venerdì 30 dicembre 2022

Il dubbio e la colomba

Quando non si riesce a venire a capo di un problema, Jung suggeriva di domandare all'inconscio. Non aspettatevi una risposta come le istruzioni per montare la libreria Billy, aggiungeva Jung in ampio anticipo sull'Ikea. Il linguaggio dell'inconscio somiglia a quello dei profeti: simboli e metonimie, che di notte si srotolano per lasciare  a volte – tracce delle sue capriole al risveglio.

Perché non provarci, mi sono detto. In fondo ho provato (con scarso successo) anche a ballare il tango e fischiare con due dita in bocca  poi ho scoperto, avviene spesso con le soluzioni più semplici, che senza dita mi veniva benissimo, lunghi fischi da marmotta a superare i campi per addentrarsi fin dentro al bosco.

Il problema diventava ora udire la risposta del bosco, dopo avere scritto la mia domanda su un foglietto di carta con un pennarello color oro; mi sembrava che un elemento di cauta bizzarria potesse favorire il responso. Quindi ho posato il foglio, ben piegato, sotto il cuscino, e mi sono addormentato.

Quella notte ho sognato il mio amico Francesco Scimemi. In realtà lo siamo solamente su Facebook, non c'è mai stato un incontro, solo sfiorati in una bolgia di gattini e parole che fanno le fusa. Eppure anche così riesce a essermi molto simpatico. Di professione, fa il mago.

Io camminavo lungo una strada pedonale trapuntata di negozi, tra gli altri un panificio e un parrucchiere con il cavallino, ci vengono fatti montare i bambini più riottosi per regolargli la zazzera. Sembrava un borgo medievale ma, stranamente, nessuno in giro, quando lo intravedo dietro una vetrina. Massì, è proprio lui: il mago!

Sorride, sorride sempre, anche su Facebook, e intanto mi saluta con la mano. Quel ciao ciao che si fa dal finestrino di un treno o dalla poppavia di un battello a chi resta, o forse parte per un viaggio diverso. Ciao ciao, Guido. Ciao ciao, Francesco. Non ci siamo detti, senza parlare, altro.

A quel punto mi sono svegliato e ho registrato il sogno sullo smartphone. Era ancora notte fonda, faticavo a riprendere sonno. Cosa significa?, pensavo. Cosa vuole dirmi l'inconscio? Che accidenti devo fare?

Da una sola domanda ne germogliavano a decine...

Ma la passione ha un'altra grammatica, cantavano gli Avion Travel. Ok ok, la faccenda della libreria Ikea da montare, ora ricordo. La stessa oscura grammatica dei sogni. Ogni tanto ancora ripenso al mio, con l'espressione che hanno i cani quando non capiscono qualcosa: il muso reclinato da una parte, le orecchie sollevate. E come i cani ho smesso di cercare una soluzione. Dormire. Mangiare. Passeggiata. Pisciatina.

Se qualcosa cambierà nella mia vita – era una grande domanda, lo confesso – sarà come la colomba che esce dal cilindro. Per magia. Sembrava solo tessuto nero e compatto e austero, e invece possedeva le ali. Vai tu a sapere come fanno i maghi... Il giorno in cui dovessi incontrare Francesco, voglio proprio chiederglielo.

Nel frattempo posso dedicarmi a cose più interessanti. Ad esempio sbucciare caldarroste, oppure rovistare negli abissi del naso, frugare bene con l'indice che i politici si puntano l'uno contro l'altro in tivù, o, ancora, guardare i manichini nei negozi di vestiti.

Da qualche anno, avete notato, alle manichine femmina hanno iniziato a tracciare i capezzoli. Da grigie colline di plastica che erano i seni, ora premono sotto camicette a fiori che, dopo i saldi di gennaio, già parlano la lingua della primavera. Capezzoli come colombe che non vedono l'ora di spiccare il volo.

mercoledì 28 dicembre 2022

Tempo che sfugge

Ho letto, sul Tirreno, un bell’articolo di Andrea Di Consoli sugli amori asimmetrici, quelli in cui solo la statistica riesce a mediare una grande differenza di età – una persona con la testa nel forno e il culo in frigorifero: mediamente possiede la giusta temperatura, si diceva un tempo per burlarsi della disciplina.

Eppure ha ragione Di Consoli, ci vuole coraggio, di quella particolare specie che sconfina nell’incoscienza (ma il termine va qui inteso positivamente, già che con la sola razionalità non si cava molto dall’amore), coraggio per avventurarsi in una relazione come quella esibita con giusto orgoglio da Cher. Lei 76 anni e lui, Alexander A. E. Edwards, nuovo compagno, 36.

Mi sembra però che l’articolo di Andrea Di Consoli sorvoli su un dato a cui tutti quanti pensiamo, ma senza dirlo perché darebbe di noi un'immagine bigotta e politicamente scorretta; oppure lo diciamo dal parrucchiere, quei discorsi tra maschi (e vagamente maschilisti) ogni volta che su Novella 2000 leggiamo di amori del genere, di solito appartengono al mondo dello spettacolo. Ci vuole coraggio, sì, fiducia, passione, tutte caratteristiche per così dire interne. Ma ci vuole anche altro. Determinazioni estrinseche, ecco. Diversamente, puoi desiderare tutto quello che vuoi, ma a essere acciuffato è il famigerato pugno di mosche.

Vogliamo chiamarla un’aura extratemporale, liricamente, o più prosaicamente soldi, successo, visibilità sociale, glamour. Sui piatti della bilancia sentimentale – un commercio implicito in ogni relazione, beninteso e dunque senza biasimo – la materia è infatti dispari come gli anni: io mi disseto alla fonte dell'eterna giovinezza, in me quasi prosciugata, e in cambio ti offro questo o quest’altro, che manca a te. Basta non dirlo nuovamente, ma lasciarlo solo intendere.

E fin qui va di nuovo bene: culo in frigorifero e testa nel forno, e perché no? Whatever Works, basta che funzioni, titolava un film di Woody Allen. La progressiva separazione tra sesso e riproduzione, unita al lavoro femminile remunerato solo in tempi recenti, come giusto ha livellato anche quello che era da sempre un privilegio maschile. Ma privilegio di pochi (almeno in Occidente), quando l'elemento su cui interrogarsi mi appare proprio l'attuale e diffusa ricerca di tempo acerbo, tempo bambino, gioventù.

Uomini e donne, sgombriamo il campo da ogni moralismo. In fondo le satire latine già rendevano conto di matrone che adocchiano i giovanotti de 'sta Roma bbella. E basta anche con la solfa che gli uomini invecchiando diventano più belli  ma quando mai! Ora tutto ciò mi sembra però rasentare l'ossessione. Un'ossessione monotematica, in tutti quanti, me compreso. Madame Cher c'est moi.

Ed è da questa prospettiva, come giusto personale, nessuna astratta teoria, che offro un esempio. Un paio di anni fa, un po’ per celia e un po’ per non morire (lo confesso: dopo quasi un anno di distanziamento sociale cominciavo a sentirmi solo), mi è venuta la curiosità di esplorare una nuova funzione di Facebook, si chiama eloquentemente Dating. Compili i campi di uno smilzo profilo, è un po’ burocratico, e va be’, aggiungi una o più fotografie e poi esponi il tutto al mercato dei sentimenti. Se ti butta bene rimedi qualcosa: un grande amore oppure una scopatina, i due termini non sempre sono distinguibili da principio.

Ebbene, sono stato contattato solo da donne più vecchie di me, anche molto più vecchie. Nessuna di loro che badasse a quanto avevo scritto nel profilo, oppure ai miei interessi, libri, musica, ecc. Solo l’età. Una cosa che mi fa un po’ ridere, ma pure lusinga… Intendo, a 56 anni suonati essere maneggiato come un toy boy!

Il senso è infatti quello lì: gioco, gioco del tempo. Ha un bel parlare Di Consoli di coraggio e sfumature sentimentali. “È tempo che sfugge” cantava Ivano Fossati, ma “niente paura che prima o poi ci riprende.” Nel dubbio, mai come nel presente si è cercato di riprendere il proprio tempo, incarnato in un altro\altra di cui fare eucarestia. Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio tempo offerto in sacrificio per voi.

Lo strumento dell’assimilazione è come già detto il baratto: cos’ho io da offrire a una ragazza per compensare il divario di età? Direi pochino. E infatti, su Facebook Dating, le donne più giovani si guardano bene dal contattarmi o dal rispondermi. Mentre quelle con più anni non presentano un’offerta congrua al mio capitale residuo, le fiches di tempo da spendere alla partita a poker degli amori. Signore, il piatto piange!

Ma non sarà allora, molto più terra terra, questa la ragione per cui noi normali all’imbrunire ci disappaiamo, mentre quelli che Alfonso Signorini chiama vipponi possono concedersi nuovi amori sempre più giovani? Il coraggio di Cher consiste dunque nel potere rilanciare alle puntate degli altri giocatori, avendo in mano carte un po' datate ma tutte dello stesso colore. Un riflesso non solo dell'azzardo ludico, ma del sistema economico tout court, che si fa sistema culturale, mondo. A inaugurare un regime affettivo che potremmo chiamare capitalismo sentimentale.

Tutti i motivi portati da Andrea Di Consoli, più che sbagliati mi appaiono così sottigliezze che ruotano attorno a un nucleo ben più concreto  il portafogli, il privilegio anche in campo amoroso , quando ciò che sfugge non è la nudità del re ma quella dei sudditi, sfugge come il tempo che non smette di passare. Ma niente paura, prima o poi ci riprende. Perché c'è tempo, c'è tempo, c'è tempo, per questo mare infinito di gente.

sabato 24 dicembre 2022

Bob Dylan & me

 

Questa notte ho sognato che Bob Dylan teneva un concerto nel cortiletto che divide il mio condominio, al 10, con quello all’8 di via Parolo, a Sondrio. Che già Bob Dylan a Sondrio… e proprio nel cortile dove ho imparato ad andare in bicicletta, una Graziella rossa che si liberava finalmente dalle rotelle come i razzi lunari dalle impalcature di Cape Caneveral. Gli anni erano quelli lì.

Ad attendere l'inizio di un evento che sarebbe rimasto impresso nella memoria collettiva per decenni  Bob Dylan a Sondrio, come Simon & Garfunkel al Central Park o i Pink Floyd a Venezia  nel sogno erano presenti solo quattro gatti (il rag. Flematti, la vedova Pizzala e il dott. Grimaldi, più qualcun altro che non ricordo) pronti ad accordarsi al refrain di Like a Rolling Sones.

Alla vista di quello smilzo parterre cominciavo a fare telefonate: “Oh, c’è Bob Dylan, non ci crederai: suona sotto casa mia, se fai in fretta riesci ad arrivare per il brano di apertura – corri!”

Le risposte però erano tiepide, scarsamente interessate; il mio migliore amico mi diceva che doveva mettere giù perché stava aspettando una chiamata importante, ha sottolineato l'aggettivo con un tono quasi spazientito. Ma come, c’è Bob Dylan, hai capito bene cosa ho detto: B-O-B-D-Y-L-A-N.

Poi mi sono svegliato e mi è venuto in mentre Freud, e chi se no? Se è vero che i sogni rappresentano parti di noi o, meglio, come noi ci percepiamo, in una specie di carnevale metaforico di desideri e paure, mentre mi lavavo i denti di fronte allo specchio del bagno ho dovuto riconoscerlo, riconoscermi.

Ma non solo io, era una foto di gruppo. Tutti quanti ci sentiamo un po’ Bob Dylan, dai, diciamocelo. In gola le canzoni che cambieranno la storia della musica, della poesia, della società intera, mica per niente gli hanno dato il Nobel. E allora cosa dobbiamo fare: lasciare il mondo mutilo di tanta bellezza?

Per questo, al risveglio e con lo spazzolino ancora in bocca, ci precipitiamo su Facebook a intonare il nostro canto salvifico, in forma di pensierini di cui immaginiamo il mondo avido. Un esempio? Questo.

Finito di scrivere e pubblicato il post che state leggendo, mi sono accorto che, come nel sogno, giusto i vicini di pianerottolo (una manciata di persone indecise se ascoltare il mio concerto o precipitarsi sul profilo di Selvaggia Lucarelli, per vedere chi aveva appena insultato), erano disposti a concedermi un’attenzione distratta, con il rituale applauso finale in forma di like. Nemmeno 15, sono in media.

Eppure non ci viene mai il dubbio, non a me, almeno, di essere Gigi D’Alessio, oppure Scialpi, Luis Miguel che nel 1985 cantava Ragazzi di oggi, e nel 2022 la canta ancora come se il tempo non fosse passato, altro che il divino menestrello...

E così chitarra alla mano, armonica in bocca e cappellaccio da cowboy, ogni giorno mi presento nel cortile dei social travestito da Bob Dylan.

mercoledì 21 dicembre 2022

A cazzo di cane

- Caro, vuoi una fetta di torta?

- Bleah!

- Cosa c'è...?

Cristo santo, hai messo il sale al posto dello zucchero!

- ...

- E poi quante volte devo dirti che sul tappeto non ci va la cera; hai sbagliato ad abbottonarti il maglione; guarda l'acquario: sono già venuti a galla cinque pesci in un mese, non gli avrai ancora dato le crocchette del gatto...

Se anche tuo marito ti rimprovera di continuo, nessun problema. Da oggi è disponibile A cazzo di cane. Il corso a dispense per continuare a fare le cose come hai sempre fatto, ma esserne finalmente orgogliosa.

- Caro, vuoi una fetta di torta?

- Bleah!

- Cosa c'è?

- Cristo santo, questa volta hai messo il Borotalco!

- Ma grazie tesoro, te ne sei accorto. L'ho fatta a cazzo di cane.

E allora cosa aspetti: corri anche tu in edicola e acquista A cazzo di cane!


PS - si tratta ovviamente di un omaggio al genio comico di Lillo e Greg. Da domani riprendo ad annoiarvi parlando di Nietzsche e Lacan... 😉

lunedì 19 dicembre 2022

Viva gli hater!

Ho acquistato casa nella periferia nord di Milano tredici anni fa. Chi me l'ha venduta - un omone con la giacca di velluto a coste e le bretelle rosse, ovviamente architetto - parlava di cohousing.

Il termine, alla lettera, significa coabitare, con la ing form a trasformare la casa (house) in disposizione attiva alla condivisione; ad esempio, di un numero maggiore di spazi: lavanderia, sala comune, piscina ecc. È l'unico elemento che distingue il cohousing dal condominio, in cui la casa, domus, viene spartita malvolentieri, come può testimoniare chiunque abbia fatto esperienza di un'assemblea condominiale.

In sintesi: in un condominio ci si odia in forma esplicita, mentre, nel cohousing, lo stesso sentimento prende forme implicite e cordiali, pacche sulle spalle digrignando i denti. Il principale elemento di contrapposizione in un cohousing è rappresentato dai figli e dai gatti. Due fazioni proprio, due schieramenti ingaggiati in una mai dichiarata guerra fredda.

Chi ha figli, o gatti, o entrambi, parla sempre di figli o di gatti o di entrambi, aspettandosi che l'interlocutore si emozioni all'evocazione di tanta bellezza. Chi non ha figli e gatti, si incazza invece quando trova gli stronzetti di gatto sullo zerbino, o sente i figli del vicino di casa esercitarsi con l'oboe durante le ore di riposo.

Non vi stanno fischiando le orecchie?

Massì, un cohousing è l'equivalente materiale di un social network, mettiamo Facebook. Dove gli interventi si dividono in due macrocategorie: 

a) coloro che postano le fotografie del proprio delizioso micetto; in genere sono gli stessi a ragguagliare di quanto sia intelligente, buffo, smart il figlio adolescente, di cui vengono raccontati gustosi (per loro) aneddoti;

b) gli altri, quelli che trovano ripugnante tutto ciò, ma lasciano comunque un like sperando di essere ricambiati in futuro, quando pubblicheranno l'immagine di copertina del prossimo libro letto, con succinta recensione. O filosofiche pedanti noiose considerazioni sui massimi sistemi, come faccio io.

Tutto ciò sta cominciando a farmi rimpiangere i vecchi condomini, i bei tempi di quando ci si odiava apertamente, e si rigava l'auto al vicino che tira lo sciacquone di notte. Viva gli hater!

sabato 17 dicembre 2022

Limiti

“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.”

Ripensavo al monito di Qoelet ascoltando la pressoché unanime acclamazione di Sofia Goggia, che ha vinto, ieri, la discesa libera a St. Moritz. E fin qui nulla di nuovo, ogni gara prevede un vincitore. Solo che lei ha vinto con una doppia frattura alla mano sinistra, per la quale è stata operata il giorno precedente. Quindi subito un aeroplano, una manciata di antidolorifici, gli scarponi e gli sci ai piedi e via!

Bene, brava, anche io mi complimento. Ma il tempo della convalescenza, mi chiedo? È come nel Monopoli, si salta dalla sala operatoria al podio senza passare dal via. Manca la mediazione di una ripresa progressiva; nei tarocchi marsigliesi assume il simbolo della Temperanza: una ninfa che, nei pressi della fonte, versa l’acqua da una brocca a un’altra. La rigenerazione non è un geyser, una cascata, un'onda anomala, sembra comunicarci l'immagine. "Ci va tutto il tempo che ci va", cantava Paolo Conte. "Non basta un attimo, attimo, attimo..."

Lo sport può rappresentare, e ha rappresentato, un modello formativo importante, ponendo le persone di fronte alla fondamentale esperienza del limite. Come le due brocche per l’acqua, gli argini sono qui costituiti dall’avversario e dalle possibilità limitate del proprio corpo, che non coincidono con la volontà. Negli ultimi decenni questa percezione sta però venendo meno. Lo vediamo in tutti i campi, e anche la psicanalisi ha messo a tema la novità, rinominandola, nel lessico vagamente fumoso di cui si ammanta, come caduta della legge del padre.

Semplificando, la legge del padre è quella che impedisce la realizzazione del desiderio incestuoso, a questo modo ponendo il primo mattone su cui costruire le future metropoli, il tabù a fondamento della civiltà. Ma, per estensione, diviene una sorta di principio universale di contenimento e dilazione, per cui non è possibile ottenere tutto e subito; ma nemmeno i due termini disaccoppiati: sia tutto, sia subito.

Abbiamo così una riformulazione aggiornata del passo di Qoelet: è sempre tempo (ma anche luogo) per realizzare ogni desiderio. I greci distinguevano il tempo cronologico, χρόνος (khrónos), come la divinità eponima dell'orfismo, dalla manifestazione temporale di un'opportunità, che prendeva la forma linguistica di καιρός (kairos). All’antico tempo opportuno, per simmetria alla teoria freudiana, segue ora un tempo che potremmo chiamare materno, o ancora più precisamente “nonnario”: quei nonni complici che tutto consentono ai nipoti, anche di appiccare il fuoco alla coda del gatto.

La vittoria di Sofia Goggia con la mano rotta diviene emblematica espressione di questo tempo senza lancette, addirittura un nuovo e gioioso evo storico in cui è sempre il momento giusto: just do it, o se si preferisce yes you can, come recitava il felice slogan della campagna elettorale di Obama.

Peccato che non sia vero, e quella di Obama e Sofia Goggia sono fortunate eccezioni a una regola che non è mutata nei secoli. Forse sarebbe il caso di ricordarlo, e di non celebrare solamente chi infrange ogni limite, con il tacito avallo di nonni che ci fanno l'occhiolino. Diversamente, casi isolati rischiano di diventare una pericolosa pedagogia.

Per ogni Obama, ogni Sofia Goggia ci sono infatti milioni di persone per cui non è ancora arrivato il proprio tempo. E quando accendono il televisore e vedono il mondo in festa per i fortunati pochi che sfidano e vincono anche le leggi del tempo, infrangono ogni umano limite del corpo e degli dèi, pensano di essere vittime del fato. O ritradotto in linguaggio moderno: degli sfigati. 

venerdì 16 dicembre 2022

Segni, o sul corpo come testo


Su la Repubblica si susseguono articoli in difesa di Liliane Murekatete, moglie del neoparlamentare di origini ivoriane Aboubakar Soumahoro, di cui sono emerse, prima, delle fotografie in cui si mostrava sui social con borsette Louis Vuitton e altri simboli di raggiunto benessere economico (status), quindi altri scatti erotici risalenti ad alcuni anni or sono.

Ho già scritto sulla vicenda, ma provo a precisare il mio pensiero. Non condivido la posizione di Repubblica per una semplice ragione: non è vero che il corpo di un personaggio pubblico, quale è diventata la signora Soumahoro, è immune da analisi critica in quando corpo, manifestazione tangibile e viva di una singolarità anteriore al discorso pubblico. Quel corpo – nudo o ricoperto da abiti griffati poco importa, non siamo bigotti – è infatti svincolato da ipoteche penali (su quelle si pronuncerà la magistratura in merito ai reati contestati per la gestione delle cooperative di cui Murekatete e cointestataria) ma rappresenta una sorta di "testo", e ciò per espressa volontà di chi lo esibisce con legittimo orgoglio.

Se dunque i giornalisti non possiedono, giustamente, alcuna autorità giudiziaria e tanto meno morale (peggio ancora moralistica), è sulla realtà quando si offre in forma di testo da interpretare che sono tenuti a esprimersi. Si vuole un esempio? Fare il saluto romano è un modo di utilizzare liberamente il proprio corpo: non fa male a nessuno, non ruba, non inquina. Eppure, se comparissero delle immagini che ritraggono il compagno di Giorgia Meloni intento a salutare romanamente, i giornali di sinistra solleverebbero un polverone. E farebbero bene: è un gesto che rappresenta un segno politico certo. E da quel segno, il reato di apologia di fascismo (art. 4).

Ma sono segni, meno plateali e senza alcun reato inscritto, anche quelli esibiti da Liliane Murekatete, segni politici: gli oggetti lussuosi come estensione del corpo, il corpo come oggetto, strumento reificato del piacere maschile. Non colpe, attenzione: segni. Allo stesso modo di quelli esibiti attraverso il corpo-testo di Chiara Ferragni o Fabrizio Corona. E un bravo giornalista, per dirla con Roland Barthes, è colui che sa entrare nei tableaux vivants offerti dalla cronaca per distinguere lo "studium" dal "punctum" – è la differenza che passa tra la neutra referenzialità di un'immagine nel suo complesso, e ciò che comunica nel dettaglio a uno sguardo attento. Ossia, di nuovo, la sua natura di segno.

L'equivoco dei giornalisti di Repubblica (Serra, Di Gregorio, Valerio) diventa così quello di confondere una condivisibile premessa – la piena libertà di espressione in ciò che non lede i diritti altrui – con il testo – una precisa idea di mondo che traspare dalla testualizzazione di sé offerta da una donna indagata per gravi reati, oltre che moglie di un rappresentante della Camera dei Deputati. Segni le cui implicazioni politiche, non solo, la Repubblica tace, ma invita a tacere.

giovedì 15 dicembre 2022

Qualcuno era comunista


Nessuno parla più di Dio, perlomeno nella mia bolla social. O, meglio ancora, di un dio, uno a caso, fosse pure Manitù. Anche io non sono religioso, intendiamoci. Eppure mi sembra che ci sia una sedia vuota nella mia vita: vogliamo chiamare questa assenza Dio oppure in un altro modo, va bene uguale. Una sedia vuota dentro una sala piena, mettiamo una sala da concerto, o un cinema, ecco, dove proiettano il primo film di Susanna Nicchiarelli, si intitola Cosmonauta e l’ho visto ieri sera in televisione.

Si avverte che è un’opera prima, con tutti i limiti e le virtù del caso. Ma la scena iniziale è folgorante. Una bambina di otto anni, l’età a cui si fa la prima comunione, si trova a questo scopo in una chiesa della periferia romana, quando una compagna le sussurra: “È il giorno più bello della mia vita.” Lei non risponde, la guarda strano. Poi si gira e comincia a correre nella direzione opposta, varca il portale in stile moderno e geometrile, i lembi bianchi dell’abito da sposa di Gesù sollevati con entrambe le mani. La colonna sonora è costituita da una bellissima cover di Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli; non so chi la interpreti, nemmeno Shazam me lo sa dire.

La bambina attraversa luoghi che potrebbero essere ovunque, sfiora passanti distratti ed extracomunitari intenti, calpesta, sempre correndo, terreni incolti dove incrocia un branco di pecore – gli animali la osservano o forse cercano qualche residuo ciuffo di tarassaco – e quando raggiunge il proprio appartamento si chiude in bagno, dove si leva l’abito da cerimonia che le deve apparire come un’incomprensibile sovrastruttura. “Perché mi fai questo, perché…?” le grida da fuori la madre, interpretata da Claudia Pandolfi in stato di grazia. “Perché sono comunista!” ribatte la bambina alzando le braccia al cielo.

Nella mia bolla nessuno parla più di Dio ma, nemmeno, afferma orgogliosamente di essere comunista. È tutto un distinguere, considerare e ammiccare ironicamente; molta pars destruens e nessuna pars costruens. E pensando ai danni che hanno fatto sia l’idea mondana di Dio sia il comunismo, come si dice, storico, va bene così. Ma mi piacerebbe possedere la ribalderia per compiere lo stesso gesto: alzare le braccia al cielo, cercando di colmare quel vuoto con parole non poi così importanti.

Un cielo a cui la bambina e il fratello, sdraiati fianco a fianco sulla terrazza, guardano nella speranza di intravedere la navicella spaziale su cui orbita Yuri Gagarin; è il cosmonauta (gli astronauti sono americani, ci viene ricordato nel film) del quale tengono il manifesto in camera da letto. Nei primi anni Sessanta, nell’estrema periferia romana, Gagarin era dunque uno dei tanti sinonimi di Dio. O forse un succedaneo, come le uova di lompo per il caviale, ma meglio di niente quando l'originale si nasconde.

In una canzone di una paio di decenni dopo, Giorgio Gaber aggiunge: “Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo \ Perché sentiva la necessità di una morale diversa \ Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno…” Io sono comunista ma anche cristiano, ebreo, buddhista, mussulmano, io sono tutto e niente perché su Facebook non riesco a decollare.

mercoledì 14 dicembre 2022

La vita continua

Per curiosità, sono andato a vedere cosa succedeva in Italia un anno fa, un anno preciso sul fronte della pandemia. Ebbene, considerando il dato medio a una settimana, il 13 dicembre 2021 venivano registrate 98 morti al giorno per cause associabili al Covid. E oggi? Sempre 98. Non 97, 99, 100... No, proprio 98. Uguale uguale.

La differenza consiste nel fatto che la gente ha ora smesso di indossare le mascherine, i mezzi pubblici non scontano più limitazioni e le vaccinazioni stanno calando; i dati ufficiali dicono che solo il 37% di fragili e anziani è ora protetto dal vaccino. Per il resto, non arrivano all’1% gli italiani che hanno fatto la terza dose da meno di 120 giorni. Non parliamo di quarta e quinta, per le cui somministrazioni vanno deserti i centri vaccinali.

E dunque, eravamo scemi prima, quando proteggevano noi e soprattutto gli altri, o siamo scemi adesso?

Non lo so. Ma se non possiedo le competenze sanitarie per esprimermi, questo dato suggerisce un provvisorio bilancio filosofico. Anche il senso di responsabilità e la prudenza e perfino la verità scientifica (o quantomeno la sua percezione), come la bellezza stanno negli occhi di chi guarda. E la specie a cui apparteniamo  per difendersi dall'angoscia, immagino  dopo un po' si abitua a tutto, come cantava Herbert Pagani in Albergo a ore.

Trascorso qualche anno, in Calabria le vedove smettono gli abiti scuri e riprendono ad andare a ballare la viddhaneddha; cavalli da rodeo, dagli e dagli, familiarizzano col morso, non sgroppando più quando un cowboy gli depone la sella sul dorso; i ginecologi  apra bene le gambe, signora  fanno il callo alla vista della fica e sognano una meringa con la panna. Infine noi, ormai abituati al fatto che 98 nostri simili, oggi, ma pure domani e domani l'altro ancora, ci lasceranno le penne per qualcosa che ha smesso di riguardarci.

Nessuna polemica. Come si dice, la vita continua. Il bambinello nella mangiatoia, le palline rosse sull'abete sradicato e le olivette nere sul bancone dell'happy hour. Buon Natale a tutti!

martedì 13 dicembre 2022

Il corpo del potere

Ha perfettamente ragione Concita De Gregorio nel difendere il diritto di Liliane Murekatete, moglie di Aboubakar Soumahoro, a esibire il suo corpo nella piena flagranza di un erotismo un po' ruspante, ed è del tutto privo di rilievo che le foto ora emerse appartengano al passato. Prima ancora che rappresentazione, dunque soggetta a giudizio estetico, l'erotismo e la pornografia sono un essere e un fare che non lede alcun diritto altrui, e come tale non andrebbero mai biasimati. Giusto anche l’accostamento a Chiara Ferragni: come lei, Murekatete ha inteso che il potere, il successo, il denaro che una donna giovane e bella può ottenere in Occidente passa anche attraverso il corpo, se non soprattutto.

C’è però un livello della vicenda su cui l'editorialista de la Repubblica sorvola: quella remunerazione non è affatto neutra, ma espressione di una precisa ideologia – il corpo della donna come oggetto del piacere maschile; un corpo, direbbe Carmelo Bene, depensato. Ideologia implicita in questo caso, che contrastata con le battaglie femministe. E se è vero che il femminismo rientra nella complessa e spesso litigiosa galassia che prende il nome di Sinistra, le immagini di Liliane Murekatete rappresentano l’ennesimo problema di identità di quella parte politica a cui Concita De Gregorio intende offrire voce.

Essere di sinistra significa infatti trasformare gli immigrati da “risorse” a esseri umani, da oggetti funzionali alla macchina capitalista a soggetti portatori di diritti; tra cui il primo è essere retribuiti in modo congruo per il proprio lavoro, e che questo sia svolto in condizioni di sicurezza e tutele. Tutte cose che nella cooperativa di cui era contitolare la moglie di Soumahoro pare non avvenissero. Se a ciò aggiungiamo che la donna applicava una strategia speculare nei confronti del corpo di cui va giustamente fiera, possiamo vedere con chiarezza le contraddizioni di questa squallida vicenda.

Nel secondo caso siamo naturalmente nel campo dei simboli, non dell’infrazione alla legge, ed è giusto ribadire che la simbolizzazione di sé rientra nella piena facoltà di ciascuno. Ma se negli anni Sessanta e Settanta erotismo e pornografia, oltre che business fruttuoso, hanno rappresentato un’allegra e sgangherata esperienza libertaria – la liberazione era quella del piacere sessuale, specialmente femminile, dai fasciami di un puritanesimo meschino, che prendeva la forma gioiosamente rivoltosa di filmini in Super 8 dai titoli allusivi  –, ora la stessa libertà va nella direzione del godimento illimitato di cui riferiscono gli psicanalisti, del tutto omogeneo alle nuove forme del potere.

È il discorso del capitalista di cui parlava Lacan, ma anche la libertà obbligatoria di Giorgio Gaber o, ancora, il nuovo fascismo di Pasolini, per cui tutto è lecito a patto di essere consumatori; di merci o di corpi mercificati, fa sempre meno differenza. Ma chiamiamolo pure come ci pare, anche Pippo: importante è il riconoscimento dell'infrazione di ogni limite come gesto destituito di ogni carica eversiva, anzi perfino reazionario. Non più la prassi rivoluzionaria per incoronare il desiderio al potere, quando, da quel trono in stile pubblicità di Dolce e Gabbana, il desiderio già governa il mondo; e lo fa a vantaggio di pochi, non dei molti desideranti il bel corpo svelato di Liliane Murekatete. Ed è solo un dettaglio che il corpo in oggetto, oggetto in tutti sensi come le borse Louis Vuitton esibite in altri scatti, sia nero, bianco, rosso oppure verde. Il nuovo potere è molto tollerante anche dal punto di vista cromatico.

lunedì 12 dicembre 2022

Mondo tre, o sui limiti della geopolitica

Nei telegiornali si parla quasi solo di ciò che accade, e in particolare di ciò che accade nel cortile di casa – il tg di Mentanta apriva con la prima della Scala, quando, lo stesso giorno, in Germania veniva sventato un golpe neo nazista. Eventi tangibili e che possibilmente facciano scalpore, ossia novità. Non di quello che si scopre, oppure viene ideato, concepito nel pensiero. Anche il rilevamento dei resti archeologici etruschi a San Casciano era un accadimento.

Nell'orrendo gergo giornalistico viene chiamata notiziabilità, con il tipico caso ipotetico che ne restituisce l'applicazione pratica: se il bambino morde il cane è una notizia (eccezione), se il cane morde il bambino no (regola). Popper avrebbe detto che per i telegiornali esiste solamente il mondo uno.

In una sua affascinante teoria, con questa sigla si riferisce alle entità fisiche di cui possiamo fare esperienza condivisa. Ma poi ci sono anche le esperienze soggettive. Un bel giorno, ad esempio, vedi camminare sul marciapiedi una ragazza che indossa un abitino a fiori, e ti innamori. Un altro giorno ti incazzi con chi ti passa avanti al bancone dei salumi all'Esselunga, cose così: piccole piccole, ma che avvengono anche ai grandi della storia. Tutto ciò Popper lo chiama mondo due.

Infine, il filosofo austriaco ipotizza la presenza di un mondo tre, dove i prodotti dell'ideazione umana – Amleto, le formule di Einstein, Ulisse, Les Demoiselles d'Avignon ecc. – acquistano in un certo senso vita propria: non esistono (da ex-sistere, stare fuori) ma sono.

Ciò a cui assistiamo ogni volta che ci sintonizziamo su un telegiornale è dunque un mondo mutilo, le sue componenti di superficie ribollono ma non si fa menzione al fuoco che arde sotto la pentola. Quel mondo, l'uno, non è infatti rigidamente separato dagli altri. Metti caso, come diceva Woody Allen, che ascoltando Wagner ti venga voglia di invadere la Polonia. E se ti chiami Hitler, sono cavoli amari...

Chissà che non sia proprio quanto successo a Putin: nel mondo due delle sue percezioni soggettive si sentiva umiliato, ferito dall'espansione a est della Nato; la viveva come un’offesa personale, prima ancora che una minaccia reale. Ovviamente non lo sto difendendo, ma solo vorrei introdurre un dubbio: questa parolina con cui da un anno tutti ci stiamo riempendo la bocca, geopolitica, non sarà che funziona come i telegiornali, potando tutto ciò che non sta nella dimensione del tangibile?

Eppure la storia è fatta anche da idee, passioni, persino da erotismo, come la Contessa di Castiglione che con il suo corpo contribuisce all'unità d'Italia. Quando penso a lei penso alla Gradisca, il personaggio di Fellini che recita quello che sarebbe diventato il suo nomignolo schiudendosi le vesti, e così si offre a uno sceicco arabo ospite al Grand Hotel di Rimini. Sì, anche un geniale prodotto della fantasia come la Gradisca partecipa all'interezza della nostra esperienza del mondo, dunque alle sue sorti.

La teoria di Popper non ci dice allora solo ciò che i telegiornali tacciono, ma suggerisce possibili diversioni agli eventi che sembrano procedere su un piano di concatenazioni necessitate, la geopolitica le analizza e le spiega nel dettaglio. Non dico che non ci sia saggezza e studio e metodo in tutto ciò, ma manca un pizzico di magia, manca Mandrake. Anche lui appartiene al mondo tre, come il suo servo Lothar ricoperto da pelli di leopardo.

Se c'è un merito, innegabile, che riconosco a Berlusconi, è quello di avere introdotto questa dimensione nell'agenda politica. Cos'erano infatti le sue barzellette, se non una traccia di possibile in ciò che appare solido e determinato? Peccato che erano barzellette modeste, la sua fantasia era viziata dall'immaginario del dopoguerra, in cui gli uomini erano puttanieri e le donne mogli, madri oppure prede sessuali.

Però l'idea che c'è sotto non è sbagliata: anche in politica servono emozioni, rapporti umani, immaginazione. Mondo due e tre, insomma. Non solo resoconti di fatti, che senza più bisogno di pizzini transitano alle notizie d'apertura dei telegiornali. Così andrebbe forse rivista la celebre locuzione latina tertium non datur. Tra Bonaccini ed Elly Schlein, ad esempio. E se in questo caso la soluzione fosse... Paperinik!

venerdì 9 dicembre 2022

1984

 

Era l'estate del 1984, di questo sono certo. Premo il freno a pedale e, nello stesso tempo, quello a manopola con la mano destra. La sospensione anteriore fa un inchino e metto in folle la Vespa, un PX bianco con l'adesivo di Radio Studio 105. Le scarpe da basket toccano il suolo e lì si piantano. Quindi attendo il ritorno del verde al semaforo dove corso Vittorio Veneto incrocia via Trento, proprio di fronte alle vetrine della Standa. Nella direzione opposta, sul marciapiede su cui un gatto rossiccio sta leccando lo stecco di un ghiacciolo, proviene una ragazza. Cammina a passi svelti, ricorda le persone che raggiungono il chiosco delle bibite sulla sabbia arroventata. Ma anche qui fa caldo, sudo, forse sta sudando anche lei – perché non cammina più piano?

Non porto il casco, nessuno lo porta, spettina i capelli e si imbratterebbe di Gommina. Ma pure senza casco si ottiene un minimo di refrigerio solo in movimento. Da una finestra spalancata escono le note di Camel by Camel di Sandy Marton, le basi campionate – un lieto sussultare che le rende simili a mille altre – sono in sincronia con il movimento dei piedi della ragazza; il chiosco delle bibite sembra non arrivare mai. Il volto è invece una massa indistinta in controluce, si confonde con il disco del sole che ho di fronte e mi acceca. Per fortuna indosso degli occhiali di celluloide con le lenti scure, naturalmente sono firmati. Mi consentono, con la coda dell'occhio, di controllare il semaforo. È ancora rosso.

Quando la ragazza senza volto è a pochi centimetri da me – è troppo vicina in effetti, cosa fa così vicina?, posso avvertirne il profumo con note di melone, gelsomino e ylang ylang – mi urla in faccia: "Sei un figo!"

Poi se ne va con lo stesso passo senza senso, una fretta priva di direzione, cambia di continuo marciapiede, fino a quando scompare dall'inquadratura dello specchietto retrovisore, in cui rimane solo il gatto e il suo stecco di ghiacciolo. I colpi della linguetta abrasiva sono lenti e precisi. Lenti come l'estate infinita dell' '84, come i fiocchi di neve nel posarsi sulle panchine, sui comignoli, l'alberello con lo bocce colorate e le cacche dei cani ai giardinetti, ogni cosa viene ricoperta da un manto soffice e smemorato. Buon Natale, anche a Lei dottore, e alla sua signora. Ma non portiamoci troppo avanti, c'è ancora tempo.

Ora il semaforo è verde, ingrano la prima con una torsione del polso e parto con una lieve impennata. Vado, chi si ricorda dove... tutto riprende a muoversi, a cambiare. Un anno, poi un altro e un altro ancora. Un giorno Mastroianni entrò in un caffè di Napoli, aveva appena finito di girare quello che sarebbe stato il suo ultimo film. Il barista lo riconobbe. A Marcellì, gli disse, ce siamo fatti vecchierè... Posso offrire o' cafè?

giovedì 8 dicembre 2022

Dirupi

Una cugina di mio nonno paterno, negli anni Trenta del secolo scorso, si gettò da un dirupo precipitando nel lago di Como. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Nello spensierato clima del dopoguerra, dallo stesso cornicione di rocce, nelle stesse acque gelide e scure, replicò il gesto la figlia. Anche lei morì, si suicidò come aveva fatto la madre a un'età che pure corrispondeva.

Non conosco i nomi di entrambe, la loro storia e le motivazioni che portarono a quella scelta, tanto più inquietante nella sua esatta simmetria. In famiglia non se n'è mai parlato volentieri. Tabù familiari li chiamava la psicologa e psicanalista francese Anne Ancelin Schützenberger, che ha fondato una disciplina – la psicogenealogia, sembra uno scioglilingua – nella quale vengono indagati i comportamenti familiari ricorsivi, copioni occulti a cui non basta una sola messa in scena.

Ciò che da lei ha ricevuto battesimo, oltre a un robusto supporto casistico, rientra nell'intuizione di molte tradizioni precedenti, anche spirituali. In fondo, quando Gesù esorta a lasciare la famiglia per seguirlo, di più, a odiarla, dice qualcosa di simile: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo.” (Luca 14:26.)

Conosco il passaggio evangelico solamente in traduzione, non so dunque quale sia il verbo greco con cui viene espresso l'odio nel testo – forse στυγέω, oppure μῑσέω... Mi si potrebbe rispondere: vai a cercartelo e non rompere le scatole. È vero, è quello che dovrei fare. Ma temo la verifica. Preferisco credere a un errore di traduzione, o a una vigliacca interpolazione successiva di cui sono colme le Scritture.

L'odio è infatti la forma di legame più forte, non scioglie ma incatena; addirittura, delle catene, rappresenta una malattia, come la chiamava Nietzsche. Il suo radicale anticristianesimo troverebbe così un'inaspettata convergenza con le parole di questo mio Gesù personale, ognuno ne possiede uno, lo cantavano i Depeche Mode. Per non ricalcare gli stessi passi degli antenati, compreso quelli che conducono al fondo di un lago, non basta destituirne il magistero, ma bisogna liberarsi dalle catene dell'odio che a loro continua a ricondurre, è speculare ai nastri rosa e azzurri dell'amore. Solo a tale condizione può realizzarsi l'invito del filosofo a diventare ciò che si è.

Un esito curiosamente simile a quello del Regno evangelico, che, secondo Jung, coincide con il proprio sé più profondo, e non con il paese bello e spazioso in cui scorrono fiumi di latte e miele – in realtà, in Esodo 3:8, i fiumi sono di mestruo e sperma; è anche questo un errore di traduzione dall'ebraico, un abbellimento frutto della leziosa sensibilità alessandrina che ha dato forma alla versione della Bibbia dei Settanta. Gli ebrei erano gente più schietta, con i piedi e le metafore ben piantati a terra.

Una divergenza linguistica che mi fa sentire libero di ritradurre la buona novella. Basta con l'odio, con le catene, con i sentieri familiari da ripetere passo a passo. Le colpe dei padri non solo ricadono sui figli fino alla terza e alla quarta generazione, ma li fanno a loro immagine e somiglianza. Chi è senza peccato non scagli la prima pietra, ma butti via lo specchio adulterato di vecchie fotografie, battesimi, matrimoni, in cui il posto a tavola che ci spetta è già disposto anche se non eravamo ancora nati. Diventiamo piuttosto ciò che siamo, offrendo parole nuove a vecchie storie.

Un altro filosofo, brusco e idiosincratico quanto Nietzsche, suggeriva che i confini del nostro linguaggio rappresentano i confini del nostro mondo. E chissà che la mia lontana biscugina, se avesse posseduto parole diverse dalla madre, parole sue, non avrebbe costruito una diversa narrazione; soprattutto nel finale, in cui ci si gioca gli applausi del pubblico. Ma quale pubblico, avrebbe ad esempio potuto dire. Io sono io, non la famiglia che osserva il mio corpo sprofondare, le sottovesti candide dischiudersi come danza rallentata di medusa.

Non mi sostituisco a lei nell'immaginare una biografia alternativa, la ricordo come ha voluto essere ricordata: con un tragico colpo di teatro. Ma questa minima vicenda privata mi consegna un avvertimento più generale. Non lasciamoci, noi pure, sostituire dalle madri, dai padri, nonni, perfino da quella parentela più estesa che si chiama nazione, da Putin e Xi Jinping e tutte le bandiere da onorare sull'attenti, nell'immaginare dirupi per noi!

martedì 6 dicembre 2022

La povera gente

 

Nell'ultima intervista concessa da Jannacci prima di morire, alla domanda sulle sue credenze religiose – si trovava a un festival musicale organizzato da qualche associazione cattolica, sul palco il figlio Paolo al pianoforte – così rispose all'intervistatore: "Io spererei che fossero tutti come mio padre, come me: che pensassero agli altri, alla povera gente... Il resto non mi interessa."

Ci ripensavo nel clima delle infinite polemiche sul congresso del PD, che porterà all'elezione del prossimo segretario. L’ennesimo. Le mie competenze politiche sono davvero poca cosa; non conosco le logiche di corrente, le alleanze, i pesi e contrappesi che portano a questo genere di decisioni.

Bonaccini, dunque, oppure Elly Schlein o qualcun altro (altra) ancora... Fate voi. Da potenziale elettore del PD, solo vorrei un segretario che sapesse esprimersi con parole semplici e chiare come quelle di Jannacci. Non mutualità, resilienza, genderfluid, endorsement – ma povera gente. Qualcuno che pensasse agli altri e alla povera gente, ecco. Come Jannacci e il padre di Jannacci. Il resto non mi interessa.

E che magari poi ci spiegasse il modo, il come e il quando. Perché un partito può dirsi di sinistra solo se il pensiero della povera gente trova vie politiche, pratiche economiche, intese sulle cose che ci sono e anche su quelle che non ci sono ancora. In altre parole, traccia sentieri per farsi mondo.

lunedì 5 dicembre 2022

Solo noi

La presenza di Paola e Chiara alla prossima edizione del Festival di San Remo è una buona notizia. Ratifica ciò che avevamo già intuito: i giovani non guardano la televisione, e in particolare la tivù generalista. Bazzicano soprattutto il web, un po' di piattaforme streaming, molto YouTube ma, quando si tratta di Rai1 o di La7, devono chiedere a genitori e nonni di che si tratta. 

Sanremo diventa così la rappresentazione dei giovani che ci facciamo noi, che giovani non siamo più. Paola Lezzi, quarantotto anni, e la sorella Chiara di quarantanove, per il pubblico di Amadeus sono dunque ancora i giovani d'oggi, come intonava Luis Miguel dal palco dell'Ariston nel 1985.

Ma in fondo è quanto sempre avvenuto: il tempo, suggerisce Einstein, è una categoria relativa; ci dice poco dell'oggetto e molto del soggetto. E in questo caso il soggetto, comodamente adagiato sul divano mentre sorseggia una tisana al sambuco, la televisione accesa fino al cazzeggio del Dopofestival, siamo solo noi, altro successo di Toto Cutugno del 1980. Vecchi di oggi che ancora pensano di essere i giovani di ieri.

domenica 4 dicembre 2022

Je suis comme je ne suis pas

Ho visto ieri sera, con ritardo, la puntata di Otto e mezzo in cui era ospite Elly Schlein. L'ho vista sull'applicazione di La7, dopo che su giornali e web se ne stava parlando diffusamente.

Questa lieve dilazione temporale mi ha consentito un approccio più analitico; in alcune occasioni ho fermato lo streaming, sono tornato indietro, mi sono grattato la testa e ho pensato. E la considerazione finale non riguardava più Elly Schlein, ma Giorgia Meloni.

Quanto è brava Giorgia Meloni, mi dicevo ogni volta che la candidata alla guida del PD apriva bocca. E non perché sia d'accordo con lei, con Meloni, intendo, una sirena che non riesce a strapparmi dall'albero delle mie convinzioni politiche, per tuffarmi nell'oceano di voti della Destra. Però capisco ciò che dice, oltre a sentire la passione autentica e un po' ruspante con cui lo intona.

Passione che si percepisce anche nella Schlein, ma, come nelle auto sportive vendute agli americani ricchi e scemi, viene contenuta, frenata, ridotta di potenza. E in ultimo, agli occhi di quel virtuale elettore del PD che sono io, vanificata.

Mi riferisco al birignao di frasi fatte, dichiarazioni virtuose di intenti 
– collegialità, mutualità, minoranze, ecologia  senza alcun esempio concreto, che negli anni ha preso il nome di politichese.

Tra le righe del politichese di Elly Schlein qualcosa di buono lo si intuisce (ad esempio che è di sinistra, cosa non più così scontata nel PD) ma il suo essere nata vecchia, alla maniera di quei bambini prodigio che a quattro anni sanno già suonare il pianoforte, parlare tre lingue senza dire nulla, la rende l'ennesimo candidato di coccio tra candidati di carne e sangue che sa produrre la Destra.

Certo, a sinistra la ruminazione è pratica diffusa 
 nel tiepido della stalla non ci si espone alle turbolenze del reale e si è tra simili, ci si intende ; con l'innegabile vantaggio di poter ponderare reazioni che altrimenti rischiano di essere troppo impulsive. Meglio di niente, insomma.

Ma, se Schlein diventerà il segretario del PD, l'erba fresca della politica resterà appannaggio della Destra, che ha imparato che tra brucare e cacare meno filtri ci metti e meglio è. E in particolare di Giorgia Meloni, la quale ha fatto proprio un celebre verso di Prevert: "je suis comme je suis". Elly Schlein è invece come pensa si debba essere per essere di sinistra.

giovedì 1 dicembre 2022

Una donna in mutande, o sulla post felicità

Un mio contatto femminile su Facebook, giovane donna dall’aspetto decisamente gradevole, ha appena pubblicato un’immagine che la ritrae ricoperta solo da uno smilzo completo intimo bianco; lo sfondo è domestico, una parete marroncina alle spalle e, sulla sinistra, l’anta di un armadio economico, impiallacciato. Ovviamente i like erano molti, una bella donna svestita fa sempre audience: fuori e dentro i social. A corredo dell’immagine le seguenti parole:

"Parli di donne da buoncostume. (Edit: ho avuto una certa indecisione nel pubblicare questa foto, un autoscatto abbastanza rapido dell’ora di pranzo. Il mio fisico appesantito dai farmaci, senza filtri leviganti, sarebbe stato – ed è ora – sotto gli occhi di tutti. Ma questo è ed è giusto che chi lavora anche con l’immagine non si nasconda quando la forma non è ottimale. Quest’abbondanza di curve non mi rende felice, ma poi neppure particolarmente triste. Tornerò skinny se potrò, quando potrò, quando sarò più serena.)"

Sono parole ben articolate. Denotano consapevolezza di scrittura, ironia, ammiccando, oltre che ai sensi maschili, a una celebre canzone di Vecchioni. Ma anche consapevolezza di sé, del suo momento di difficoltà che è come se venisse testato: il mio corpo, anche se non più “skinny”, può ancora qualcosa…? Vediamo.

Una verifica del tutto lecita, nessun moralismo. Nel testo c'è un passaggio che ha innescato una riflessione speculare. Quando scrive “quest’abbondanza di curve non mi rende felice, ma poi neppure particolarmente triste" lo stesso vale anche per me? Se guardare una donna in mutande non mi intristisce, intendo, riesce a rendermi più felice?

Risposta: sì, quando trafugavo il Postal Market di mia nonna e, chiuso in bagno, mi precipitavo alle pagine dell'intimo femminile. Avevo però dodici anni, non credo funzioni ancora. No, quella immagine di erotismo soft, un po' Edwige Fenech che si mostra sotto la doccia ad Alvaro Vitali, un po' eucarestia laica (prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi), non mi ha reso più felice.

Sgombriamo nuovamente il campo dal moralismo: il profilo è il suo, e, nei limiti del galateo puritano di Facebook, può farci quello che le pare. Solo che la sua felicità passa attraverso di me: mi attraversa, interroga, chiama in causa. Sono in un certo senso responsabile – ogni domanda ha in sé uno spettro di risposte potenziali, che ne rappresentano l’ombra – della felicità di un essere umano.

Ho così iniziato a pensare se si potesse essere felici da soli… Sì, no, forse. Anche qui la risposta è individuale; per quanto mi riguarda, propenderei per il no. Anch'io ho bisogno di essere osservato, riconosciuto, compreso per essere felice. Nella migliore delle ipotesi amato. Ma amato da un altro – ecco la vera domanda – o come lei da molti altri, una moltitudine indifferenziata che le sussurra non è vero che sei grassa, sei sempre bellissima?

Una relazione senza relazione, in questo caso, uno scambio senza scambio. O meglio, lo scambio avviene a livello del significante: io sono felice nel rendermi segno riconoscibile e riconosciuto, tu sei felice perché quel segno stimola la tua fantasia, ti attizza; equivalente casareccio del francese allumeuse (le donne che si compiacciono nello stuzzicare il desiderio maschile, senza corrispondervi fisicamente).

Ma in un’economia simbolica del desiderio i termini non sono sempre chiari, e alcuni potrebbero intendere una promessa sessuale concreta. Le fantasie di stupro non nascono forse da qui, insieme alle maldestre giustificazioni di chi le mette in atto: “Portava la minigonna, vostro Onore…”

Perciò, nella sua candida flagranza, ho apprezzato il post in questione, l'esibita assenza di transitività con cui offriva il suo limite. La donna in mutande mi sta infatti dicendo che di me non gliene frega niente, non mi vuole ma si vuole – che è poi il sentimento condiviso dal 99% delle persone sui social. Con la differenza che lei lo dice chiaramente, gli altri, me compreso, no. Omettiamo la sostanza come destino antropologico acquisito.

La relazione istituita dalla donna in mutande scavalca invece l'io biografico dei singoli interlocutori con delicatezza, prima li avverte: non mi sto rivolgendo a te, togliti residui grilli dalla testa, io sto parlando alla mia felicità. Di quella soltanto ho interesse. Zero rapporti personali, solo un pubblico non pagante e un primo attore sulla scena. Con un rigido diaframma di pixel a dividere gli scomparti.

A questo modo comprendo la natura di quella che potremmo chiamare post felicità, o felicità 2.0. Come anticipato da Guy Debord, emula le modalità dello spettacolo, fino convertirne le dinamiche in un sistema mondo; una società dello spettacolo, appunto. La felicità spettacolare si dà non quando un io entra in relazione con un tu, ma quando quello stesso io si staglia sopra alla galassia del noi, la incorpora, vampirizza.

Nel caso specifico, ciò avviene con estrema onestà intellettuale, nessuna vana promessa tra le righe. Solo una donna in mutande che si osserva per conto terzi, non velando neppure i problemi di salute per cui sta prendendo farmaci; le pallide carni vengono gonfiate dalle benzodiazepine, si dilatano gli elastici del reggiseno. Cosa che non la rende certo felice, ma quel tempo un giorno finirà. Ed è quanto le auguro di cuore.

Se ti va bene lascia l’obolo del tuo like; si accettano anche complimenti, cuoricini. È sufficiente che batti un colpo per far sentire che io esisto, non tu. Se no levati dalle palle in silenzio. Che è poi quello che ho fatto.