sabato 27 aprile 2024

Profumi e balocchi

 

L'11 dicembre del 1926, partendo da Savona in una notte che ci piace immaginare stellata, Filippo Turati fugge dalla persecuzione fascista con il motoscafo Oriens; al timone si alternano Italo Oxilia e Lorenzo Dabove, accompagnati da Sandro Pertini, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri e Carlo Rosselli. Dopo dodici ore di navigazione sbarcheranno nel porto di Calvi, in Corsica, dove vengono immediatamente arrestati, prima di essere riconosciuti e ottenere accoglienza e sostegno.

Fiumicino, lunedì 15 aprile 2024, terminal 1. Al duty free del reparto profumeria, con sprezzo del pericolo ma indubbio gusto olfattivo, Piero Fassino viene scoperto dagli addetti alla sicurezza con in tasca un profumo Chanel; stava cercando di allontanarsi senza pagare, sostengono.

Non è importante che il furto venga accertato, né tantomeno i suoi risvolti penali – Fassino si difende dicendo che avrebbe pagato in seguito, mentre, filmati alla mano, il personale del negozio rincara affermando una disposizione recidiva. Naturalmente ci auguriamo che l'ex dirigente del PD venga scagionato dai riscontri (in ogni caso rischia poche centinaia di euro di ammenda), ma davvero la realtà dei fatti è per noi priva di interesse. Basta la sua narrazione.

A fare di una storia una buona storia è, infatti, ciò che in narratologia viene chiamata sospensione dell'incredulità; e qui la descrizione degli eventi risulta del tutto credibile, con la verosimiglianza non a sostituire la verità, ma a rendere visibile una sorta di fantasma. Siamo insomma al cospetto di un simbolo: riassume la metamorfosi politica avvenuta nei quasi cent'anni trascorsi tra i due episodi. Nemmeno un grande scrittore avrebbe saputo scovare una metafora altrettanto efficace, con la quale mostrare lo stato attuale della Sinistra italiana.

Nella canzone Profumi e balocchi, composta nel 1928 da Giovanni Ermete Gaeta, in arte E. A. Mario, un celebre verso intona:

"Mamma, mormora la bambina

Mentre pieni di pianto ha gli occhi,

Per la tua piccolina

Non compri mai i balocchi

Mamma, tu compri soltanto i profumi per te.”

L'unica differenza è che la Sinistra istituzionale non solo ha smesso di occuparsi di "balocchi", da destinare agli umili, agli emarginati, ai sottopagati e agli offesi da cicli e ricicli economici sempre nella medesima direzione di marcia, ma i profumi, rigorosamente per sé, nemmeno li compra più. Li ruba.

giovedì 18 aprile 2024

Ordunque, o sulle parole e le cose

Si sta discutendo molto dell'ultimo romanzo di Chiara Valerio, candidato al Premio Strega. Ne rilancia polemicamente il motivo – le baruffe letterarie somigliano al refrain delle canzoni di Sanremo – Gian Paolo Serino con una stroncatura pubblicata su Avvenire. Premetto che io non ho letto entrambi, romanzo e stroncatura, ma, da quel che ho inteso, il giudizio negativo sarebbe motivato dalle scelte linguistiche: quando si trova al crocevia tra due (apparenti) sinonimi, Valerio imbocca sempre la via più ricercata e dotta.

Serino porta a esempio la locuzione ordunque, che la scrittrice utilizza e avrebbe potuto sostituire, egli sostiene, con quindi (ma anche con ora, bene, a ogni buon conto etc.). Un argomento che mi ha ricordato una simile contrapposizione tra Giuseppe Pontiggia e Giovanni Mariotti, credo fossero i primi anni Ottanta, il luogo le pagine del Corriere della Sera.

Pontiggia aveva appena scritto un articolo in cui confidava di avere stralciato dal proprio vocabolario attivo il verbo recare, da sostituire, sempre e comunque, con il più colloquiale andare, cosa che suggeriva a chiunque avesse una qualche ambizione letteraria. Mariotti inviò una lettera al giornale chiedendo: "Pontiggia, ma perché Lei vuole negarmi il piacere di recarmi in libreria ad acquistare i suoi romanzi?"

Se ne deduce da subito il tono lieve, molto lontano dal livore polemico attuale, ma la cortesia degli interlocutori non ne mutò le posizioni. Pontiggia infatti a sua volta rispose, riaffermando che in libreria poteva più tranquillamente andarci, avrebbe fatto lo stesso all'uscita dei libri di Mariotti. A distanza di tempo però cambiò idea, e in una trasmissione radiofonica da lui condotta su Rai3, Dentro la sera, i cui contenuti confluirono nel saggio edito da Belville nel 2016 con uguale titolo, riconobbe al rivale qualche ragione.

Se l'insegnante viene convocata dal preside, utilizza come esempio, è ragionevole che la donna si rechi nell'ufficio del dirigente scolastico, l'azione possiede un elemento di austerità formale meglio reso da questo verbo. Fermo restando che se Pierino invita Pierina a fare una passeggiata in un campo di margherite, a quel luogo andranno, magari tenendosi per mano, non si recheranno.

La precisazione riporta alla mente – mente fervida e accogliente di Pontiggia, è lui a continuare nel ragionamento – una frase di Jules Renard, il quale sosteneva che "non esistono sinonimi, esiste solo una parola. E il bravo scrittore la conosce."

Rimane dunque da capire se il contesto narrativo in cui Chiara Valerio fa calare il suo ordunque sia più simile al tragitto dell'insegnante, che conduce alla presidenza tra studenti che vanno in bagno a fare pipì, non si recano e tantomeno incedono, al limite ciabattano Adidas enormi sul linoleum dei corridoi, o al sentiero imboccato da Pierino e Pierina per raggiungere la loro meta. Dubbio a cui si aggiunge il piacere del lettore, chissà se ha voglia di seguire la scrittrice nel suo recarsi in luoghi linguistici sontuosi e vagamente altisonanti... disertando i campi di margherite.

martedì 2 aprile 2024

Storia del pianto

 

Ho un’immagine che mi accompagna da quarant'anni, per la precisione dai primi mesi del 1983; poteva essere gennaio o più verosimilmente febbraio, Vasco Rossi aveva appena cantato Vita spericolata al Festival di San Remo, classificandosi al penultimo posto davanti a Cieli Azzurri di Pupo.

Piastrelle di graniglia in ampi corridoi dalle volte a botte scrostate, ovunque alle pareti il ritratto del Papa buono, Angelo Giuseppe Roncalli ha studiato qui: nel religioso collegio convitto di Celana. Ridestati dal fischietto di Don Gino, alle 7 in punto, si levano sincronici i giovani corpi – tutti in erezione. Difficile fare la pipì in questo stato, ma non c'è tempo per lasciare defluire il sangue che ha galoppato nei sogni notturni, ci si arrangia arretrando di un passo e prendendo bene la mira. In bagno, la mattina, si va solo per fare il tiro al bersaglio, lavarsi tocca aspettare mercoledì. Gli altri giorni basta un po' di acqua fresca sulla faccia.

Dopo avere recitato la preghiera o averla solo simulata – per non ricevere la punizione bisogna ricordarsi di muovere le labbra, come quegli attori di bell'aspetto e poco talento per cui ci si affida al doppiaggio – il refettorio diventa la successiva stazione di transito, la colazione è composta da biscotti accompagnati da tè oppure caffelatte. Ma a Natale anche panettone e pandoro e colomba a Pasqua.

In attesa del permesso di Don Gino, ogni gesto è sovrainteso dal suo fischietto, i corpi svuotati dall'urina e riempiti di ave Maria e Padre nostro si ammassano di fronte alla porta di ingresso; se uno ha fatto il servizio militare, non cambia molto. Solamente l’età che va dai dodici ai quindici anni: il triennio delle medie più i primi due anni delle superiori. Vengono chiamati in gergo i piccoli e non devono avere nessun rapporto con i grandi.

Io sto tra i piccoli, poco importa che di anni ne abbia già sedici, uno l’ho perso, sono stato bocciato senza neppure una sufficienza. Cosa abbastanza scontata quando vai a giocare a bigliardo invece che a scuola, e per raddrizzare le piante cresciute storte non c’è niente di meglio di un anno in collegio. Guarda il Papa buono!

Tra i piccoli veri c’è un tredicenne di norma ciarliero, a volte sembra un po’ scemo e altre più sveglio dei coetanei che mette sempre nel sacco... mah. Comunque è simpatico. Oggi è stranamente taciturno, tiene la testa bassa, le mani nelle tasche di una giacca a vento bianca e rossa. Deve averla ereditata da un fratello maggiore, gli sta decisamente grande.

D’altronde il luogo è freddo, non ci sono porte o pareti a separare il quasi dentro dal fuori (l’edificio è stato costruito nel 1579); nella stagione invernale non è raro che si insinuino bave di nebbia fluttuanti, o più facilmente si tratta di nuvole. Quando nevica entrano i passeri per ripararsi e poi Don Gino deve disfare i nidi intrecciati nella sala dei calciobalilla.

Ma ecco che il ragazzino mezzo scemo, mezzo intelligente, scoppia a piangere. Sono singhiozzi fragorosi e senza apparente motivo. Cosa c’è? gli chiedo sorpreso, siamo casualmente vicini nella coda che conduce al termos con il caffè, il latte lo si aggiunge dopo.

Con un gesto della mano mi indica la gola, probabilmente si tratta di una infiammazione alle corde vocali, non riesce a parlare, può solo piangere ed è quello che fa. Una disperazione che mi è rimasta impressa, al punto da convertirla in metafora universale. Forse, dietro al singolo episodio, si cela una strategia evolutiva: ciò che non si può dire o lo si canta o lo si piange.

Il pianto rappresenta l’altra faccia del melodramma, quella più dolente, ma la moneta è la stessa. Una moneta incapace di entrare nel salvadanaio del linguaggio, per quanto si prema viene rigettata. Perciò, da qualche anno, piango spesso anch’io. Sono alla guida dall'auto e piango, cammino in un bosco e piango. Di fronte agli altri mi trattengo per pudore. Non so cantare una vita spericolata, una vita esagerata, una vita alla Steve McQueen... E così piango, una vita a caso.