domenica 27 settembre 2020

Fro...

 


Ancora sul Grande Fratello Vip, che per la prima volta sto seguendo per la presenza del mio amico Fulvio Abbate. Oltre a lui ci sta un tizio a me ignoto; si chiama, leggo, Tommaso Zorzi e fa l'influencer. Da quel che ho capito di questo tempo, un influencer non è qualcuno che influenza gli altri in una direzione per così dire edificante – quello è l'intellettuale organico, avrebbe detto Gramsci, oppure il Maestro, il santo, il guru –, ma, al contrario, chi riesce a intercettare un sentire diffuso e basso facendogli da specchio deformante, fino a trasformarlo in cultura, ovviamente pop.
    C'è dunque questo pop influencer che è dichiaratamente omosessuale. Ora l'omosessualità è essenzialmente due cose: una pratica (avere rapporti sessuali con altri uomini) e una percezione interiore, che si traduce in atteggiamento pubblico. Ossia, nuovamente, cultura.
    La cultura omosessuale ha alimentato alcune tra le personalità più rilevanti di tutti i tempi, di cui evito il catalogo per limiti di spazio. A tale cultura complessa e ricca e certamente eversiva – è in gioco la rottura di un tabù ancora più radicato dell'incesto: quello della riproduzione – la società ha reagito con un tentativo, riuscito, di normalizzazione, che passa attraverso lo scherno, la parodia, le barzellette, confluiti dentro la rappresentazione ilare degli omosessuali nelle commedie cinematografiche, come il gioco di parole "occhio fino" pronunciato da Gassman ne Il sorpasso. Ne è uscita una caricatura dell'omosessualità, in particolare maschile, a cui molti omosessuali hanno finito con l'adeguarsi (credo per pigrizia o convenienza) e di cui il concorrente del GF Vip è la sintesi macchiettistica, ricevendo il testimone da quell'altra macchietta omosessuale che è Cristiano Malgioglio; non a caso anch'egli concorrente della stessa trasmissione.
    Ciò che mi stupisce non è dunque il gesto della cultura mainstream di parodiare, per zittire, la controcultura omosessuale, ma il pressoché totale silenzio di quest'ultima, quasi l'accettazione, la condiscendenza, la resa. Da eterosessuale assai poco orgoglioso della mia condizione, mi auguro così un moto di rivolta interno da parte degli omosessuali, come quello dei commercianti siciliani nei confronti della mafia.
    Io non posso dirlo e non lo dirò, ma se sentissi un omosessuale chiamare "frocio", "finocchio", "ricchione" o, con più precisione lessicale, "checca" Tomasso Zorzi, non solo non mi indignerei ma ne sarei quasi contento. Perché saprei che non sta stigmatizzando un comportamento e neppure un sentire altro, ma la sua conversione grottesca dentro la narrazione popolare, che con quei termini volgari e squalificanti vorrebbe comprendere tutta la galassia omosessuale. Sarebbero insomma parole boomerang, partorite dal peggiore conformismo piccolo borghese che, a un altro conformismo a esso speculare, ritornano con gli interessi.
    O per dirla con le parole di un omosessuale che seppe non farsi ridurre a bomboniera kitsh, "beato chi è diverso / essendo egli diverso, / ma guai a chi è diverso / essendo egli comune".

Grande Fratello Vip, o sul matrimonio

Ieri sera ho seguito una puntata del Grande Fratello Vip. Non l'avevo mai fatto, a parte la prima edizione, quella con Pietro Taricone, il guerriero, per intenderci. Ma non c'era ancora il suffisso vip, da cui in genere mi tengo alla larga come i gatti dall'acqua

L'eccezione deriva dalla presenza di un mio amico, lo scrittore Fulvio Abbate, che non credo abbia deciso di partecipare solo per burla o soldi o narcisismo (come scritto da molti e non negato dall'interessato) ma nel più puro spirito situazionista, e in particolare di una pratica specifica inaugurata da Guy Debord: il detournement, ossia, letteralmente, deviazione, sviamento, quello di un contesto a una diversa funzione espressiva. E quale migliore occasione per provare a sviare il registro del Grande Fratello Vip, abituale contenitore di pettegolezzi glamour, corpi palestrati, emozioni pavloviane, ossia esibizione acefala e tautologica di un desiderio di visibilità in chi cerca la parte senza la fatica d'imparare l'arte.

Eppure, non solo l'intera trasmissione, come temevo, mi ha trasmesso un profondo senso di tristezza (Signorini che chiama "vipponi" una manciata di Carneadi, figli di o vecchie stelle a un passo dal trasformarsi in buchi neri), ma triste e vana è anche l'eccentrica presenza di Fulvio, che attraverso il filtro delle telecamere risulta del tutto omogeneo a quello show di cui continuamente prova, fallendo, a far deragliare il senso, un burattino tra i tanti in mano a scaltrissimi autori.

Mi è così tornata in mente una frase di Ingeborg Bachman sul matrimonio, la scrive in uno dei racconti contenuti ne Il trentesimo anno, ho ricercato il libro e la trascrivo qui: "da tempo aveva capito che il matrimonio è una condizione più forte degli individui che lo contraggono…In qualunque modo lo si viva, un matrimonio non può mai essere vissuto liberamente, mai in modo creativo, non tollera innovazioni né cambiamenti, perché contrarre un matrimonio significa accettarne la forma”.

Eh sì caro Fulvio, quel particolare matrimonio che hai contratto con il Grande Fratello Vip è tanto più forte di te; una forma che ti guida, ti determina, ti schiaccia, vanificando miseramente la tua illusione di volgere al regime della fantasia il piccolo, piccolissimo mondo di evidenza spettacolare che a ogni occasione biasimi, ma a cui non riesci a sottrarti. Ed è anche questo tipico degli amanti: odiare e amare a un tempo, come succede ai tuoi coinquilini Massimiliano Morra e Adua del Vesco.

Spero solo, da persona che ti vuole bene, che questo matrimonio finisca presto.