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venerdì 12 settembre 2025

Malattia delle catene

Charles James Kirk viene ucciso il 10 settembre 2025 a Orem, Utah, durante un comizio in cui parla di armi libere, viene ucciso da un solo precisissimo colpo esploso da un’arma talmente libera da sparargli. Non voglio fare del sarcasmo, la sua morte violenta mi turba come quella di ogni altro essere umano – e cioè limitatamente, l’inflazione di comunicazioni drammatiche ci ha reso meno permeabili al dolore degli altri. Aveva ragione Francesco Guccini quando cantava: “Mi è andato il cane sotto un camion quella sera, ho pianto come un vecchio sopra una bandiera. Se fosse stato un compagno basco avrei forse pianto di meno".

Ma torniamo a Kirk, sembra il triste paradosso contenuto nel motto evangelico chi di spada ferisce di spada perisce. Da persona che si sente più affine alla nebulosa del pensiero progressista – sempre più nebulosa, in effetti –, mi interessa però l’altro paradosso che coinvolge l’assassino, il ventiduenne Tyler Robinson; dal poco che sappiamo di lui comunque traspare un sentore da album di famiglia, per riprendere la celebre e controversa definizione di Rossana Rossanda riferita alle BR. Possiamo infatti includere non tanto il suo sciagurato gesto, ma lo sfondo da cui origina nell'area della sinistra radicale, a partire dal macabro dettaglio della scritta Bella ciao iscritta sul proiettile che ha fatto centro. 

Per contestare la facilità con cui negli Stati Uniti si possono detenere armi grazie a una lunga tradizione repubblicana, ecco il paradosso, chi preme il grilletto porta alle estreme conseguenze ciò che contesta, agisce la negazione beneficiando del possesso di un'arma. E non pensiamo di cavarcela con un altro motto che vuole gli estremi toccarsi. No, c’è molto di più. Una rappresentazione plastica per analogia sta nella morte di Kurtz al termine di Apocalypse Now. Il capitano Willard lo colpisce con un machete, Coppola alterna la sequenza con il sacrificio rituale di un bufalo d'acqua, per poi assumere simbolicamente i tratti della vittima interpretata da Marlon Brando, con il suo cranio glabro sempre inquadrato in penombra. Hanno ammazzato Kurtz e Kurtz è vivo, il sotto testo.

Una dialettica di rispecchiamento e incorporazione dei contrari chiamata da Nietzsche malattia delle catene, a cui – sempre per Nietzsche – ci si deve sottrarre se si vuol diventare ciò che si è. È il tema della differenza, dell'identità, che con Jung prende il nome di individuazione; il nemico è l'ombra da rischiarare per precisare il ritratto, non abbattere per sostituirci a esso. Il seme diventa albero, il fiume mare e i cignetti strani e candidi aliscafi, per quanto siano ancora tutti neri. Lo stesso dovrebbe essere in politica, ma non sempre è così.

Per molti anni la Destra, orfana del fascismo sempre più ridotto a folclore, ha trovato la propria ragione politica per contrapposizione alla Sinistra culturalmente egemone, mentre ora i rapporti si stanno invertendo: è la Sinistra a essere ammalorata dalle catene arrugginite della Destra, recuperando una friabile identità nel semplice diniego, poco importa se strillato o articolato con una bella erre moscia alla Bertinotti. D'altronde già recitava Eugenio Montale un secolo fa: "codesto solo oggi possiamo dirti: / ciò che ne non siamo, ciò che non vogliamo".

Ma l'assenza di un'idea di mondo autonoma contiene il rischio della controfigurazione, quando il contrario di Anna è sempre Anna. L’omicidio di Charles James Kirk dovrebbe agire dunque da monito, io almeno lo vivo così, temendo di poterne replicare la dinamica, seppure in scala diminuita. Non è infatti necessario ammazzare qualcuno per incatenarsi ai fantasmi destrorsi che ora si aggirano per l’Europa. 

venerdì 29 agosto 2025

Gabbiani ipotetici

In una canzone di oltre trent’anni fa, Qualcuno era comunista, Giorgio Gaber compie del comunismo un’analisi psicologica minuziosa, è un crescendo musicale ma anche di emozioni e sentimenti contrastanti, a convergere in un'urna di legno dove depositare la scheda elettorale: PCI il nome su cui è stata impressa la crocetta, accompagnato da falce e martello stilizzate in giallo, una stellina di uguale colore, in campitura naturalmente rossa. Molto rossa.

Nel testo vengono enumerate le infinite ragioni per cui, nei decenni seguenti il secondo conflitto mondiale, gli italiani con i loro mutui per l'agognata casa di proprietà, le loro Seicento e i pochi risparmi in banca oppure frigo e lavatrice, bisognava scegliere, avevano votato in massa per un partito che proclamava la collettivizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, con percentuali superiori a qualsiasi altro omologo europeo. In una strofa centrale viene detto:

Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come

Più di se stesso: era come due persone in una

Da una parte la personale fatica quotidiana

E dall'altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo

Per cambiare veramente la vita, no, niente rimpianti

Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare

Come dei gabbiani ipotetici.

Io la trovo una riflessione acutissima, un’immagine veritiera non solo del suo specifico oggetto, ma che possiamo allargare al modo delle foto sullo smartphone, basta sfiorarle con due dita da divaricare per il pic to zoom. Nella sua estensione coglieremmo come, più in generale, la politica del passato conteneva due momenti: il possibile, rappresentato dal gabbiano ipotetico, e l’uomo reale immerso nella personale fatica quotidiana, che cerca di spiccare il volo senza esserne capace.

Ma forse è un meccanismo antropologico ancora più universale e antico. Lo ritroviamo, ad esempio, nel rapporto tra mito e rito. Anche il mito è una sorta di gabbiano collocato in una dimensione intangibile e astratta; con Platone, diventerà il cielo delle idee. Mentre il rito rappresenta il tentativo di riportarlo sulla terra – non per burlarsene come viene fatto nell’Albatros di Baudelaire, lo si reifica per fare del mondo un'immensa voliera –, o in alternativa porre l’uomo allo stesso livello del gabbiano. Dante esprime il medesimo concetto con il termine indiarsi, farsi Dio, e cioè elevarsi fino a coincidere con il mito cristiano.

Se diamo una scorsa ai principali movimenti politici novecenteschi, è una dinamica puntualmente ritrovabile: il comunismo, ci mostra Gaber, era un mito aeronautico; ma lo era anche la DC che si nutriva dello sfondo etico e ontologico del cristianesimo; un mito di uguaglianza il socialismo e perfino il fascismo era un mito, intriso dei tratti omerici dell’eroismo marziale, l’esaltazione della gioventù, la bella morte etc.

Tutti miti, sì. Attraverso il rituale dell'azione politica si cercava di realizzarli, con molte inevitabili approssimazioni. Era infatti un tendere a, uno slancio desiderante, già che il rito non potrà mai coincidere con il mito, e la politica è l’arte della mediazione. Ma si può mediare solo a partire da un obiettivo che possieda forza di magnete, viene collocato nel futuro e da lì chiama, risucchia, è il canto delle sirene. Un buon politico si faceva legare all'albero maestro come Ulisse, a questo modo non rinunciava alle note sublimi ma poteva dialogare con altre voci, altri miti. Ciò almeno nel passato. E adesso?

Adesso, a me pare, siamo entrati nel regime postmoderno della nostalgia. Non esistono più mitologie rivolte a oltrepassare il presente – un raggio di sole intravisto tra una coltre di nuvole – e così sì rammemora i miti del passato, ma senza crederci fino in fondo. Oppure ci si propone di compiere il già compiuto, un esempio è il femminismo, le cui istanze fondamentali sono già state incluse nella Costituzione italiana: non svalutare, picchiare, declassare, uccidere le donne. Ed è così che il femminismo, un mito realmente rivoluzionario, senza di esso non avremmo molti dei diritti attuali delle donne, corre il rischio di trasformarsi in un fenomeno di folclore.

Riprendendo la definizione di sacro offerta da Rudolph Otto, in un certo senso anche il mito rappresenta un mysterium tremendum et fascinans. Comunismo e fascismo, non comparabili per responsabilità storiche e intenzioni umane, sono accomunati nell'avere convogliato energie psichiche vitali e al tempo stesso tremende. Ma ora anch'essi rischiano di essere risucchiati nel cono d'ombra del folclore. Al riguardo, suggerisco di guardarsi su YouTube le interviste ai gitanti in camicia nera in quel di Predappio: innocue macchiette a cui si offrirebbe volentieri un bicchiere di Sangiovese, per poi star lì ad ascoltare le loro favole: "Quando c’era Lui, caro Lei…"

D’altronde il folclore è ben accolto in questo tempo, è un diserbante, nemmeno troppo tossico, che fa piazza pulita dei semi reali di dissenso; perciò nei talk show televisivi è gradita la figura del balengo, con le sue sparate ci fa sorridere e non ostruisce le rotte dei padroni del vapore. Un po’ come il tizio che a Portobello si proponeva di abbattere il monte Turchino per eliminare la nebbia in Valpadana.

Quando si tratta di fare politica per davvero, alla nostalgia subentra infatti una visione aziendalistica della cosa pubblica. Inaugurata in Italia da Berlusconi, si è in seguito estesa all’intero Occidente: la convinzione che il mondo sia questo mondo qui, tertium, ma neppure secundo, non datur. Da ciò il culto dei governi tecnici, gli esperti, i sindaci che devono essere dei manager di successo, alla Beppe Sala. Gente per cui sviluppo e progresso coincidono, non vengono distinti come faceva Pasolini.

In ciò possiamo scorgere un implicito, una vocina che sussurra senza bisogno di muovere le labbra: non esistono, ci dice la vocina, alternative alle magnifiche sorti liberal-capitalistiche, prima o poi quel modello verrà esteso anche a Marte, è solo questione di tempo ma Elon Musk ci sta lavorando. Dunque tanto vale lasciar spazio all'efficienza senza porsi questioni di senso, estetica, morale. Se proprio volete cambiare vita, iscrivetevi a un corso di mindfulness, oppure entrate in una libreria esoterica e prendete un bel libro di Rudolf Steiner; ancora meglio se mandate i figli a una scuola steineriana, come ha fatto Veronica Lario.

Il ragionamento non farebbe una grinza, se non avessimo l’ultima strofa della canzone di Giorgio Gaber. A insinuare dei dubbi che questo sia davvero il migliore dei mondi possibili...

E ora?

Anche ora ci si sente in due

Da una parte l'uomo inserito

Che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana

E dall'altra il gabbiano, senza più neanche l'intenzione del volo

Perché ormai il sogno si è rattrappito

Due miserie in un corpo solo.

giovedì 28 agosto 2025

Progressismo retroattivo

Una donna sul web scrive di non essere femminista. Scrive anche altre cose in realtà, lo fa bene, con ironia e sottigliezza discorsiva, ma noi zoomiamo solo su quella dichiarazione di non intenti. Anche perché le risponde a stretto giro un'altra donna, con le seguenti parole:

"Non è un partito il femminismo né una scuola né un genere. Chiede semplicemente di non svalutare, picchiare, declassare, uccidere le donne. In questo senso tutti e tutte dovremmo essere femministe..."

Confesso, a me il commento ha fatto un po' girare le scatole, è sempre antipatico quando qualcuno pretende di insegnarti cosa dovresti essere. Ma lasciamo andare, in fondo non l'ha detto a me. Mentre è inequivocabile un fatto: non è il femminismo a chiedere di non svalutare, picchiare, declassare, uccidere le donne, ma la Costituzione italiana a imporlo. Non è un dettaglio di poco conto.

Eppure è vero che il femminismo ci è arrivato prima, non avremmo la Costituzione che abbiamo senza le battaglie per l'emancipazione femminile, senza le suffragette che all'inizio del XX secolo rivendicavano il diritto di voto in Gran Bretagna, senza il femminismo, sì. Verso cui è giusto provare un sentimento di sana gratitudine.

Ma adesso che facciamo, mettiamo indietro le lancette dell'orologio e ripartiamo dalla mezzanotte, oppure proviamo a sporgerci sul presente per individuare le ingiustizie e le esclusioni da emendare nel futuro, a cui fare seguire un piano articolato di contrasto?

A scanso equivoci: mi riferisco al presente occidentale, quando in Iran, per dire un luogo tra i molti in cui le donne ancora patiscono la prevaricazione maschile, la parola femminismo (non so come si traduca in farsi) ha pieno diritto a essere pronunciata forte e chiara.

Ma torniamo al commento riportato. A me sembra che rifletta una disposizione diffusa in molti campi, specie quello politico. Potremmo chiamarlo progressismo retroattivo. Un esempio? I discorsi di Elly Schlein.

Quando Elly Schlein parla pubblicamente – in privato deve essere molto simpatica, il suo sorriso schietto e contagioso lo lasciano intendere –, in tali occasioni è piuttosto comune vedere cadere braccia umane come foglie da un pioppo in autunno. E così, piano piano, la Sinistra perde i pezzi.

Non che dica stupidaggini, ma nelle sue parole viene coniugato l'ovvio, declinato il già detto, lo stracotto, gli avanzi del banchetto. Per dirla con il marchese Fulvio Abbate: musica leggera per ceti medi. In tutto medi.

Schlein la orchestra con termini altisonanti e dotti, ma nella sostanza anche lei ci sta dicendo che non bisogna svalutare, picchiare, declassare, uccidere le donne. Ok, fin qui ci siamo. Ma qual è l'idea di mondo, di nuovo mondo, meglio, per cui la Sinistra si batte e io dovrei votarla?

Non pervenuta, come la temperatura di Campobasso negli anni Settanta.

mercoledì 6 agosto 2025

In difesa di Liliana Segre, o sul contro-illuminismo di sinistra

Me le ricordo ancora le celebrazioni dell'incontro tra Liliana Segre e Chiara Ferragni, era il 27 giugno del 2022, il luogo la Fondazione memoriale della Shoah di Milano. I post gongolanti si sprecavano sui social. Chiara è una di NOI, sottotesto che non di rado si traduceva in testo, festa, girotondo gongolante. Quando Liliana, si sa, lo era da sempre: una compagna, e poco male se il marito si era candidato nelle file dell'MSI di Almirante, era tanto tempo fa.

Non furono da meno giornali e talk politici, tutti saldamente collocati a sinistra. La prima a essere stralciata dal presepe fu proprio la Ferragni, le mani ancora sporche dello zucchero a velo del pandoro: un bel calcetto in culo e la superiorità morale della Sinistra era di nuovo ristabilita. Adesso è venuto il turno di Liliana Segre, rea di non voler pronunciare, a differenza di David Grossman, il termine genocidio. Alla fine il metodo rimane invariato, non meno del bisogno di vitelli d'oro da venerare nell'eclisse del Dio unico (la rivoluzione proletaria) per continuare a sentirsi diversi e migliori. In fondo ci stanno ancora Saviano, Chiara Valerio, le infinite vedove di Michela Murgia etc.

E così, per puro spirito di contraddizione, a me viene da difenderla, Liliana Segre. Non che ne condivida il pensiero – io penso che uno schifoso genocidio a Gaza sia in atto –, ma trovo infantile questo desiderio di vedere riflesse le nostre convinzioni in una Sacra Famiglia, dove la Segre verosimilmente incarnava la nonna buona. Mi viene in mente il finale dei Ponti di Madison County, lì erano i figli di Merly Streep a scoprire che la madre era un essere umano come tutti, e gli esseri umani possono cedere alla tentazione di una relazione extraconiugale o, di tanto in tanto, scoreggiare in ascensore e dire qualche minchiata. Cose che non sono in contraddizione con l'essere stati in un campo di sterminio nazista.

Resta allora da decidere se assumere l'imperfezione come tratto distintivo dell'umano, oppure trovare una nuova nonnina per il presepe; le staffette partigiane sono già quasi tutte morte, va a finire che il ruolo verrà assegnato a Roberto Vecchioni con una parrucca da donna in testa, come si faceva nel teatro antico e in quello elisabettiano.

La prima scelta coincide con la condizione adulta, la quale comporta una molteplicità di interpretazioni del mondo, non sempre forgiabili in stampo. La diversità di giudizio, in tal caso, rimane diversità, non colpa, tantomeno stigma da esibire sui social. Se vogliamo un riferimento alto possiamo chiamare in causa Voltaire, e la sua difesa del diritto a esporre opinioni da lui non condivise. Ma io preferisco il riferimento basso a Stanlio e Ollio, che già a partire da corpi tanto dissimili  ma ogni aspetto era in loro antitetico, persino nella vita reale – avevano saputo trarre una forza pazzesca. Per inciso, si chiama complementarietà.

Detta in sintesi, ciò che i fatti recenti mostrano è una Sinistra vandeiana e contro-illuminista, ma pure priva di ironia, di capacità di sorridere dei limiti propri e altrui alla maniera di una vecchia comica in bianco e nero, senza con ciò fondersi in grigio. Una Sinistra che non si limita a dire ciò che pensa, come fa discutibilmente Liliana Segre, ma stabilisce il dicibile.

domenica 20 luglio 2025

Milano, o sulla differenza tra progressismo e sviluppismo

Non so se Sala abbia responsabilità penali nell'inchiesta milanese sul mattone, ma se mi dovessi affidare al naso direi di no. La responsabilità politica era però manifesta da anni, e coincide con l'equivoco inaugurato in Italia da Berlusconi: quello che la politica, appunto, sia un equivalente dei processi produttivi, e dunque l'abilità nel gestire un'azienda possa essere traslata alla cosa pubblica.

Non è così per molte ragioni, tra le quali una che venne introdotta da Pasolini in un articolo del 1973; ma il Corriere della Sera non pubblicò quel testo, che trovò spazio sugli Scritti corsari solo due anni dopo. Progresso e sviluppo, scriveva il poeta di Casarsa, sono termini alternativi e potenzialmente antitetici. Il progresso non è un concetto indipendente come lo sviluppo – data una condizione di partenza, senza variarne la natura può essere sviluppata fino ai suoi limiti fisiologici – ma presuppone una cornice di senso discrezionale, un mutare qualitativo oltre che quantitativo. In parole semplici: ci si deve prima accordare su quale sia il verso in cui progredire, non esiste progresso in sé, la tautologia non si applica a questa nozione.

La politica ha dunque quale suo specifico oggetto il progresso, non lo sviluppo, e prevede due momenti da porre in rigorosa sequenza: la determinazione collettiva di tale verso, quindi la sua applicazione. Essere efficienti concerne il solo secondo punto, ed è certamente un merito. Ma a patto che vi sia stato accordo e trasparenza nella prima fase, ossia e di nuovo la selezione politica degli obiettivi. Viceversa il progresso può tradursi in regresso.

A volte la dialettica democratica rappresenta una zavorra per l'efficienza: si vorrebbe fare di più, rimboccarsi le maniche e darci dentro per realizzare ciò che ci appare scontato (case sempre più alte e rilucenti di specchi, ad esempio), ma che a ben vedere scontato non è. Bisogna negoziare le scelte, chiarire la ricaduta sociale e ambientale, precisare i valori della comunità di riferimento ancora prima di corrispondervi, infine dare spazio ai dubbi di un'inevitabile frangia di scettici o comuni guastafeste, altrimenti detti minoranza. E così un buon politico deve sapere anche premere sul freno, non solo sull'acceleratore.

Quale sarà l'esito dell'inchiesta – ovviamente, auguriamo a Sala di uscirne indenne –, non possiamo evitare di registrare che il suo piede era pesante, come viene detto dei piloti automobilistici che molto pigiano sull'acceleratore. Una disposizione affrettata alla guida sufficiente a ridimensionarne la figura: da politico progressista, ad amministratore sviluppista.

Se avesse avuto maggiore consuetudine con il freno avrebbe con probabilità fatto di meno, quando in quel fare sono incluse anche opere di obiettivo interesse pubblico; e ciò glielo riconosciamo volentieri, come si dice: chi non fa, non sbaglia. Ma se non altro adesso conosceremo la direzione verso cui stava correndo Milano, che somiglia sempre più a un vecchio film di Andrej Končalovskij, A trenta secondi dalla fine. Dove un treno senza più guida procede a tutta forza in un nulla alaskano di conifere e neve.

lunedì 30 giugno 2025

La povera gente

Dei personaggi pubblici mancati negli ultimi anni, quelli di cui ho sentito maggiormente il lutto sono stati Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Mariangela Melato, Nadia Toffa, Gianluca Vialli, Eleonora Giorgi, Silvio Berlusconi e Papa Francesco.

Se i primi tre trovano una giustificazione nei miei interessi e passioni, di Vialli mi piaceva la timbrica vocale rilassata e rilassante, non sono tifoso di calcio, e la naturale gentilezza, mentre Nadia Toffa ed Eleonora Giorgi le trovavo donne senza sovrastrutture glamour, con una naturalezza volta al bene; ho seguito distrattamente la loro carriera professionale, ma alla notizia della scomparsa ho sentito stringersi il diaframma.

Quanto alla compresenza degli ultimi nomi, mi procura un vago senso di imbarazzo  forse una parte di me ritiene blasfemo infilare nello stesso paniere la massima guida spirituale, almeno in Occidente, e il massimo puttaniere.

Eppure Berlusconi aveva saputo trasmettermi quell'illusione di familiarità  non ero così ingenuo da credere di essere ricambiato  che te lo faceva percepire come un parente un po' eccentrico, lo zio mattacchione che ha fatto fortuna in America e quando torna (naturalmente in Cadillac) regala cappelli da cowboy a tutti. Non ti piace il cappello da cowboy? Non c'è problema, ha lì bello e pronto anche il piumaggio da Toro Seduto, e dopo un paio di bicchieri tutti nel lettone di Putin, dove può finalmente raccontare storielle licenziose.

Ma se dovessi fare il crudele gioco della torre, non sarebbe lui, e nemmeno Bergoglio, a rimanere in vetta, e piuttosto Enzo Jannacci.

Mi capita spesso di pensare: cosa avrebbe detto di questo Jannacci, e di quest'altro? La politica, ad esempio. Nella sua ultima intervista cercarono di farlo sbilanciare sull'argomento, ma lui driblò la domanda con la consueta stralunata grazia; era un campione nel non rispondere, salvo poi accorgerti che in quelle frasi smozzicate aveva nascosto una perla. Dopo avere bofonchiato qualcosa che non ho capito, come se un ventriloquo stesse facendo prove di sincronia con le labbra, finalmente parole quasi comprensibili:

"Io non vengo mica qua perché sono fanatico... vengo qui per vedere i ragazzi che sono cresciuti... eh... sono contento che ci siano... ma non perché sono di fede cristiana, o di fede religiosa socialista... anzi, io spererei che fossero tutti come mio padre... come me... che pensassero agli altri, alla povera gente."

Non credo che un manuale di filosofia politica riesca a dirlo in forma più esatta: pensare agli altri, alla povera gente. Sì, Jannacci è il performer, il cantante, il medico, il musicista e perfino il politico che mi manca di più. Ma soprattutto mi manca la persona, l'uomo. Un uomo che, come suo padre, pensava agli altri, alla povera gente.

martedì 26 novembre 2024

La scrittrice, il filosofo e la trasformazione della tragedia in farsa.

La storia si ripete sempre due volte… Della vicenda che coinvolge Leonardo Caffo e il suo invito a Più libri, più liberi, la manifestazione letteraria romana diretta da Chiara Valerio, con le successive polemiche legate alle accuse dell’ex compagna di Caffo di stalking e violenze private, quindi la rinuncia a partecipare del giovane filosofo antispecista (addirittura ha adombrato il suicidio), la Valerio lo difende appoggiandosi al principio di presunzione di innocenza, poi però cambia idea e mica è detto sia finita qui... insomma, a me, di tutta questa infinita pantomima, più che altro risuona il famoso aforisma di Karl Marx: "La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa."

Ma arriviamoci per gradi, la forma interrogativa ci è forse d'aiuto. Possiamo, è intellettualmente lecito intendo, identificare Caffo come un brutale rappresentante del patriarcato, seguendo una tendenza a cui i social fanno da consueto volano? Di conseguenza, Chiara Valerio avrebbe tradito il patto di sorellanza: è una rinnegata! viene detto da più parti.

Massì, possiamo, possiamo dire ciò che ci pare, e infatti lo stiamo facendo. Come cantava Giorgio Gaber, viviamo in un tempo in cui tutto si può, compreso farsi una bella lega. Ma se andiamo a leggere le carte processuali e fermo restando la presunta innocenza dell'imputato – su questo ha perfettamente ragione Valerio –, scopriamo che, dopo le violenze di cui è accusato, Caffo sarebbe ogni volta svenuto, o avrebbe supplicato la fidanzata malmenata di chiamare soccorsi: per lui, beninteso. Non per lei. Già che l’avere scoperchiato il vaso di Pandora della propria aggressività gli avrebbe procurato degli attacchi di panico. È la stessa donna ad averlo dichiarato alla magistratura inquirente, non la sceneggiatura di un film con protagonista Christian De Sica: "Amo', chiamame 'n ambulanza, dai, movete... me sta a girà tutto."

La vicenda ripropone una questione urgente: l’aggiornamento del vocabolario, come viene fatto l’update delle app sullo smartphone è necessario aggiornare le parole. La parola fascismo, ad esempio. Il fascismo è terminato il 27 luglio del 1945, non esistono rischi che si riproponga con gli stessi abiti in orbace. Eppure, nell’intero Occidente stiamo vivendo una recrudescenza di culture politiche autoritarie, al fascismo possono essere associate per via simbolica, ma possiedono una natura specifica e specifiche finalità. Dargli un nome nuovo e più appropriato è funzionale a combatterle.

Allo stesso modo, il patriarcato è una struttura economica e sociale che ha dominato incontrastata a partire dal primo millennio a.C. – una precedente epoca matriarcale è per la verità solo ipotetica, ma alcuni indizi non ne escludono la possibilità –, estendendosi con minime variazioni fino al 1600, quando è cominciata a entrare in crisi. Questa temporizzazione, suggerita da Massimo Cacciari, la ricaviamo dalle opere di Shakespeare, dove troviamo figure maschili sempre più smarrite e incerte nei confronti delle donne. Crisi che si approfondisce con la rivoluzione industriale e l’urbanizzazione, a cui è seguita, nell’Ottocento, l’affermazione della borghesia cittadina (pensiamo a Carlo Bovary, come Amleto altro esempio di maschio post patriarcale) per trovare definitiva dissoluzione con i movimenti del '68.

Da oltre cinquant’anni è dunque improprio parlare di patriarcato, a maggior ragione quando la pur gravità delle imputazioni – la violenza è violenza – prende connotati decisamente farseschi. Detto ciò, bisogna riconoscere che al tramonto del sistema patriarcale non è seguita una sorta di palingenesi femminile, e nelle società occidentali è rimasto un primato maschile a tutti i livelli: politico, economico, sportivo, perfino la sessualità ne è coinvolta. E se le violenze sulle donne sono sempre esistite, viene il sospetto che ne sia mutata la natura: da famigliare e quotidiana, quale vediamo nel film della Cortellesi, si è passati a episodi meno diffusi ma più distruttivi, che prendono il nome di femminicidi – nel 2023 abbiamo avuto, solo in Italia e in base ai dati Istat, 96 femminicidi. Il numero è quasi triplicato rispetto agli anni Novanta.

Una delle ipotesi ricavate dalla psicologia sociale è che questi episodi rappresentino, per paradosso, proprio la conferma dell’implosione del modello patriarcale, che lascia non tutti i maschi, sia chiaro, ma solo quelli meno attrezzati emotivamente senza strumenti (se non appunto la forza) per gestire la conquistata autonomia femminile. Ma di nuovo, come chiamarlo? Montale ammoniva: codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Se a uno dei più grandi poeti del Novecento mancavano le parole, non sarò certo io a cavare le castagne dal fuoco. Provvisoriamente facciamo come lui, diciamo ciò che NON vogliamo, la violenza sulle donne sta in cima alla lista dei rifiuti; ma diciamo anche ciò che non siamo: patriarcali. Poi, però, con calma, una nuova parola va trovata, allo stesso modo dell’autoritarismo a matrice plebiscitaria e nazionalistica, che ripetiamo non è fascismo. Sono due voragini linguistiche da colmare. Senza le parole giuste le cose non vengono infatti comprese, e, senza comprensione, opporsi risulta caotico e soprattutto velleitario.

giovedì 7 novembre 2024

Acqua e acqua alla spina

Le recenti elezioni americane ricordano l'episodio di una commedia degli anni Settanta, altrimenti poco memorabile; e difatti ho scordato il titolo. Protagonista è Renato Pozzetto, dopo avere parcheggiato il suo motocarro entra in una trattoria chiamata Semivuota – oltre a lui, è presente un solo cliente – e chiede cosa è possibile avere per pranzo. "Minestrone" è la risposta dell’anziana e burbera proprietaria. "E poi?" "Minestrone, non hai sentito? Ma allora sei proprio un cretino."

Se non altro, sulle bevande si offrono due possibilità: acqua e acqua alla spina. Pozzetto opta per acqua alla spina, e gli viene servito un bicchiere di acqua del rubinetto in cui è immersa una spina elettrica.

L'episodio poi continua sugli stessi toni, umorismo surreale della prima maniera, quando Renato era ancora in coppia con Cochi e al Derby si rideva di gusto. Tutto ciò cosa c'entra con le elezioni americane? A me sembra che il menu politico, per entrambi i candidati, Trump e Harris, fosse minestrone. Nient'altro che minestrone. A cucinarlo sono la Costituzione, il Congresso, le lobby finanziarie e i contropoteri di bilanciamento politico particolarmente saldi nel Paese (il cosiddetto Deep State), ma soprattutto le strutture economiche sottostanti, altrimenti chiamate capitalismo.

Nemmeno il presidente degli Stati Uniti, insomma, può inventarsi un nuovo mondo, può quel che può e non è moltissimo. Ha però un piccolo margine di scelta rispetto alle bevande: ha la facoltà di scegliere tra acqua e acqua alla spina. Nella circostanza, quel minimo margine coincide con le politiche ambientali; a ben vedere, una delle poche variabili reali entro un impianto economicista. Ma sarà più chiaro con un esempio.

Se io impongo al mercato la produzione di soli veicoli elettrici e/o a idrogeno entro l'anno X (facciamo, come era stato inizialmente ipotizzato dalla Harris, il 2035), non procuro un danno all’industria automobilistica, offrendo ai gruppi in cui si concentrata condizioni paritarie per competere. Semplicemente, andrebbero a sostituire i profitti delle auto con motori a combustione con quelli derivati dalle auto dotate dei nuovi propulsori. L'economia di mercato funziona come gli sport: a calcio non si può toccare la palla con le mani, a basket l’opposto, ma una volta che tutti si uniformano alle regole il gioco può prendere avvio, e il mercato procede senza troppi scossoni.

L’elezione di Kamala Harris, che in campagna elettorale aveva riveduto e corretto al ribasso molte delle sue iniziali posizioni ecologiste, avrebbe comunque rappresentato la speranza di un cambiamento per l'ambiente, piccolo ma significativo. Mentre, con Trump, abbiamo la certezza di una sensibilità da betoniera per il cemento, e stiamo parlando di una delle nazioni più impattanti sul sistema mondo: nessuna speranza di contenere gli effetti nefasti dell'antropocene per i prossimi quattro anni, quando gli anni per un mutamento che ci renda compatibili al pianeta sono sempre meno; e lasciando provvisoriamente da parte tutto il resto, che pure inquieta nei suoi programmi.

Anche solo per tale ragione, sbaglia chi dice che tanto non sarebbe cambiato nulla. Acqua e acqua alla spina differiscono di poco. Ma differiscono.

venerdì 11 ottobre 2024

La voce degli ebrei

Quando, nel decennio scorso, ci furono le stragi islamiste in Francia e Inghilterra, si chiese ai mussulmani presenti in quei paesi – ma fu fatto anche qui – di scendere in piazza e manifestare il proprio dissenso, ottenendo risposte perlopiù tiepide e levantine, nelle quali prevalevano i se i ma e i però. 

Ora è venuto il momento di porre quella stessa richiesta a tutti gli ebrei, e ho detto proprio ebrei, non israeliani, ovunque essi vivano: dissociatevi pubblicamente da una guerra parzialmente giusta nelle premesse difensive (ma forse non si dovrebbe mai parlare di guerre "giuste", e solo di guerre legittime), quanto criminale nei modi. Guerra combattuta da Israele, guerra di sterminio, guerra con una proporzione di vittime civili e di minori inaudita, guerra in cui per la prima volta si spara intenzionalmente contro le truppe dell'Unifil, come a dire dell'unica agenzia di pace (l'ONU) di cui l'umanità è riuscita a dotarsi, con tutti i limiti che l'impresa comporta. Guerra per dirla con un solo aggettivo, vergognosa.

È importante che gli ebrei lo facciano per due ragioni: la prima etica, e non occorre spiegarne i motivi, mentre la seconda è strategica, perfino utilitaristica. Senza una loro piena e tempestiva condanna della guida politica israeliana, si andrà infatti ad alimentare anche in Occidente quell'antisemitismo non più strisciante ma che rialza il capo orgoglioso, come nelle manifestazioni pro palestinesi dei college americani, o nelle farneticanti dichiarazioni di Chef Rubio e altri oltranzisti di una pseudo virtù. E non valgono, di nuovo, i se i ma e i però.

Che gli ebrei del mondo facciano sentire la propria voce, come qualcuno – penso in Italia a Moni Ovadia, o a Gad Lerner – già sta facendo. È solo un consiglio amichevole, sia chiaro, a loro carico nessuna responsabilità, ma piuttosto il rischio che tramite il silenzio si alimenti la confusione tra ebraismo e israelismo, che è cosa diversa ancora dal sionismo. Ma se decidono di spezzare questo vincolo vizioso, devono essere in tanti ad esprimere la condanna delle politiche militari di Israele con chiarezza, prima che il mondo torni a condannare gli ebrei.

giovedì 5 settembre 2024

Papaveri e papere 2.0

Se la politica è anche corpo, trovo interessante provare a individuare un correlativo tra i nostri politici e i dati morfometrici da essi incarnati. A sinistra prevalgono fattezze assolutamente nella media, e, con eccezione di Fassino e in parte Rutelli, non mi viene in mente nessun politico veramente basso o veramente alto – lo era Craxi, per quanto la sua collocazione a sinistra è ancora fonte di dibattito. Mentre a destra l'involucro fisico occupa la scena pubblica secondo le più varie occorrenze: basso era Berlusconi e bassa appare anche Meloni, la quale vive la propria statura con maggiore serenità; minuscolo Brunetta, al punto da rendere squallido ogni tentativo di fare ironia sulla sua condizione: fuoriuscito dalla destra di governo, ne rimane tignoso emblema nella memoria; Sangiuliano, nelle foto accanto a Maria Rosaria Boccia  l'ex amante, ora non è più l'insinuare dei maliziosi  che fa da parametro prospettico come la lattina di Coca-Cola per le riproduzioni in scala dei monumenti celebri, sembra non superare il metro e sessanta, il web non offre indicazioni più precise. Ma contemporaneamente abbiamo Crosetto con il suo metro e novantasei, Gianfranco Fini è alto 1.88, la stessa statura sia di Luca Barbareschi sia di Briatore, che andrà collocato anch'egli a destra per quanto si tratti di una destra antropologica e non politica, come nel caso di Bandecchi la cui dismisura avviene in ogni triplice coordinata spaziale. Giuliano Ferrara e Adinolfi prediligono l'espansione orizzontale, Vannacci torna a puntare nella direzione del vertice – quanto sarà alto: 1.90? – mentre la statura di Salvini è di "solamente" un metro e ottantacinque, comunque attestandosi ben al di sopra della media maschile attuale, che è di un metro e settantasette. A quel dato la sinistra sembra volersi cocciutamente attenere, reificando la vocazione maggioritaria che la contraddistingue: tutto ciò che viene prodotto dal PD deve corrispondere a un sentire che ha posto l'asticella alla tacca di una cauta normalità; Fabio Fazio per intenderci, anche fisicamente rappresenta il calco a cui riferirsi, l'idea platonica di sinistra nel nuovo millennio. Fazio non è alto e non è basso, non è bello e non è brutto, di certo è intelligente ma non geniale, ed è agevole accomodarsi sulle sue poltroncine di pelle bianca, le domande rivolte agli ospiti riflettono il range medio in cui si colloca. Diversamente, a destra prevale il culto dell'individualità, all'omologazione statistica viene preferita la differenza chiassosa, "je suis comme je suis" cantava Édith Piaf. La misura fisica ha così margine di oscillare liberamente, ci ricorda Mister Fantastic, il personaggio creato da Stan Lee in grado di estendere o contrarre a piacere il proprio corpo, dei Fantastici Quattro era il brizzolato leader in tutina blu. Non bisogna dunque criticare l'intervista di ieri sera di Sangiuliano al TG1, ha semplicemente fatto ciò che la destra sa fare meglio: altalenare frasi smozzicate tra le vette delle intenzioni e gli abissi della prassi.

sabato 17 agosto 2024

Esticazzi, o sulla sinistra al tempo di Elodie

Torno sul caso di Elodie, per allargare il quadro. Ma prima una premessa. Io da quando ho memoria politica mi sono sempre sentito antifascista, le volte in cui ho votato – adesso ho smesso – l’ho sempre fatto per partiti collocati nella parte sinistra dell'emiciclo parlamentare, e soprattutto credo nei valori rivoluzionari: libertà, uguaglianza e fraternità; dove la distinzione con la destra sta forse nell’estensione geografica del concetto di fraternità, prima ancora del maggior peso da dare all’uguaglianza rispetto alla libertà. Su questo possiamo anche riparlarne, e trovare un punto di equilibrio.

Ma torniamo a Elodie. Non è che ogni volta che qualcuno con un minimo di notorietà si dichiara di sinistra, noi si debba correre in suo soccorso, fare muro, branco, capannello. Questo è un atteggiamento che sa piuttosto di destra squadrista, ma di cui la sinistra si è appropriata – grazie a dio senza olio di ricino e manganello – negli ultimi anni. Ad esempio con la vischiosa e acefala solidarietà verso Fedez e Ferragni, e ciò per il solo fatto che si dichiarassero, di nuovo, anche loro, di sinistra. Poi da un giorno con l’altro puff, spariti, è arrivata una nuova icona politica: Elodie.

Elodie va difesa dagli strali di Giorgia Meloni, ti dicono, Elodie rinnova il culto dell’antico matriarcato nel mostrare il suo corpo senza l'ipoteca del maschio padrone, Elodie di qui, Elodie di là... Ma chi è Elodie? Le avete mai sentito articolare un discorso politico che superasse soggetto verbo predicato, entrando con seria volontà di comprendere – e cioè con strumenti di analisi, non importa attinti da quale campo del sapere – nella complessità del reale? Macché, siamo al Meloni mmerda, e sei un fascio se non le tieni bordone.

Lo dico: negli ultimi anni c’è molta più onestà intellettuale nelle pochissime teste pensanti che ci sono a destra. La rivalutazione di Gramsci da parte di Alessandro Giuli, ad esempio, non era affatto di maniera, ma segno di un processo di trasformazione che sta avvenendo in un'area politica che si pensava stazionaria e pregiudizievole – certo, non nei cori della curva sud della Lazio, ma quella è destra antropologica, così come è sinistra antropologica quella dei centri sociali.

Ancora prima, non era strumentale l’interesse dei cultori, anche estremi, della Tradizione nei confronti di Pasolini, nel cui pensiero sono obiettivamente presenti degli elementi nostalgici, antimoderni e localistici, che trovano punti di convergenza con il sentire reazionario. Mentre quanta timidezza nella sinistra nel dire infine e dopo troppi anni: va be’, se proprio ci tenete… Nietzsche potete pure leggerlo, ma con discrezione. Quanto ai discorsi radiofonici di Ezra Pound contro la struttura plutocratica dell’Occidente moderno, che, al netto dello sciagurato antisionismo del poeta dei Cantos, anticipano di un secolo le attuali analisi di Noam Chomsky, non ancora pervenuti.

Molto meglio le canzoni di Elodie, quelle possono essere cantate a squarciagola al Gay Pride o alle feste del PD, la cui simbolica tende sempre più a sovrapporsi. Perché Elodie è di sinistra, Elodie è contro Giorgia Meloni, Elodie è una di noi! E un esticazzi finale non vogliamo mettercelo?

mercoledì 14 agosto 2024

Idoli di sinistra

Ecco, magari non facciamo con Elodie lo stesso errore che con Fedez e Ferragni. Lei libera di fare i calendari Pirelli, di mostrare il suo corpo che è certo gradevole (quindi lo apprezzeremo quando andremo dall’elettrauto per mettere in fase lo spinterogeno) e cantare canzoni ugualmente gradevoli – ho detto gradevoli, non belle. Ma in tutto ciò non c’è nulla di politico, è la sua vita e la pagano bene per ciò che fa. Semplicemente non le piace Giorgia Meloni, nemmeno a me piace, l'unica differenza è che io lo dico al Bar Piero mentre lei a giornali e tivù, che la stanno trasformando nella nuova icona della sinistra italiana. Non abbochiamo, per piacere, non partecipiamo all'ennesimo giochino estivo: facciamo due squadre, una con la maglia rossa e una con la maglia nera. Se vogliamo cercare la sinistra, questa sfuggente ipotesi geometrica, nel mondo dell’arte, affiniamo lo sguardo e indirizziamolo altrove. Ken Loach ha ottantotto anni ma non è ancora morto, per dire. Due anni in più per Gino Paoli, sempre stato anche lui di sinistra. Il quale, a tal proposito, da vero genovese, l’ha fatta breve: “Ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il c**o.”

mercoledì 3 luglio 2024

Cameriere di Catanzaro, o sull'immaginazione e l'Ombra

L'associazione tra Ilaria Salis e una cameriera di Catanzaro possiede una volontà denigratoria, almeno quando a pronunciare la frase è Vittorio Feltri alla Zanzara. Anche perché ha poi aggiunto: "La cosa più bassa che si possa immaginare." Ma un conto è la volontà un conto la sostanza. Vediamo.

Per cominciare, non sorprende l'antimeridionalismo estetico del giornalista di Bergamo – è una forma già nota di bullismo al taleggio – ma il fatto che in molti vi abbiano abboccato, reagendo con un' indignazione decisamente sproporzionata. Il paragone non è infatti in sé squalificante: io non frequento spesso i ristoranti di Catanzaro, ma, a differenza sua, immagino le cameriere di quel luogo elegantissime.

Il punto è tutto qui. Non solo la bellezza sta negli occhi di chi guarda, ma anche l'immaginazione sta nella privata sartoria dove si ritagliano figure dal tessuto della fantasia. Se deleghiamo Feltri a immaginare per noi, non possiamo poi lamentarci che immagini male, addirittura offenda l'intero Meridione, con il sindaco di Catanzaro che l'ha subito denunciato.

Fossi stato al suo posto avrei replicato: È vero, Ilaria Salis era vestita molto bene, proprio come una cameriera di Catanzaro. Ma così non è stato e se ne deducono due possibilità:

1) anche lui pensava che l'abito della Salis fosse brutto, e allora lo dica chiaramente. In fondo se, da quest'anno, vengono rivestiti gli scrittori da stilisti di fama al Premio Strega, tutto lascia intendere che tra poco sarà il turno dei parlamentari della Repubblica... 

2) ha agito al suo interno ciò che Jung chiama Ombra, e da qualche parte della mente del sindaco c'è una vocina a sussurrare che, in effetti, Vittorio Feltri ci ha sgamato, le cameriere di Bergamo sono più eleganti di quelle di Catanzaro. Possiamo anche chiamarlo complesso di inferiorità.

martedì 11 giugno 2024

Scenari

Vannacci. Si dice che Vannacci ha salvato la Lega di Salvini con oltre 500.000 preferenze – gli abitanti di Genova, bambini e prostitute compresi. Può essere.

Ma il dato percentuale della Lega, 9 %, è pressoché identico a quello delle politiche del 2022, che a sua volta rappresenta un quarto dei voti alle europee del 2019, dove fu alzata l'asticella alla misura record del 34,3 %.

Va aggiunto che Vannacci non è tesserato alla Lega, la famigerata decima da imprimere sul suo nome è per l'appunto in nome proprio, l'accostamento al partito fondato da Umberto Bossi è puramente occasionale (strumentale, se osservata nella prospettiva di Salvini), e non a caso ha portato alla stizzita defezione del Senatur.

Vannacci sarebbe stato votato per le sue idee nemmeno troppo velatamente fasciste, sessiste, razziste, qualunquiste anche se si fosse presentato nel Partito dei pensionati, o in quello delle casalinghe di Voghera. Vannacci non rappresenta l'immagine del Paese reale, come disse Gobetti di Mussolini, ma di quel paesello immaginario dove vengono forgiati i gadget poi smerciati a Predappio, con cui dobbiamo abituarci a convivere.

Sono insomma voti prestati alla Lega, non voti della Lega. Che dunque non solo perde ulteriormente consenso, ma anche il forte radicamento territoriale, da sempre loro principale risorsa. E ai leghisti tutto si può contestare, ma non che non sappiamo fare di conto: il numero di forme di taleggio gli è sempre stato chiaro, la partita doppia gli viene naturalmente come a Panatta la veronica.

Mi aspetto così a breve un congresso straordinario, in cui l'attuale segretario venga sfiduciato. Quindi un ritorno alle istanze padane, i carri armati di cartapesta diretti al campanile di San Marco, la sagra della polenta e usei, il celodurismo in canottiera bianca sulla battigia di Porto Cervo. Mentre Salvini fonderà, assieme a Vannacci, un nuovo partito di estrema destra, dove le cravatte verdi si tingeranno di nero.

Questo è lo scenario più ragionevole. Ma abitando un luogo e un tempo assai poco ragionevoli, probabilmente non si verificherà.

sabato 27 aprile 2024

Profumi e balocchi

 

L'11 dicembre del 1926, partendo da Savona in una notte che ci piace immaginare stellata, Filippo Turati fugge dalla persecuzione fascista con il motoscafo Oriens; al timone si alternano Italo Oxilia e Lorenzo Dabove, accompagnati da Sandro Pertini, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri e Carlo Rosselli. Dopo dodici ore di navigazione sbarcheranno nel porto di Calvi, in Corsica, dove vengono immediatamente arrestati, prima di essere riconosciuti e ottenere accoglienza e sostegno.

Fiumicino, lunedì 15 aprile 2024, terminal 1. Al duty free del reparto profumeria, con sprezzo del pericolo ma indubbio gusto olfattivo, Piero Fassino viene scoperto dagli addetti alla sicurezza con in tasca un profumo Chanel; stava cercando di allontanarsi senza pagare, sostengono.

Non è importante che il furto venga accertato, né tantomeno i suoi risvolti penali – Fassino si difende dicendo che avrebbe pagato in seguito, mentre, filmati alla mano, il personale del negozio rincara affermando una disposizione recidiva. Naturalmente ci auguriamo che l'ex dirigente del PD venga scagionato dai riscontri (in ogni caso rischia poche centinaia di euro di ammenda), ma davvero la realtà dei fatti è per noi priva di interesse. Basta la sua narrazione.

A fare di una storia una buona storia è, infatti, ciò che in narratologia viene chiamata sospensione dell'incredulità; e qui la descrizione degli eventi risulta del tutto credibile, con la verosimiglianza non a sostituire la verità, ma a rendere visibile una sorta di fantasma. Siamo insomma al cospetto di un simbolo: riassume la metamorfosi politica avvenuta nei quasi cent'anni trascorsi tra i due episodi. Nemmeno un grande scrittore avrebbe saputo scovare una metafora altrettanto efficace, con la quale mostrare lo stato attuale della Sinistra italiana.

Nella canzone Profumi e balocchi, composta nel 1928 da Giovanni Ermete Gaeta, in arte E. A. Mario, un celebre verso intona:

"Mamma, mormora la bambina

Mentre pieni di pianto ha gli occhi,

Per la tua piccolina

Non compri mai i balocchi

Mamma, tu compri soltanto i profumi per te.”

L'unica differenza è che la Sinistra istituzionale non solo ha smesso di occuparsi di "balocchi", da destinare agli umili, agli emarginati, ai sottopagati e agli offesi da cicli e ricicli economici sempre nella medesima direzione di marcia, ma i profumi, rigorosamente per sé, nemmeno li compra più. Li ruba.

martedì 6 febbraio 2024

Capitalismo e sessualità

Contrariamente a quanto pensava Max Weber, per il quale il capitalismo discende dall’idea calvinista della predestinazione (ma in realtà gli stoici già credevano in qualcosa di simile), ho maturato la convinzione che la premessa del capitalismo vada ricercata all’interno della macchina umana, e nello specifico in quel suo meccanismo oscuro chiamato sessualità.

Ogni corpo possiede un capitale di desiderabilità, un capitale variabile che lo colloca su un'ideale scala graduata e gli conferisce un valore di scambio, convertito, in particolare nelle donne, in valore sociale. Beninteso, non tutto il valore di una donna è ovviamente derivato dal corpo, ma una parte significativa non solo nella ricerca di un compagno (ammesso e non concesso che lo voglia) e perfino di un lavoro, di una maggiore visibilità e consenso sui social.

Mettiamo una giovane fotomodella del Wisconsin appena sbarcata a Milano per la Settimana della moda. Nessuno deve spiegarle quanto vale in quanto corpo che si muove in uno spazio definito, cosa può ottenere da quel corpo anche senza concederne l'intimità. Già lo sapevano gli dei: all’arrosto, talvolta, è preferibile il fumo, e la bellezza è assimilabile al riverbero di uno scrigno chiuso, proprio come quello delle banche centrali dove vengono conservati i lingotti d'oro (il paragone è di Bataille).

E siamo giunti al cuore dell'intrico tra estetica, politica ed economia. Certo, si scherza, ma neppure troppo, in un ambito che è doveroso limitare all’Occidente. In esso il ruolo del maschio è tradizionalmente più ambiguo, con il capitale erotico che fa tutt’uno con il capitale tout court – i proverbi lo ricordano da sempre: “guardalo bene, guardalo tutto, senza denaro l’uomo quant’è mai brutto”. Ma comunque anche nel nostro caso bellezza, forza, prestanza sessuale ed età consegnano al corpo maschile un potere su altri corpi. Che poi uomini bruttissimi e anziani abbiano (raramente) relazioni con donne meravigliose ci riporta all'ambiguità della premessa, ma facciamo fatica a immaginare la stessa avventurosa esistenza in un Franco Califano brutto.

Certo, per un soprammobile o un tramonto o un'opera d'arte la bellezza non ha necessariamente rapporto con la sessualità. Ma per uomini e animali sì; nel dubbio, citofonare al pavone. Come quel tizio strambo che, a Portobello, intendeva risolvere il problema della nebbia in Val Padana abbattendo il passo del Turchino, esiste una soluzione altrettanto eccentrica per superare il modello primigenio di ogni altra sperequazione: non il comunismo, ma l’implosione del desiderio sessuale sarà la rivoluzione che porterà l’umanità fuori dall’orizzonte capitalista.

In fondo si tratta di una tendenza già in atto, le generazioni sono sempre meno ipotecate da foie ormonali; esistono degli studi inquietanti che testimoniano il collasso della produzione di spermatozoi nei maschi occidentali, rispetto al 1973 il calo supererebbe il 50%. Come a dire che siamo letteralmente diventati ciò che molte donne già sussurrano nelle conversazioni dal parrucchiere: dei mezzi uomini. A ciò si aggiunga la progressiva compromissione tra bios e tecnologia, a rendere la sessualità una componente sempre più residuale.

Lenin sosteneva che il termine socialismo può essere riassunto con i Soviet più l’elettrificazione delle campagne. La sua frase, riveduta e corretta, suonerebbe probabilmente a questo modo: il nuovo socialismo sarà instaurato dai tablet più la desessualizzazione dei campagnoli, che hanno ancora quel brutto vizio di andare a guzzare nei fienili.