Sogno o son desto, o sulla memoria al tempo del covid-19
Quando ero piccolo avevo un triciclo rosso e una
pantera nera. Quando ero piccolo avrei voluto un triciclo rosso e una pantera
nera e un angioletto azzurro da mettere sulla capanna del presepe. Quando ero piccolo non ho mai avuto un triciclo
rosso, una pantera nera, un angioletto azzurro (probabilmente nemmeno un presepe, magari facevamo l'albero con le palle dorate, le lucine intermittenti che si riflettono la notte della vigilia sul vetro della finestra del soggiorno) e un mangiadischi arancione in cui
ascoltare le fiabe sonore, iniziavano cantando di mille ce n’è... di favole da
narrar. Quando ero piccolo, questa la verità, è passato troppo tempo da quando
ero piccolo, e tutto quello che mi ricordo è il racconto del mio ricordo, la
sua messa in scena dentro il teatro della mente. Ma uno degli effetti dello
strano presente che stiamo vivendo – il fiume dei giorni si fa prima ruscello, poi rubinetto che perde per poi arrestarsi a mostrare il greto asciutto e sassoso – è la messa in dubbio
di tutte quelle che mi apparivano come narrazioni certe. Tra cui un triciclo
rosso, una pantera nera, un angioletto azzurro, un mangiadischi arancione e la
bambola di plastica di Sandro Mazzola detto Sandrino, centrocampista e attaccante
della squadra per cui tifava mio nonno, mio padre e dunque anch’io. A
differenza delle bambole di mia cugina, con lunghi capelli biondi a cui fare le
trecce o la coda di cavallo, la mia aveva baffi sottili e scuri, le braghette corte e
la maglia a strisce nero azzurre. O forse no, è stato tutto un sogno.
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