sabato 15 luglio 2017

Ma chi è?



Ma chi è? Chi è l’uomo fermo in galleria – le quattro frecce inserite, il braccio fuori dal finestrino – intento a fumare una sigaretta seduto sull'auto in sosta? Altre volte sta parlando al telefonino, si agita, sbraccia, oppure non fa nulla e fissa quasi esanime il parabrezza. Estate, inverno, pioggia, sole. Non importa. Nemmeno del rimbombare dei veicoli in corsa sotto la volta trapuntata dalle lampade ai vapori di mercurio, la luce arancione a giorno. Monossido di carbonio, particolato, ossidi di azoto… Macché, niente lo dissuade. Ti inoltri in una galleria – eccolo, immobile alla prima piazzola d'emergenza, la fissità di un geco alla parete. A volte può essere un furgone bianco, ma è ancora lui. C'è chi dice sia lì da sempre, forse davvero è lì da sempre. Altri giurano di averlo visto manifestare all'improvviso. Basta un pertugio, un niente d'asfalto in cui fare tana e PUFF!, appare come Zorro quando viene maltrattato un peone. Qualcuno per caso lo conosce, dobbiamo chiamargli un dottore?

venerdì 14 luglio 2017

Aggiungi un posto a tavola, o sulla sociologia prandiale




Un conoscente ti invita a casa per consumare un pasto assieme, c’è anche la sua famiglia. Non importa se si tratti di un pranzo, una cena, a volte perfino di una colazione all’americana; un breakfast ti dicono con la pronuncia nasale anglosassone, si vede che sono persone di mondo. Quale che sia il caso, si presenta sempre il problema della distribuzione dei posti a tavola – dove mi siedo? – che segue tre criteri di assegnazione:

1)   Vieni fatto accomodare in quello che è considerato il posto migliore – prego, prego, prego… non smettono di dirti prego –, che non è necessariamente a capo tavola, ma comunque è una posizione di riguardo. Ti spetta in base ad antichi e sentiti codici di ospitalità, che nei secoli si sono sedimentati in galateo.
Noi siamo persone ben educate, ti vogliono comunicare.

2)  Dai, entra, mettiti comodo... Come dove? Scherzi? Dove vuoi, fai come se fossi a casa tua: totale libertà di scelta. Attento che magari ci sono ancora i peli del gatto, sul cuscino della sedia.
Noi siamo persone democratiche, intendono suggerirti in questo caso, persone disinvolte e alla mano. (In genere sono gli stessi del breakfast, e, più che alla mano, loro si sentono easy going).

3)   No, lì no, è il posto del nonno! Nemmeno quello, scusa. C’è il bicchiere con Homer Simpson, vedi: è il posto di Paolino. A me e mia moglie piace sedere sempre vicini. Ecco, rimane, per te, la sedia sullo spigolo del tavolo, ma se stringi un po’ i gomiti ci stai.
Non chiederti però che significa. Non vogliono infatti comunicarti niente, nessun simbolo o sotto testo da decifrare. Semplicemente sono abituati a questo modo. E il modo, il loro modo almeno, coincide con il loro mondo.

Di solito si tende a credere che la famiglia uno rappresenti la forma, la due la sostanza e la tre, beh, la tre una certa ottusa rigidità mentale.
I pesci più grossi però non nuotano in superficie, e anche con l'amo delle nostre convinzioni conviene ogni tanto pescare più a fondo. Ad esempio, io preferisco di gran lunga gli inviti del terzo gruppo. In queste occasioni mi sento infatti in famiglia, un’autentica famiglia, che non è un luogo di carinerie leziose, ma nemmeno di disinvolta libertà e cazzeggio.
La famiglia è piuttosto ordine, codice, gerarchia; ciascuna possiede però i propri ordini, codici e gerarchie. Natalia Ginzburg lo chiamava lessico familiare, ma era pur sempre una grammatica del potere, per quanto davvero piccina piccina. 
In genere tutto ciò viene occultato dentro a un sorriso, la scritta welcome impressa sopra allo zerbino, che però non cancella la piramide implicita a ogni gruppo umano, minimo o grande che sia. Il suo essere, insomma, l'unità di potenza di una caserma. La famiglia tre è allora solo un poco più ingenua, dunque più vera.

giovedì 13 luglio 2017

Al rogo al rogo! o sul ritorno di Robin Hood nella foresta di Facebook



Una cosa che mi colpisce in questa fenomenologia dei social network che da qualche tempo vado componendo dall'interno, come il ricercatore che si inietti il nuovo farmaco per testare gli effetti su di lui, una cosa che non smette di sorprendermi è l’uso che qui viene fatto dei verbi, specie nei casi di abusi manifesti.
Pensiamo ai consueti roghi estivi, che funestano anche l’estate in corso. Quando, da ragazzo, ne ascoltavo i commenti al bar Piero, le espressioni più ricorrenti erano: se li prendono dovrebbero fargli questo o quest’altro, attaccarli al campanile, bruciargli, a loro, i peli del culo e via dicendo.
I più iracondi arrivavano perfino a auspicare la morte dei responsabili, ma sempre nella forma di un “se ci fosse ancora quello lì, il pelato, gli darebbe il fatto loro…” E poi mimando con gli avambracci la figura di un mitra spianato: “Ta-ta-ta-ta-ta!” (Modo del verbo condizionale, in ogni caso.)
Leggendo i post sull’argomento di alcuni miei contatti su Facebook, mi accorgo che la coniugazione verbale ha però guadagnato nuove forme. Ne cito uno come esempio.

Chi appicca il fuoco è un mafioso, nessuna pietà per questi miserabili, nessuna scusante di tipo familista. Che siano schiacciati come vermi. Ripeto: nessuna scusante del tipo: anche loro hanno famiglia, chiaro?

La persona che ha congedato questo post gode di una certa notorietà, ma l’autorità immaginaria che si attribuisce – che siano schiacciati come vermi! – riguarda anche gli utenti più negletti, come lui intenti a prescrivere invece di augurarsi, ordinando inflessibili sentenze a un fantasmatico stuolo di esecutori zelanti. Con quella clausola minacciosa, a verificare che tutti abbiano inteso: chiaro? 
La scrittura sui social, in altre parole, ci reintegra illusioriamente della rilevanza sociale che da alcuni anni stiamo smarrendo. E così se nella vita vissuta stiamo sotto un velo opaco, le nostre parole risplendono sul web come lame rilucenti di pugnale, con cui incidere le ingiustizie del mondo.
I verbi passano dunque all’indicativo, al congiuntivo, spesso anche all’imperativo, ma va scomparendo il modo condizionale, che testimoniava il nostro essere appunto condizionati da vincoli di potere più grandi di noi, che limitavano la nostra pura e semplice volontà.
Una volontà che ora può invece permettersi di mandare al rogo non solo le povere boscaglie bruciacchiate, ma pure gli artefici del malfatto, il cerino fumante ancora in mano.
Con la differenza che la volontà dei secondi, per quanto oscura, possiede effetti assai concreti sul reale, mentre la nostra diffusa volontà censoria somiglia a un bell’abitino verde da Robin Hood, da indossare al carnevale delle buone intenzioni…

Buffoni, o sulla cifra del nostro tempo

Il buffone, storicamente, era una persona che cercava di intrattenere i potenti, i quali lo ricompensavano per lo sforzo con la loro rapsodica attenzione, oltre che con qualche minima prebenda.
La sua attività era frenetica, forsennata e non prevedeva alcuna sosta, dovendo catturare, in qualsiasi momento, una condizione che è per definizione mobile e aleatoria.
Non era molto importante se lo sguardo veniva agganciato con frizzi, lazzi oppure con critiche pungenti allo stesso potere. Potevano avvenire per il tramite di apologhi, frasi allusive ma anche con discorsi più diretti e piani; tutto faceva brodo per guadagnare un po’ di scena.
Non si discostava dunque molto dal ruolo dell’artista, che pure chiedeva solo un po' di riconoscimento, la carezza (e qualche obolo) dal padrone. L'attività dell'artista prevedeva però delle lunghe pause, momenti di riflessione preparatoria, approfondimento, studio. 
L’opera – pittorica, musicale o letteraria, poco importa – rappresentava il coronamento di questa lunga e faticosa gestazione. Solo quando la farina è lievitata e il pane cotto a puntino, può essere servito in tavola. 
Ma leggendo ciò che ora scrivono gli artisti sui social network, me compreso, gli artisti e ogni altro utente, mi sta venendo un dubbio…
Non sarà che questo produrre post a getto continuo, anche minuscoli, anche semplici starnuti verbali, sia la cifra fin troppo pubblica del nostro tempo?
E così, più che negli artisti che tutti vorremmo essere (guarda come sono bravo, com'è graziosa e arguta la mia bambina!), Facebook ci sta trasformando in dei buffoni…

mercoledì 12 luglio 2017

Che cos’è la letteratura? Te lo spiega Simona, al bar Piero



Tu sei uno che scrive libri? mi chiede a bruciapelo un Tizio che incrocio ogni tanto al bar Piero, ci conosciamo solamente di vista. Ma prima di lasciarmi il tempo di rispondere, aggiunge: Spiegami, allora, cos'è la letteratura.
Preso in contropiede faccio una lunga sorsata di Akram, un vino bianco siciliano che tengono solamente al bar Piero. Mi viene quindi in mente (ma dai, proviamo, se ha le gambe va...) di mostrare al mio interlocutore un annuncio che ho appena letto su Meetic, un sito molto popolare per incontri sentimentali tra sconosciuti, di cui esiste l'applicazione anche per smartphone:

Ciao cerco amici, ma solo e ripeto solo se veramente carini!!!

Firmato Simona, trentotto anni, Milano. Un metro e sessantadue di altezza e occhi azzurri. C’è pure la fotografia: una ricciolona un po' anonima ma belloccia, con un nasino davvero pregevole (non a caso il suo volto viene inquadrato di lato).
E' anche laureata, chi l’avrebbe detto… Il profilo web di Simona si completa con le seguenti informazioni.

Segno zodiacale: bilancia.
Gusti musicali: disco.
Attività sportive: jogging.
Interessi: viaggi.
Film preferiti: sentimentali.

Specifica anche il range di età dei ragazzi – ma solo e ripeto solo se veramente carini – da cui desidera essere contattata, che parte da venticinque fino a trentanove anni, chissà perché proprio trentanove e non quaranta... Naturalmente sportivi, conclude Simona perentoria.
Sì, ma cosa c’entra con la letteratura? mi interrompe il Tizio, nemmeno so ancora come si chiama, mentre Mirco, il barista, passa lo strofinaccio su una chiazza luccicante di Campari, rovesciato da chissà chi. 
Semplice. Questa, che leggi sul mio telefonino, non è letteratura, ma narrativa di consumo. Lo comprendi dal fatto che coincide con lo spirito dei tempi come il glicine con le assi incrociate del gazebo, a spargere nell’aria note leggere e quasi candite, aromi di infanzia. Non c’è attrito, nessuna resistenza al diffondersi degli aromi. E' l'odore del presente.
Tra dieci anni, però, quando Simona ne avrà quarantotto, potremo sfogliare il prologo del suo romanzo, che si farà letteratura quando avrà superato i cinquanta. Non prima, attenzione!
Mmh, perché dopo i cinquant'anni... borbotta il Tizio poco convinto.
Perché sarà solo dopo quell’età che Simona inizierà a cercare ragazzi sempre più giovani e carini, a ricercarli forsennatamente.
I viaggi le interesseranno ancora, non si cambia in una manciata di primavere, ma con mete ogni volta più esotiche e lontane. E così i film sentimentali e un po' lacrimosi, la musica disco, I will survivor di Gloria Gaynor ascoltata a palla sulla Mini Cooper gialla, diretta verso una discoteca fuori porta per la serata over quaranta, che tanto ci trovi persone di tutte le età (e molti ragazzi carini, pensa Simona).
Magari andrà un poco meno spesso a fare jogging, questo sì, a cui sostituirà lo stepper in palestra per tonificare cosce, polpacci, le natiche appena un po’ più lasche in quello che sarà comunque un bel culetto. Bellino, via. E però che nasino ancora! 
Ma la letteratura, la letteratura?! mi incalza l’amico, ormai ci si chiama già così dopo pochi minuti di conversazione, pescando qualche Fonzies di tanto in tanto, che però poi rimettiamo nella vaschetta senza darlo a vedere a Mirco. Guarda che non mi hai mica ancora risposto...
La letteratura è esattamente questo: il divaricarsi tra la vita e il suo oggetto desiderato, come i punti della sutura che si sciolgono mostrando la carne viva della ferita. La catastrofe inizia allora a intravedersi tra le quinte dei giorni, il glicine dirada e vicino, sempre più vicino è il gorgoglìo dell'abisso, ormai il tono della mia voce è preciso a quello di Vittorio Gassman, mi sono fatto un po' prendere la mano.
Intanto, quale correlativo, avvicino con gesto enfatico il bicchiere al suo orecchio, facendo poi girare il vino paglierino all'interno. Una scena che ricorda due bambini che si scambiano la conchiglia da cui udire il brontolio del mare, nel tentativo di cogliere, ora, il suono della letteratura.
Dopo quella lunga pausa gestuale continuo. Simona ha raggiunto i sessant'anni: la vedi, riesci a vederla?
Il naso si è rotto scivolando sul tapis roulant. Per non farlo notare, quando è in compagnia, dorme con la faccia immersa nel cuscino. Ogni tanto si sveglia all'improvviso perché le manca il respiro, le sembra di morire. Inala allora una lunga boccata di ossigeno e poi riprende a dormire nella stessa posizione. Ne ricaviamo che ora è in compagnia di qualcuno.
Sudamericano, trentun'anni a maggio, segno del toro. Si sono conosciuti all'American Contourella di viale Sanzio, dopo il fallimento ha cambiato nome, ma rimane uno dei centri wellness più in di Milano.
Non si è ancora capito che lavoro faccia Simona, né dove trovi i soldi che per lei sono qualcosa come di anteriore, scontato. Ma lui i soldi li ricava certamente da, in ordine inverso: 1) Bmw Z4 2.5 cabrio; 2) tatuaggi tribali su tutto il corpo; 3) muscoli gonfi e scattanti; 4) un pene enorme.
Sì, è inequivocabilmente un gigolò. 
Pedro, il gigolò, afferra la busta che lei ha lasciato sul bordo comodino, e si avvia verso la porta del motel.
La guarda, la porta, non Simona che adesso russa tranquilla, ha la stessa espressione che aveva da bambina quando il nonno la svegliava con un dolcetto, ma possiamo solo immaginarla perché il volto è ancora immerso nel cuscino. 
Quindi la apre, sempre attento a non far rumore, e richiude alle sue spalle. In fondo è solo una porta, una delle tante che Pedro attraversa ogni giorno. Questa volta mentre contava le banconote da cinquanta nella busta - una, due, tre… sei: perfetto, trecento euro, come d'accordo - e così ha dimenticato di sussurrare all'indirizzo della donna il solito hasta la vista querida.
Ecco, questa invece è letteratura.
Ah, tutta qui, pensavo di più. Cambia mica tanto con la vita...
Sì, rispondo io, ma rispetto alla vita c'è la forma, l'intonazione, a far decollare la minima storia di Simona, una storia come migliaia di altre simili, tra il marmo puntinato del bancone, i calici vuoti e i Fonzies che proprio non vogliono farsi assaggiare da nessuno.
Senza la voce, che abbiamo provato a restituirle, resterebbe allora quel che è: una figlia spensierata di tempi ancor più spensierati e leggeri, prima di essere inghiottita dal suo stesso immenso sbadiglio. 
Ce ne beviamo altri due, cosa dici?