria imbronciata e severa con cui viene immortalata nei suoi solitari sit in, intrapresi ogni venerdì al posto di andare a scuola. Tanto per iniziare, rispondiamo a una semplice domanda: esistono i ricchi?
Sì, i ricchi esistono, e dunque esistono anche i poveri. Ma non sarà che questa biforcazione, sempre più larga, nelle risorse, sia da mettere in qualche modo in relazione al modo in cui l’ambiente è stato accostato, quindi spremuto dagli uomini nel corso dei secoli, che ora rischiano di diventare vittime del boomerang delle loro deiezioni?
La connessione tra sperequazione economica e danni ambientali (e ciò anche quando a inquinare maggiormente siano ora i paesi più poveri, per portarsi come si dice in pari), non era così ovvia e denota acutezza di osservazione e giudizio, andando a costituire il tema cruciale sollevato dalla giovane contestatrice.
E che sia tanto graziosa oppure malata, ingenua, terzomondista, buffa, naif, che sia quel che sia a me non frega nulla. Vorrei piuttosto che chi ha le competenze per farlo le rispondesse nel merito, o, per dirla con Popper, che ne falsificasse le affermazioni, invece di irriderle o celebrarle con uguale disinvoltura.
Ma per trovare risposte giuste bisogna prima concentrarsi sulle giuste domande, senza arrestarsi all'involucro. E dunque, per piacere, qualcuno risponda a Greta con la stessa serietà che essa manifesta, a partire dall'espressione del viso. Così, ridotta ai minimi termini, la domanda che rivolge al mondo diventa: chi è il re, e dove fa la cacca?
Saremo mica tutti noi i sovrani, perlomeno noi che abbiamo gli strumenti per leggerci e commentarci, litigare dal caldo di un appartamento con vista sul web, scannarci su giornali e social network senza accorgerci di essere nudi, mentre ci caghiamo in testa a vicenda?

mercoledì 13 marzo 2019

Caramelle, o sui baci come collaudo e contabilità

Da qualche tempo mi è venuto il dubbio che le donne, specie quando ancora giovani e al netto dei sentimenti (i sentimenti arrivano dopo, in genere molto dopo), concedano i loro baci per pura curiosità.
Ma per addentrarsi nella macchina femminile – un motore in sé perfetto, che meccanici barbuti hanno cercato troppe volte di aggiustare – bisogna risalire il lungo fiume delle parole, come fanno i salmoni in Alaska. E dunque: curiosità, dal latino cura, a sua volta dalla radice ku-/kav, in probabile relazione con il sanscrito kavi, il cui significato è saggezza. Interessante, no?
I baci delle donne rappresenterebbero insomma una particolare forma di saggezza, che si traduce in uno stratagemma, decisamente empirico ma nondimeno efficace, per far esperienza dell'altro.
E sono appunto quei timidi bacetti alle prime uscite; in realtà dei sofisticatissimi collaudi degustativi, come i bambini piccoli quando assaggiano i giocattoli. Se Capitan America ha un buon sapore ci sta che poi ci gioco, altrimenti mi succhio un Lego. I più maliziosi aggiungerebbero che il bacio serve a testare la convertibilità del maschio in padre, quindi in patri-monio...
Chissà, forse avviene lo stesso anche all'altro lato della mela, ma, per i cuccioli d'uomo (e non di rado per vecchi leoni con la sciatica), il più delle volte tutto si riduce a una forma elementare di contabilità. Il libro mastro viene in seguito esibito tra simili, in quei proto consigli di amministrazione che sono gli spogliatoi: quella l'ho baciata dopo il concerto di Jovanotti, quell'altra pure, è stata la volta che pioveva è l'ho accompagnata a casa con la BMW di papà; mi manca però la sua amica, tu te la sei fatta?
È la differenza che passa tra assaggiare una caramella, rigirarla in bocca piano piano, gusto di menta e rabarbaro che si diffonde nel palato, o metterla in bocca con tutta la carta colorata sopra, per passare subito a un cioccolatino. Sempre e rigorosamente incartato!

lunedì 11 marzo 2019

Immagination

Sono sempre più frequenti le persone che, orgogliose, dichiarano di non leggere alcun giornale, o comunque tenersi informate su ciò che accade oltre la porta di casa; una bella porta blindata in rovere, con molteplici giri del chiavistello.
La realtà è infatti quella che lievita nel pensiero, ti dicono con un sorrisetto di superiorità stampato sulla bocca (loro sanno, tu ancora brancoli nel buio aggrappandoti alla candela che ti porge Bruno Vespa), pensiero che si manifesta poi in azioni e oggetti concreti.
Esercitare il proprio diritto alla disinformazione, se ho capito bene, sarebbe dunque un modo per non essere condizionati nel potere immaginale che essi si assegnano, in una sorta di mito platonico ribaltato: sono le ombre nella caverna del pensiero la vera realtà, non le sagome che si muovono incerte alla luce del sole (e ammesso e non concesso che Salvini e Di Maio rappresentino il sole…).
Ma se la fucina degli effetti, e non lo escludo, provo a ragionare per ipotesi, è quanto pensato prima che vissuto, perché non accendere il televisore o aprire un giornale con fiducia? Le notizie che ci troverai saranno il riflesso della tua gioiosa immaginazione, un motivo in più per compiacersi di quanto si è pensato bene.
Viene allora il dubbio che l’esercito degli ignoratori consapevoli e attivi, possegga, a scapito di quanto esibito, un doppio fondo colitico e oscuro, da cui la notte cacano i demoni che vanno a infettare il mondo. O detta in altre parole: persone di merda si meritano un mondo di merda. Anche se poi praticano l’arte dello struzzo, infilando la testa nella sabbia per non vedere.
 

sabato 2 marzo 2019

Perché non sono cattolico, o sulla rimozione dei traumi

Ogni volta che mi capita di parlare di cose ultime, per così dire, con un cattolico, ho sempre delle grandi difficoltà. Credo dipenda dal fatto che la religione cattolica non è propriamente una religione, ma, al suo meglio, tre cose distinte e un po’ forzosamente tenute assieme. Una fabula morale; un'esperienza estetica (molto simile a certi esiti truculenti delle performing art contemporanee) e infine una psicologia, che con grande anticipo sulla psicanalisi, oltre a maggiore sottigliezza, adombra la presenza dell’inconscio e pratiche efficaci per superare i traumi, ossia i peccati.
Ricordo lo stupore nella scoperta del lungo viaggio del concetto peccato. Prima dell'approdo linguistico attuale che discende dal latino peccatum, a indicare l'infrazione di una norma (lasciare l'auto in divieto di sosta è dunque un peccatum), la parola greca utilizzata nei vangeli è hamartia, il cui significato corrisponde a un errore nel tiro al bersaglio, mancato dalla freccia scoccata dall'arciere.
Se però risaliamo all'ebraico, con cui, come noto, sono scritti i testi veterotestamentari, con peccato è stato tradotto un termine, khedìe, il cui senso è proprio quello che nella psicologia moderna assegneremmo al trauma, ossia un blocco causato da gravi turbamenti. Il peccato sconta insomma una riconversione ideologica, non priva di una precisa strategia di controllo: dalla psiche alla legge.
Se volessimo sbloccare il trauma con cui le attuali traduzioni continuano a peccare di omissione, così riaccordandoci, chiedo perdono per la parolaccia, all'essenza ontologica nel Cattolicesimo Romano, più che alla teologia giudaica dovremmo guardare al pensiero antico, e in particolare a due filosofi: Platone e Aristotele.
Ma mentre la filosofia occidentale, da quel primo sfolgorante esordio, è proceduta per tentativi e generosi slanci del pensiero, i cattolici si sono aggrappati a una pietra angolare che più laica non poteva essere, dandogli forma di sentenza con cui nel medioevo tagliare la testa al toro: “ipse dixit”, l’ha detto Aristotele. Chiuso il discorso e non se ne parli più!
Molto più interessante sarà allora discutere di teologia con un ebreo, un induista, perfino un mussulmano; tutte religioni che, oltre a non avere mai avuto un’interpretazione ufficiale con cui rimuovere traumi per convertirli in peccati (il Sant Uffizio, poi divenuto, senza mutare nella sostanza, Congregazione per la Dottrina della Fede), hanno elaborato una visione del mondo originale e ricca; ma anche una visione dell’oltre mondo autenticamente metafisica, ossia ricavata dalle facoltà immaginative e non solo dalla ragione filosofica.
Discutere con i cattolici restituisce invece la sensazione, frustrante, di quanto da bambino parlavi con quelli che ripetevano a macchinetta: l’ha detto mio cugino…