La Fase due prevede che
i figli minorenni possano uscire solo se accompagnati dai genitori. Minorenni,
genericamente, dunque anche di sedici, diciassette anni. Un dettaglio che non
ha colpito i più, forse perché si intona con ciò che i tedeschi, con un sibilo
che ricorda il comando a un Dobermann, chiamano Zeitgeist, lo spirito dei
tempi. Ma proviamo a fare un balzo indietro, 1916, siamo nel pieno del primo conflitto mondiale,
quando Gaetano Salvemini offrì a Piero Gobetti di dirigere l'Unità. Lui
rifiutò, molto garbatamente, "ritengo la mia formazione non ancora
ultimata, grazie mille lo stesso". Aveva allora quindici anni.
Altri tempi, si dirà. Eppure anche solo pochi mesi fa – pochi mesi che sembrano secoli – quando mi capitava di andare in Svizzera potevo incrociare degli scriccioli di sei o sette anni; erano appena usciti dalla scuola elementare di Brusio e risalivano la strada che porta al lago di Poschiavo, da soli o in piccoli gruppi, comunque senza adulti come facevamo noi alla stessa età. La cartelletta sulle spalle su cui sbattono le lunghe trecce, nel caso delle bambine, mentre i maschi corrono sempre, chissà da dove viene questa smania maschile di divorare la strada, precorrere i tempi. Impensabile in ogni caso in Italia, dove un moderno Gobetti dovrebbe raggiungere via Barberini 11, attuale sede de l'Unità, con la mano nella mano dei genitori. Chi sei piccolino? gli chiederebbe l'usciere, accompagnando la domanda con un simpatico buffetto. Sono il nuovo direttore.
D'altronde gli antropologi ce lo ripetono allo sfinimento: la giovinezza, a differenza dalla fanciullezza, è una categoria culturale, una scelta precisa di ogni comunità umana che posiziona l'asticella della maturità, la mette dove è utile più che giusto. Resta dunque da capire quale vantaggio persegua la nostra cultura, e di conseguenza la nostra società, nel ritardare progressivamente l'ingresso dei giovani nel mondo, invece dello zucchero filato gli si ammansisce la voce di qualche rapper in cuffia, ma nella sostanza cambia poco.
La sensazione è che il mondo lo debbano spremere per bene i vecchi, i "maturi", e se dovesse avanzare qualcosa spetterà in seguito ai cuccioli, come fanno i maschi di leone con la gazzella. Ma in verità non ne ho la minima idea, anche se trovo decisivo continuare a porsi la domanda.
Altri tempi, si dirà. Eppure anche solo pochi mesi fa – pochi mesi che sembrano secoli – quando mi capitava di andare in Svizzera potevo incrociare degli scriccioli di sei o sette anni; erano appena usciti dalla scuola elementare di Brusio e risalivano la strada che porta al lago di Poschiavo, da soli o in piccoli gruppi, comunque senza adulti come facevamo noi alla stessa età. La cartelletta sulle spalle su cui sbattono le lunghe trecce, nel caso delle bambine, mentre i maschi corrono sempre, chissà da dove viene questa smania maschile di divorare la strada, precorrere i tempi. Impensabile in ogni caso in Italia, dove un moderno Gobetti dovrebbe raggiungere via Barberini 11, attuale sede de l'Unità, con la mano nella mano dei genitori. Chi sei piccolino? gli chiederebbe l'usciere, accompagnando la domanda con un simpatico buffetto. Sono il nuovo direttore.
D'altronde gli antropologi ce lo ripetono allo sfinimento: la giovinezza, a differenza dalla fanciullezza, è una categoria culturale, una scelta precisa di ogni comunità umana che posiziona l'asticella della maturità, la mette dove è utile più che giusto. Resta dunque da capire quale vantaggio persegua la nostra cultura, e di conseguenza la nostra società, nel ritardare progressivamente l'ingresso dei giovani nel mondo, invece dello zucchero filato gli si ammansisce la voce di qualche rapper in cuffia, ma nella sostanza cambia poco.
La sensazione è che il mondo lo debbano spremere per bene i vecchi, i "maturi", e se dovesse avanzare qualcosa spetterà in seguito ai cuccioli, come fanno i maschi di leone con la gazzella. Ma in verità non ne ho la minima idea, anche se trovo decisivo continuare a porsi la domanda.
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