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giovedì 16 giugno 2022

Personal shopper, o su come diventare ombre nell'ombra

 


Curiosando sui profili femminili di Facebook Dating – la meravigliosa funzione che promette, senza mantenere, una cornucopia di relazioni erotiche e sentimentali attraverso Facebook – mi sono sorpreso nello scoprire una gran quantità di buyer, personal shopper, consulenti di immagine e tatuatrici. Questo almeno ciò che le iscritte dichiarano alla voce professione.

Ci ho pensato un po', ma, anche risalendo molto indietro nel tempo, non credo di avere mai conosciuto una tatuatrice, oppure una consulente di immagine, una buyer, una personal shopper (tra le ultime due attività non so nemmeno bene la differenza).

Ci sono anche svariate educatrici cinofile, naturopate, logopediste, insegnanti di yoga, medium, manager, criminologhe, editrici, scrittrici, poetesse ecc. E devo dire che qualche donna che si occupa di queste cose l'ho incontrata, in particolare ho una cara amica che insegna yoga, l'ex fidanzata del mio amico Ivan faceva la logopedista, ma sono poche; anche e come diceva Moravia i veri poeti, "per ogni secolo ne nascono tre o quattro".

Se non proprio alle sole dita di una mano, mi affido così ai piedi per la conta, ma poi mi fermo lì. Mentre non ho incrociato su Facebook Dating nessuna disoccupata – nemmeno una, magari con una laurea in Lettere o Filosofia – quando invece abbondano tra le persone che frequento. Zero anche donne delle pulizie, vigilesse, cassiere all'Esselunga; le maestre elementari assumono nomi esotici, tipo agenti trasformazionali in ambito psico-pedagogico.

Mi è allora venuto un sospetto: è vero che il web riflette il mondo esterno, ma in proporzione alterata e secondo lo stesso rapporto che esiste tra caricatura e ritratto – un naso normale diventa un'enorme canappia, il testone al posto della testa, mentre le gambe si scorciano fino quasi a scomparire.

Quando nel passato mi è capitato di bazzicare il web – ora lo faccio molto meno –, ho finito col confidare in questa rappresentazione, sostituendo la caricatura al ritratto, fino a dimenticare che entrambi rimandano a qualcosa i cui contorni vanno progressivamente sfumando. Massì, chiamiamola pure realtà.

È come nel Mito della caverna di cui parla Platone nel settimo libro de La Repubblica. I prigionieri, incatenati in una grotta, osservano le ombre proiettate sulla parete che gli sta di fronte; sono generate dal fuoco che arde alle loro spalle in un braciere, davanti scorrono delle statuette. Tutte cose che non possono vedere, neppure gli uomini che trasportano le statuette, i prigionieri fanno esperienza solo delle ombre, che perciò confondono con la realtà.

Non che le ombre siano del tutto irreali, mantengono una qualche degradata somiglianza con le statuette che, a loro volta, sono la copia di un piano più originale; tendono cioè all'origine attraverso un progressivo gioco di matrioske, approssimazioni più o meno accurate. Platone chiama l'ultimo e definitivo livello eidos, forma, a noi meglio noto come mondo delle idee (platoniche, appunto).

A differenza del grande filosofo, io non penso però che si debba abbandonare il web per ritrovare la vita vera; una nozione che mi appare sempre più destituita di senso, o perlomeno non saprei dove cercarla. Restiamo pure in questo sottomondo – in fondo è confortevole, se postiamo la foto di un gattino guadagniamo mazzi di like – composto da consulenti di immagine e tatuatrici, personal shopper e buyer. E perché no, leggiamole le poesie di cui ci fanno dono le nostre amiche poetesse, non costano nulla, non costa nulla essere una caricatura e si riduce l'attrito.

Per goderci il web senza nostalgie residue dobbiamo però fare ancora un piccolo passo, che ai prigionieri di Platone è mancato: liberarci dalle catene e poi slanciarci verso le ombre, non verso l'uscita della caverna, confonderci con il loro appannato baluginare, diventando della materia di cui sono fatti i sogni. Ombre, sì. O meglio ancora: ombre nell'ombra, come titolava un bel romanzo di Paco Ignacio Pablo II.

E quando, con orgoglio, potremo anche noi affermare di essere un personal shopper, avremo colto l'unica opportunità che questo tempo dischiude. La mimesi, che non di rado trascolora in fiction. Altra e più solida verità non si offre, neppure nel mondo esterno fatto da disoccupati, donne di servizio, cassiere. Non corrisponde infatti all'esperienza che siamo quel che facciamo, non più almeno, ma siamo quel che gli altri ci consentono di essere, e la dogana dei social si alza a ogni bislacca figurazione. Basta possedere una narrazione elementare ed emotiva, in cui il dire non deve necessariamente allinearsi alla sostanza della cosa detta. 

Con buona pace delle care vecchie maestre elementari, che, prima di diventare agenti trasformazionali in ambito psico-pedagogico, indicavano l'abbecedario alla parete e poi pronunciavano la lettera effe. E tutti noi, bambini degli anni settanta, gridavamo in coro: "Fiore!"

sabato 25 aprile 2020

Lezioni di samming da una spammer


Da qualche tempo una rompicoglioni ha preso l'abitudine di girarmi cazzate su Messanger, così, come si infilano volantini per la svendita di un negozio di scarpe in una cassetta delle lettere. So che la cosa è abbastanza comune, lo spamming su Messanger intendo, e non vi davo troppo peso. Fino a ieri almeno, quando mi ha invitato a partecipare a un'iniziativa collettiva.
Si tratta di spegnere lo smartphone per un'ora tutti assieme. A questo modo verrebbe mandato un segnale chiaro e forte ai politici – politici = cattivi, ovviamente il sotto testo – facendogli capire che non vogliamo la app per il tracciamento dei contagi.
Coincidenza vuole che nella stessa giornata avessi scritto un post in cui mi esprimevo in maniera opposta sull'argomento. Non che il mio punto di vista sia decisivo, ma la prossima volta, magari, che si leggesse quel che scrivo prima di usare la mia casella come una cloaca. E per una volta gliel'ho detto.
Ti pare che io abbia tempo di leggere tutto quello che postano i miei contatti, risponde lei. Come se non bastasse continua: non mi scocciare (SCOCCIARE?!) con queste prediche. Piuttosto impara a fare come me, imposta dei filtri su Messanger per non essere contattato da tutti gli spacca maroni che ci sono in giro.
Beh, non so l'effetto che avrebbe fatto a voi, ma io l'ho trovata una risposta geniale. Come se il mostro di Scandicci ti spiegasse che lui mica si apparta in un boschetto con la sua bella, l'Angiolina, macché, non sono così grullo. Se non vuoi essere squartato, la prossima volta vai a scopare in un parcheggio a pagamento!

venerdì 28 febbraio 2020

Del Monte contro Chiquita



E’ di ieri la notizia che un'equipe israeliana ha sviluppato un vaccino per ciò di cui tutti sappiamo, e non ripeterò per scaramanzia. Altri laboratori stanno lavorando in tutto il mondo a uguali progetti – Australia, Canada, Francia, Stati Uniti, Italia, Russia e naturalmente Cina, per citare solo quelli più menzionati. La novità è che gli israeliani ne ipotizzano la diffusione, non i test, proprio l’assunzione sub linguale da parte di chiunque lo vorrà in un tempo record di tre mesi, mentre per gli altri vaccini si parlava di un annetto.
A giudicare dal nome del team leader, dottor Katz, ho pensato subito che si trattasse di una barzelletta, ma pare vi siano conferme da parte delle autorità governative, che per voce del ministro della Scienza e Tecnologia Ofir Akunis si complimentano per gli straordinari risultati ottenuti.
Dopo un respiro di sollievo – se non altro, la prima notizia positiva da giorni – ho però pensato alla reazione che questo comunicato avrà sui leoni da tastiera; come resistere alla ghiotta occasione per affermare: era già tutto pronto, gli ebrei, prima, hanno creato e diffuso il virus, e ora buttano sul mercato il vaccino per fare un mucchio di quattrini, già che quello solo sanno fare: כסף כסף כסף (soldi soldi soldi)!
Una riedizione, insomma, del vecchio e sbugiardatissimo complotto dei Savi di Sion, la cui vorticosa circolazione di parole sul web ha però restituito vigore. Mi è venuta così un’idea. Sono inutili le proposte che mirano a espungere le fake news dal dibattito pubblico, inutili e sottilmente antidemocratiche: un cretino ha pur sempre diritto di opinione, almeno quando lo faccia in un contesto non istituzionale. E i social network con tutta evidenza non lo sono.
Ci si potrebbe però difendere da questa spazzatura in un modo semplicissimo, con un bollino simile a quello delle banane. Non è complicato. Quando sul web si incoccia in un cretino che, come a lui connaturato, diffonde notizie a sua immagine e somiglianza – notizie false e cretine, dunque – basta notificarlo a una sorta di comunità di probiviri della razionalità e del buon senso, i quali in tempi brevi ne verificano i contenuti.
Prima arriverebbe un cartellino rosso, come nel gioco del calcio, e alla seconda cretinata ti becchi il bollino blu, che non ti espelle ma segnala agli altri giocatori con chi hanno a che fare: occhio, che quello spara cazzate!
Per sapere se il nostro interlocutore è uno spacciatore di banane e non di pensieri, basterebbe consultare un pubblico database; purtroppo la cosa ricorda una lista di proscrizione, se non che il tutto è chiaramente ironico e non è prevista alcuna sanzione o censura. E’ solo un indice di attendibilità, tutto qui. Un buffo rating che potrebbe variare nel tempo, se uno smette di diffondere bananate.
Non mi sfugge inoltre che questo lavoro di selezione e cernita sarebbe del tutto discrezionale, per non dire arbitrario, e si dà il caso che in qualche occasione un Chiquita potrebbe avere anche ragione. Pazienza, gli chiederemo scusa, e come dice il proverbio talvolta c’è da imparare anche dalle menti semplici, se non proprio dai cretini.
Non sarebbe infine malaccio se anche i Chiquita facessero lo stesso con quelli che considerano gli untori, i rettiliani, gli sciatori chimici e gli spacciatori di veleni, che però loro chiamano vaccini. Loro e cioè noi. Potrebbero, ad esempio, affibbiarci un bel bollino rosso con sopra scritto Del Monte: ananassi contro banane, ecco. Entrambi con uguale diritto di circolazione sul web, Guelfi contro Ghibellini.
Non una vera e propria guerra intendiamoci, piuttosto la presa di coscienza di una linea di demarcazione che da qualche anno già divide le coscienze, una linea visibile da tracciare sopra all’invisibile faglia che ci separa.
Il vantaggio di questa segnaletica riguarderebbe non solo la cornice del pensiero (l’epistemologia direbbero i Del Monte, facendo infuriare i Chiquita che gli ribatterebbero aò parla come maggni!), ma anche lo sfondo antropologico che sta dietro alle parole, il loro “gioco linguistico”. E che il mondo umano sia fratturato è la triste costante del nostro tempo.
Ma non è detto che, a questo modo, di tanto in tanto un Chiquita non cambi schieramento, come pure viceversa. Addirittura potrebbero crearsi amori e tresche tra le diverse barricate, Montecchi che, al tenue lucore della prima luna, scalano la terrazza dei Capuleti per mendicare un solo minuscolo bacetto. Io sarei il primo a innamorarmi di una bella danzatrice con il gonnellino fatto di bucce di banana, come Joséphine Baker quando compariva sul proscenio delle Folies Bergère.

lunedì 29 ottobre 2018

Lupi e agnelli, o sulla gara a chi è più buono e giusto

Sulla morte di Desiree Mariottini non ho davvero molto da dire. È uno di quei rari casi in cui vittime e carnefici sono separabili come nei film di Sylvester Stallone. Una linea retta: di qua il Bene, di là il Male. Con lei nel ruolo dell'agnello sacrificale finito in pasto ai lupi. Solo pietà e un'infinita tristezza, che sono i sentimenti più diffusi.
Ma in queste ore si sta diffondendo anche un diverso sentimento, e su quello sarebbe forse il caso di accostarsi con maggiore lucidità. Mi riferisco a chi intenda assumere la causa superando gli altri in dedizione. Io sono a favore di Desiree più di quanto lo sia tu, è come se ci dicessero. Io patisco più di te per il suo barbaro martirio.
Sono quindi pronti a stigmatizzare chi non si allinei al virtuoso sentire che li contraddistingue, esibito come una medaglia. Ad esempio Gad Lerner, pubblicamente linciato, nei giorni scorsi, per avere scritto un tweet al riguardo. Parole irrispettose, si dice. Parole sconce! 
A furia di incrociare tanto biasimo sono andato a cercarlo, il famigerato tweet di Gad Lerner. E non viene detto nulla di sconveniente nei confronti di Desiree. Solo che oltre agli aguzzini di colore, esiste, nella sua vicenda, anche uno sfondo di degrado sociale, che l'ha resa una vittima predestinata. Certo, la sintesi imposta da Tweeter ha forse dato l'impressione di una certa freddezza. Ma da qui a farne un agente al soldo della Morte Nera...
L'invito, implicito, era comunque quello a porre attenzione anche al contesto (eventualmente per intervenire con politiche di sostegno) e non solo agli assassini, certamente da punire nel modo più severo. Diversamente il rischio è quello di gettare benzina sul fuoco del razzismo, secondo l'equazione nero uguale stupratore e spacciatore. 
Ma ormai era già scattata la gogna mediatica. Come anche per Mughini, reo di aver detto qualcosa di simile in un dibattito televisivo 
 che era "una drogata", cosa per altro tristemente vera, anche se avrebbe potuto essere meno diretto.
Un clima che fa tornare alla mente i tempi in cui si faceva a gara a chi era più di sinistra. Non sei abbastanza a sinistra, io sono più a sinistra di te! E adesso come allora ricorre l'immagine evangelica della pagliuzza nell'occhio. In questo dilagare di travi che oscurano le pupille, intralciando il pensiero credendo di servire la causa del cuore.

venerdì 16 giugno 2017

Don’t feed the troll, ovvero ragioniam pur di loro, ma guardando e passando…



Don’t feed the troll! Non nutrire il troll, alla lettera. Un’espressione (un’esortazione, meglio) anglosassone dal significato vago, enigmatico. A partire dalla natura del troll. Il dizionario Devoto Oli prova a spiegarlo a questo modo: “Nelle leggende scandinave, abitante demoniaco di boschi, montagne, luoghi solitari: corrisponde all’orco di altre tradizioni popolari europee. [Dal norreno troll].”

Esiste però anche un significato estensivo, con una sua attualità e perfino urgenza in rapporto alla comunicazione sul web: forum, social network, spazi pubblici di discussione. Il troll, all’interno dei nuovi contesti tecnologici, si riconfigura come una sorta di “orchetto” polemico e impertinente, che gode nel suscitare polemiche e battibecchi. Ma per riconoscere la presenza attiva del troll l’unità di misura fondamentale è quella del tempo: quanto tempo siamo riusciti a perdere incollati a un monitor baluginante, quante parole abbiamo osservato comparire e poi scivolare lentamente dalle nostre palpebre, come magma sulle pendici del vulcano? Una voragine, letteralmente, una continua infinita dissipazione di noi stessi, che conduce al buco nero in cui viene inghiottita la preziosa radianza dell’attimo, insieme alla lunga catena del significare.

L’antico invito a non nutrire l’orchetto – don’t feed the troll – diventa dunque la messa in guardia da questo sterile meccanismo, sempre in agguato e sempre puntualmente verificato. Già che il mezzo, in questo caso, è realmente il messaggio. E’ il messaggio consiste nello smisurato appetito del troll.

Provo a darne un esempio recente, copiando – principalmente come memento personale a non ricascarci – una discussione su face book che mi vede protagonista.

1)     Premessa. Ricevo un messaggio personale dall’attrice Alessandra G., che fa parte dei miei contatti su fb. Il messaggio così recita:

“Alessandra G. ti ha invitato a cliccare “Mi piace” sulla sua pagina Alessandra G.”.

2)     Dopo averlo letto, mi rimane una strana sensazione in bocca – è una formulazione standard, d’accordo, non è la prima volta che ricevo messaggi di questo tipo – ma ogni volta quella sensazione amarognola si riproduce, puntualmente. Trovo quindi che ci sia materia per qualche considerazione di carattere generale, che provo ad abbozzare in un breve intervento sul blog (questo). In seguito, sotto forma di web link, ripropongo l’intervento anche sulla pagina di Alessandra G. Aggiungendo le seguenti parole:

ok Alessandra, ho cliccato "mi piace" sulla tua pagina fb. poi, però, di getto, ho scritto questa cosa qui, che ti posto forse con la stessa spregiudicata speranza di piacere a qualcuno, un giorno, forse, chissà...

3)     In data 8 agosto alle ore 14.14, Alessandra G. così risponde:

Mi pare che la fai un po' drammatica. Io ho coltivato conoscenze di vari tipi e parlato eccetera. Quando poi si fa una pagina per far vedere le proprie o attività o passioni o quello che sia sia ci sono delle procedure un po' automatiche e sì burocratiche talvolta. Ma nessuno è obbligato a mettere "mi piace" su niente. Si presume che se già la persona si è interessata all'altra persona in sé e per sé possa essere interessata anche alle sue attività. Qua è solo una raccolta più concentrata specificatamente indirizzata mentre nel profilo generico si disperdono tante informazioni per via di post altrui o di commenti più generalisti. IO personalmente se conosco qualcuno in piscina con cui mi fa piacere parlare ci parlo già in piscina e magari se vi voglio uscire a bere un drink gli dò il numero di telefono e non certo il profilo fb (che al momento attuale considero né più né meno di un indirizzario o una vecchia rubrica telefonica con qualche immagine e info in più). Cosa uno sogni o speri quando chiede un contatto fb sta nella sua testa. Lecito sognare, sperare, immaginare ma prendiamo le cose per quello che sono.. Io i like li metto dove vedo qualcosa che veramente mi piace (a parte di default ad amici stretti che se no che amici siamo). Se non mi piace non li metto. Qua è un luogo di scambio di informazioni, non di amici per la pelle i quali non hanno bisogno di fb (o twitter o pinterest o quel che sia) per parlarti, vederti eccetera. Non vedo di cosa bisognerebbe rimanere male. Anche con i vecchi metodi si creavano alcuni contatti chepoi non si sviluppavano mentre altri sì. Sta nella logica delle cose

4)     Replica di Guido Hauser, 23 ore fa:

Alessandra, ringraziandoti per l’attenzione, ti rispondo con un piccolo ritardo, di cui mi scuso. e dunque: io non penso (e non ho scritto nell'intervento sul mio blog, che riscriverei parola per parola) che ci sia qualcosa di male nel richiedere il gradimento ad "amici" e conoscenti su facebook. piuttosto qualcosa di strano, ecco, di stonato; ho usato anche il termine “volgare”, che continua ad apparirmi appropriato. ma soprattutto non penso (e non ho scritto) nulla di male o di malevolo su di te, limitando il mio sguardo a una pratica a cui hai evidentemente aderito senza farti troppe domande, come si aderisce a una forma di comunicazione virale, potremmo ormai definirlo un galateo. il fatto è che a me interessano proprio i galatei, la comunicazione quando si fa automatica, meccanica e dunque tanto più carica di significato. in questo modo, infatti, è il significato a parlarci, e trascendendo la voce che dice io è “lui” a diventare il vero soggetto del discorso. per usare un tono vagamente pomposo e fingere di conoscere il tedesco, potremmo definirlo l’eco dello “zeitgeist”, quello spiritello beffardo che trova sempre il modo di fare breccia, tanto più quando abbassiamo la guardia vigile dell’attenzione. lo spirito dei tempi si rivelerà allora tanto più facilmente (e visibilmente) proprio su internet, tra le pieghe di forum e social network, di cui facebook rappresenta il peso massimo. ma dal momento in cui, per provare a parlare dell’universale ho tirato in ballo il particolare, e guarda a caso quel particolare era rappresentato proprio dal tuo invito a esprimere il gradimento alla tua pagina fb, provo a riformularti la domanda iniziale. e però da una diversa prospettiva: quella della immaginazione. immaginiamo dunque, non ci vuol molto, che molti uomini già ti abbiano rivolto la più disarmata (ma anche interessata) della dichiarazioni, dicendoti con più o meno giri di parole: “Alessandra, mi piaci.” ma immagino anche che non sia mai successo che tu sia andata da un uomo, gli abbia tirato la giacchetta, per richiamarne l’attenzione, chiedendogli infine non se tu piacessi a lui (anche questo, in fondo, è umano) ma di affermarlo semplicemente, e ciò indipendentemente dal grado di verità dell’affermazione, che in questo modo finisce con l’essere implicita, scontata e triste come la sottiletta distesa dentro al toast. prova dunque a immaginare anche questa seconda scena: Alessandra che va da un uomo, mettiamo per comodità che sia sempre io, e poi gli domandi candidamente: “scusa signor guido hauser, puoi dire, anzi scrivere, così che lo sappia il mondo intero, che io ti piaccio? grazie tante e arrivederci”. lo senti come è strana e stonata questa situazione immaginaria, com’è “volgare”. e perché allora non dovremmo trovare strano e stonato (e volgare) anche il suo equivalente su fb, con l'assurda pratica di mendicare il gradimento - quasi fosse un voto alle elezioni politiche - ad amici e conoscenti. certo, la risposta è quella che già ci siamo dati all'inizio: perché lo fanno tutti. come quelli che ti rispondono che ci si sarà pure una ragione, se milioni di mosche mangiano merda. e così l'ultima domanda che ti faccio e poi, giuro, non rompo più le scatole, diventa: ma sei proprio sicura, Alessandra, di essere una mosca...?

5)     Alberto L., 22 ore fa, alza il pollice e poi aggiunge:

cuiapa un mi piace...

6)     Alessandra G., 4 ore fa:

c'è un errore nella premessa di fondo. IO non chiedo a un uomo (perché lo chiedo anche alle donne) se gli piaccio in quanto io se gli piaccio come persona come se dovesse dire a tutti che p interessato e vuole uscire con me. Io gli chiedo (e se vedi la pagina si capisce) se gli piacciono le cose che faccio e cioè la recitazione e li scritti. Non ho istituito una pagina di rimorchi. Se parti da questo presupposto vedi che tutte le tue considerazioni cadono. Non vado oltre per non essere inutilmente prolissa quanto te.

7)     Guido Hauser, 1 ora fa:

Alessandra, io sono stato prolisso per timore di essere frainteso, cosa che infatti è puntualmente accaduta. il dizionario italiano contempla una parola, una sola, piccola piccola, si scrive e pronuncia così: "paragone". ecco, il mio era un paragone, un paragone soltanto, neppure tanto complicato. prendo comunque atto che tu non vedi alcuna relazione significativa tra chiedere, attenzione, NON di uscire con te (di "rimorchiare"), ma di affermare pubblicamente un piacere, che nel caso del paragone era per la persona, mentre nella fattispecie per la sua evidenza sociale. si tratta cioè di due forme nemmeno troppo diverse di “questua estetica” – dove il paragone non sta dunque nella forma, ma nel sostanziale accattonaggio di quel bene prezioso che è l’insindacabilità del gusto. ti ricordo comunque – ci sta pure il caso che non lo sapevi – che quando tu invii su fb ciò che hai chiamato una richiesta a valutare “se gli piacciono le cose che faccio e cioè la recitazione e li scritti”, in realtà la formulazione linguistica è ben diversa, ossia la seguente: “Alessandra G. ti ha invitato a cliccare “Mi piace” sulla sua pagina Alessandra G.”. e se a te potrà pure sembrare un garbato invito a conoscere e discriminare, per il resto del mondo si chiama marketing. ossia il modo in cui i moderni hanno deciso di chiamare gli impiccioni e le varie rotture di cazzo… (aggiungo che questa risposta è pubblica e all’interno di uno spazio pubblico di discussione. diversamente, sarebbero in effetti bastate tre parole: “buon per te...”)

Conclusione

Non so se Alessandra G. risponderà mai alle mie ultime parole, sgorgate direttamente dalla gola del troll. Ma già da questo brevissimo scambio dovrebbe essere chiaro il modo di procedere dell’orchetto: per rapidi e quasi invisibili spostamenti semantici, in modo che, impercettibile come la biscia tra le mimose, la ragione venga a ricollocarsi nei territori melmosi dell’emozione, e lì possa infine scatenarsi la polemica.

Cosa dunque ricavarne?

Nella circostanza io continuo a credere di aver avuto qualche buon argomento – penso insomma che la ragione stia dalla mia parte, come ogni bravo contendente. Ma se limitassi il pensiero al solo dettato verbale, davvero non avrei capito nulla di come funziona il web. Le caratteristiche del mezzo azzerano infatti i meriti teorici, ricollocando, come già detto, la discussione a latitudini perversamente emozionali. Se anche avessi guadagnato la ragione astratta, concretamente, in quel diverso “gioco linguistico” che qui stiamo giocando, ho perso qualcosa di ben più importante. Ma il guaio è che questo qualcosa non l’ha guadagnato neppure Alessandra G., avendo insieme a me perso del tempo, il doveroso controllo sulle parole e soprattutto a un po’ di serenità.

Ma allora chi ha vinto?

Il troll, of course.    

martedì 2 maggio 2017

Madamina il catalogo è questo, o sui nuovi tipi umani al tempo di Facebook



Per una volta abbasso l’astrazione, fuori i nomi, vuotiamo una buona volta il sacco! E stiamo parlando di quell’immensa budella informatica che viene chiamata Facebook. Dopo qualche anno di utilizzo discontinuo, a me sembra che le figure umane che ne affollano le pagine si possano suddividere dentro un tradizionale decalogo. Un decalogo-catalogo in cui proverò a indicare, quando possibile, anche l’appartenenza tra i miei contatti. Premettendo che in ciò non vi è alcuna volontà di giudizio morale, ma sono solamente categorie funzionali all'uso che viene fatto del mezzo.

11)   Buon Pastore

La prima tipologia che vedo crescere di giorno in giorno, forse quella che ha più successo di lettura, e un seguito che rasenta il tifo da stadio, potrebbe prendere il nome evangelico di Buon Pastore.
E’ costituita infatti da persone che, per reale talento pedagogico o, più spesso, velleità predicatoria, sono convinte di avere un ruolo educativo nella vita degli altri. Ruolo che comunque si assegnano d’arbitrio, non essendoci sul web alcun filtro d’accesso.
I loro interventi sono improntati a un certo paternalistico sussiego, ma non privo, alle volte, di reale sottigliezza ed arguzia. Il tutto nel tentativo di cacciare dentro la zucca vuota delle loro conoscenze le nozioni elementari di una buona vita, nel segno di un moderno mood stoicista.
Lo sfondo evidentemente filosofico è però screziato da nozioni psicanalitiche, spiritualità orientale, ricami letterari e citazioni gnomiche. Pensando a un esempio alto, il primo nome che mi viene in mente è quello dell’editore, filosofo e regista Andrea Colamedici, che con piglio dotto e un pizzico di benevola ironia catechizza i suoi lettori.
Oltre a lui ricordo il mio amico Gianfranco Bertagni, anche egli è filosofo e studioso di religioni comparate, gestendo un sito e una scuola dove vengono insegnate le principali tecniche meditative.
Entrambi sono molto bravi, è utile sottolinearlo. Ma entrambi sono disposti  in una posizione asimmetrica, leggermente sopraelevata rispetto al numeroso pubblico che li gratifica. Come fare, altrimenti, a scorgere la pecorella che si è smarrita, per riportarla all’ovile prima che scenda la notte.
  
2)   Legionario, o Rancoroso di ritorno

Il riferimento, qui, è al legionario romano che offrì al Cristo agonizzante dell’aceto misto a fiele. Allo stesso modo, molte persone utilizzano Facebook per distillare i loro malumori idiosincratici al mondo, in un gioco al massacro di pura e semplice provocazione.
Penso, tra i molti, a un altro mio amico scrittore, il “marchese” Fulvio Abbate. Anch’egli possiede un grande talento, che però, negli ultimi anni, si è un po’ avvitato sul fuso del rancore, come quel personaggio di un romanzo di Marco Lodoli che affonda maledicendo il mondo.
Restano a galla i suoi numerosi post iconoclasti, in cui, indifferentemente, fa strame di bersagli politici (Renzi e Veltroni), nemici personali (Concita De Gregorio) e icone pop (Patty Smith). E proprio su Patty Smith è memorabile l’intervento in cui la definì un “cesso inchiavabile”, aggiungendo che l’anziana cantante americana è sempre più simile a un Mocho Vileda.
Nemmeno a dire che, come egli aveva ben previsto, si sollevò un polverone di indignate proteste. Un tempo si sarebbe detto: épater le bourgeois

3)   Impegnato

Si impegnano, come negli anni settanta. E si indignano come negli anni novanta. Ma anche, un poco, si divertono come negli anni ottanta, anche se non lo danno a vedere. Chi non ce l’ha, un amico così?
Uno che pubblica sulla tua bacheca l’ultima dichiarazione di un politico di cui nemmeno conoscevi l’esistenza, o che incalza i suoi (spesso immaginari) interlocutori sulla geopolitica internazionale, l’ambiente, l’economia.
Molti di loro simpatizzano con il Movimento 5 Stelle, è inutile negarlo. Ma altri sono del Pd, berlusconiani, l’intero scibile parlamentare è insomma rappresentato, per quanto l’Impegnato diffidi delle categorie politiche tradizionali. E’ simile, in questo, a quel personaggio cinematografico che faceva sbottare Nanni Moretti, mentre al bancone di un bar di periferia sentenziava che “rossi, neri, alla fine son tutti uguali…”
Un altro esempio alto, di cui ammiro la passione e l’impegno civile, è quello della scrittrice ebreo-polacco Helena Janeczek. E' nata in Germania ma vive in Italia da molti anni, scrivendo dei bellissimi romanzi nella nostra lingua.
Non tutti gli impegnati, va detto, posseggono la sua finezza di analisi, che si unisce alla grazia nominale. Ma l’imbuto in cui incanalano la loro passione è quello lì, che viene e porta al mondo. Non al loro ombelico come nel caso del Legionario e del Carodiarista, che vedremo in seguito.

4)   Paranoico Complottista, o Ossessivo
 
Rapimenti alieni, scie chimiche, lobby finanziarie, vaccini malefici, massoneria deviata e chi più ne ha più ne metta… Di quello solo parlano. Ma non ribattergli, non farlo: tanto lui ne saprebbe una più del diavolo e dieci più di te. Alla tua obiezione razionale risponderebbe infatti con un sorrisetto, aggiungendo serafico: “Ingenuo…”
Le paranoie possono a volte essere di tipo alimentare (veganesimo, dieta dei gruppi sanguinei) o mistiche, sportive, virando verso il versante ossessivo. Il ceppo di appartenenza è comunque il medesimo: persone talmente comprese nel loro mondo, non di rado illusorio, da farlo diventare tutto il mondo. 
Purtroppo in questo caso non ho da fare nomi, già che quando incappo in un Paranoico Complottista Ossessivo lo elimino all’istante dai miei contatti, lo elimino senza alcuna esitazione.
Eppure mi stanno simpatici, per qualche sfuggente motivo mi inducono perfino un sentimento di tenerezza. Forse è per quella loro cocciutissima convinzione che, dietro la parete che da bambini ne divideva la cameretta da quella dei genitori, il babbo stesse sgozzando la mamma, e non semplicemente facendo l’amore come tutti.

5)   Carodiarista

Parlano sempre e solo dei fatti propri, fedeli al monito cechoviano: “per essere universale scrivi unicamente del tuo particolare.”
Dunque un minimo orticello costituito, perlopiù, dai piccoli o grandi scazzi con il fidanzato (in genere sono donne, perciò coniugo al femminile), risposte buffe dei figli ancora in età prescolare, siparietti grotteschi in tram o sul lavoro. Oppure sono discorsi da pizzicagnolo in formato fotografico, anzi, meglio, di selfie in cui sono sempre al centro.
Alle volte gli interventi del Carodiarista sono gravati da una certa compiaciuta autoindulgenza, se non addirittura egocentrismo, per quanto va ricordato che il mezzo è nato con questa vocazione: mostrare le immagini del primo bagnetto del neonato, le spalle larghe del compagno che ti abbraccia in un esotico tramonto. 
Ma ci sono pure qui esempi virtuosi e non maldestri. Tra i miei contatti è il caso di Carlotta Giucastro, sempre affilata e sorniona, o più emotiva e appassionata Marina Testa. Entrambe pescano dai casi della vita oltre che dai propri sussulti ventricolari, riuscendo, quando non sopraffatte dal pungolo dell'urgenza - il Carodiarista patisce un poco la smania comunicativa -, a cavare dei bozzetti che non esiterei a chiamare letteratura, a volte anche buona letteratura.

6)   Disc-Jockey

Ma cosa fa, esattamente, un disc-jockey?
Se ci pensiamo bene, un disc-jockey non fa altro che afferrare un disco, o più in generale un’opera dell’arte e dell’ingegno umano, non l’ha fatta lui, e ricollocarla in un diverso contesto ricettivo. Ma nel ridirigere il lavoro concepito da altri, il disc-jockey, almeno in una certa misura, produce una novità. Egli inaugura infatti una nuova situazione, come avevano ben intuito i situazionisti parlando di détournement.
Il gesto del disc-jockey è dunque molto simile al gesto dell’artista concettuale, l’artista di quella particolare forma espressiva chiamata ready-made. In pratica non devi fare nulla: prendi, copi e metti da un'altra parte, incrociando le dita nella speranza che qualcuno se ne accorga.
Ma accidenti, non è ciò che fa la maggior parte delle persone su Facebook?!
Sì, proprio quello.
Gli esempi sono infiniti. Vengono postati i link delle canzoni di Pino Daniele su YouTube, citazioni dalle pagine di Massimo Gramellini e Fabio Volo, poesie di Alda Merini… Ma anche roba “più fine”, esclusiva, snob, come Jacques Tati in un’esilarante sequenza dalle Vacanze di Monsieur Hulot. La sostanza comunque non cambia: sempre disc-jockey sono, siamo.
Già, perché almeno una volta lo siamo stati tutti, dei disc-jockey. Le luci stroboscopiche, il ritmo incalzante della musica, il fumo denso di glicerolo che esce a fiotti dalla fog machine. E noi persi nell’infinita dolce convinzione che il mondo intero penda dalle nostre mani, il mondo appeso al disco che cala lieve sul piatto che gira, e gira gira… mentre la cubista con i capelli azzurri comincia a dimenare il culo.

7)   Laconico

“Che palle”.
E poi...
"Che palle", punto.
Come punto, è già finito il post?!
Finito.
All’inizio mi sorprendevo leggendo interventi del genere, e ancor più mi stupiva osservare la lunga colonna dei commenti, i like che cascavano a pioggia ad accompagnare questi semplici grugniti sintattici, nemmeno un verbo a indirizzare il timone che muove alla comprensione. Ma sono impazziti tutti oppure il matto sono io…?
In realtà, un po’ e un po’.
I brevi, brevissimi, i minuscoli post eruttati a pioggia dalla figura del Laconico, possiedono infatti un importante ruolo preverbale, ed è ciò che i linguisti chiamano funzione fàtica. In altre parole, le persone, comunicando, producono di tanto in tanto dei suoni (em, mmm, ah…) o delle interiezioni (cioè, come dire, ok…) che non hanno valore semantico ­­– non possiedono insomma alcun contenuto, non vogliono dire niente – e il loro scopo è piuttosto quello di mantenere attivo il canale comunicativo, o più in generale la relazione tra i parlanti. 
Chi si alza la mattina e corre su Facebook a postare un insignificante trisillabo, non vuole dunque solo informarci sul suo trascurabile umore, ma il vero e profondo significato sta nella volontà ristabilire il contatto dopo la pausa notturna, verificare che i suoi "amici" non si siano nel frattempo dimenticati di lui. "Amici" che infatti lo comprendono al volo, rispondendogli a tono: “Che palle, sì :-(” (Traduzione: anche io esisto, ricordati di me, pensami, metti un like che mi certifichi.)
Detto ciò, non mi convincerete mai che scrivere che palle su Facebook possa rendere la mia vita più interessante e degna. La maggior parte dei miei contatti la pensa però diversamente.

8)   Lo Scemo del Villaggio

Come ogni villaggio, anche il Villaggio Globale prevede la figura dello scemo, che il più delle volte si declina al plurale. Da cosa si riconosce lo Scemo su Facebook?
Beh, facile, dal tautologico dato che sia scemo, che scriva cose sceme, intervenga a sproposito per commentare i vostri post con delle scemenze – l’incongruenza è uno dei segnali più certi della mancanza di cervello –, e che lo faccia introducendo un mucchio di faccine, punti esclamativi o di sospensione.
Occhio dunque, perché esiste un calcolo matematico che stabilisce l’indice di scemenza con esattezza. Il risultato è dato dalla relazione proporzionale agli emoticon utilizzati e al numero di segni di interpunzione gettati a casaccio sulla pagina. Più ne mettete – “abbondandis abbondandum”, come diceva Totò – più siete scemi.
Se vi riconoscete in chi scrive Ciaooooo!!!!!!! ;-) :-)))…. non avete bisogno di fare tanta fatica per scoprire chi è lo Scemo del Villaggio. Lo Scemo, infatti, siete voi.  

9)   Il Seduttore\Seduttrice, o Calboni e la signorina Silvani

La prima immagine che mi viene alla mente è quella di Calboni. Mi riferisco al geometra collega di Fantozzi, magistralmente interpretato da Giuseppe Anatrelli, che gli contende le attenzioni della signorina Silvani – modi affettati e galanti, voce flautata, luoghi comuni a cascata. Lei, invece, la Silvani, è quella che i francesi chiamerebbero un'allumeuse: donne che cercano di accendere con ogni mezzo il desiderio nei maschi, ma per poi negarsi come Circe, dopo averli tramutati in maiali.
Non ho mai svolto lavoro continuativo in un ufficio, ma pare che, in ciascun luogo di lavoro collettivo, sia presente almeno una coppia di tali esemplari, come mufloni allo zoo. La grandezza di Paolo Villaggio sta anche nell’averci restituito con tale precisione queste due figure emblematiche della modernità: il Seduttore e la Seduttrice.
Non fa eccezione quel grande ufficio di collocamento verbale che è Facebook, dove il Seduttore e la Seduttrice si possono riconoscere dagli stessi tratti: affettazione, galanteria, invadenza, esibizionismo erotico (quelle foto in costume sulla battigia con gli addominali ritratti, già avrebbero dovuto mettervi in sospetto, o l'incalzare dei selfie in cui si intravede sempre la linea interna del seno...).
Gli infiniti Calboni e signorine Silvani telematici, in fondo, non sono però creature malvage. Nella peggiore delle ipotesi possono scrivervi in privato per invitarvi a trascorrere il fine settimana in Liguria, dove conoscono un “posticino”, così lo chiamano, “un posticino delizioso…” Niente di male anche se accettate. Ma, beninteso, ricordate che a pagare sarete voi.

10) Il Frustrato

Questo tipo umano lo conosco particolarmente bene, incrociandolo la mattina ancor prima di accendere il pc, mentre mi lavo i denti davanti allo specchio del bagno. Già, il Frustrato c’est moi.
Ciò che distingue il frustrato è il suo utilizzo di Facebook, a cui egli si accosta come se non fosse Facebook, come se fosse un mezzo come un altro e McLhuan non avesse mai tagliato le gambe alle sue ambizioni intellettuali: the medium is the message. Bum, per il Frustrato questa frase è peggio di una bomba sotto la sedia, e non sorprende che non la voglia sentire, si tappi le orecchie, salmodiando qualche musichetta diversiva.
Il Frustrato, a differenza del Seduttore o del Buon Pastore, che conoscono i loro polli e le loro pecorelle, si aggira così sulle bacheche Facebook come se ancora fosse il vecchio ambiente comunicativo, in cui riversare nozioni e pienezza di significato, forma e sostanza. Si sforza, insomma, si dà da fare per offrire il suo meglio, eccedendo spesso in misura. "Ma quand'è che il mondo si accorgerà di me?" sembra intanto pensare. 
Si tratta di persone che, in un altro tempo o se le cose fossero andate diversamente, farebbero i sociologi, i giornalisti, i narratori. A volte queste professioni le fanno per davvero, ma senza il riscontro che avrebbero desiderato. Purtroppo qualcosa si è però inceppato nelle loro vite, non per un difetto capacitivo, non sempre almeno, ma perché le cose sono andate a questo modo, vai te a sapere il motivo...
E dunque eccolo lì, il Frustrato: scrive, briga, analizza e collega fatti con puntiglio e generosità verbale, cercando di restituire al mondo la monetina che il mondo gli ha infilato in tasca alla partenza. Ma l’albero del talento non fruttifica su Facebook, e il Frustrato resta frustrato.