Ho notato che i grandi
moralisti del passato possedevano spesso delle personalità instabili, tanto più acute
nell'osservare i vizi umani – e denunciarli, irriderli – quanto incapaci di
relazioni profonde, empatiche. Solitari, eccentrici, libertini, oppure dispensatori di figli ai befotrofi pubblici, come Rousseau. La forma aforistica, in cui si condensa con altrettanta frequenza il loro pensiero,
più che una scelta stilistica o, meglio, espressiva in quanto fondata
sull'efficacia, mi appare dunque quale esito di un'oscillazione dell'umore,
così suscettibile alla noia e alla distrazione e al fastidio, anche verso le
proprie parole. Ho provato ad attualizzare la mia intuizione e collaudarla su Facebook, e mi pare
funzioni ugualmente. I motteggiatori, i battutisti, i campioni della sintesi gnomica si rivelano di gran lunga i più stronzi. Oltre che i più
diffusi.
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