giovedì 5 marzo 2020

Il cuore oltre l'ostacolo


Butta il cuore oltre l’ostacolo. È da quando sono piccolo che mi sento ripetere la frase, al punto che ora mi ci riconosco senza esitazione. Crescendo ho trovato anche delle stampelle filosofiche a rafforzarne l'impatto: la causa finale in Aristotele, ad esempio, oppure il desiderio come forza psichica in Lacan, più forte perfino dei traumi e di tutta la spazzatura dell’anima. Ma come comportarsi in momenti come questo?
L’ostacolo è chiaro, fin troppo flagrante nel suo intangibile occultarsi – dov’è, su quali superfici si nasconde lo stramaledetto virus, chi sarà l’untore tra i passeggeri del tram 19…? – ma ciò che sfugge è il fare: cosa faccio, quali azioni posso mettere in campo, io, ora, adesso, per ritrovarmi dall’altra parte, quella in cui la gente di nuovo si accalca al bancone del Bar Basso a sgranocchiare pistacchi e trangugiare Negroni?
Viene allora il dubbio che ciò che è andato sfumando in questi anni sia stato proprio il cuore. Ma non nel senso della Tamaro (“va' dove di porta il cuore”) o di Saint-Exupéry, per il quale non si vede bene che con quel muscolo rossastro. No, io penso che si veda meglio, specie se miopi e astigmatici come me, con gli occhiali, ma il cuore è ciò che conferisce valenza all’ostacolo. Lo rende il mio ostacolo.
Per capirlo basterebbe farsi una semplice domanda: perché dovrei superare quella cazzo di staccionata? Cosa ci guadagno in termini di felicità, amicizia, bellezza, amore e, perché no, anche benessere materiale a lanciarmi dall’altra parte, cosa che non sia già qui?
Non sto però insinuando – questo sarebbe pensiero buddista, e io non lo sono – che il presente sia già colmo di tutto ciò di cui abbiamo necessità. Ma anche un desiderio indifferenziato è ugualmente fuorviante; per dirla ancora con Lacan, è la confusione che si è creata tra desiderio e godimento.
Quel che mi stanno insegnando questi strani giorni di clausura, e parlo davvero a titolo personale, non voglio dare lezioni a nessuno, è che senza un fare, un ostacolo, io non sto bene, anzi sto proprio male. Ma inizio a sospettare che tutti quegli ostacoli che fino a ora ho cercato di saltare, opplà, come un bel cavallo baio a un concorso di equitazione, non ce li avevo messi io ma una specie di accordo tacito con il mondo, il quale mi indirizzava con invisibili briglie.
Acquietarsi in uno spazio asociale intimo e rarefatto, come siamo obbligati dalle circostanze, sarà allora un modo per riconiugare il cuore con l’azione, scegliendo con cura le siepi su cui balzare prima ancora di indossare i finimenti. Ma adesso c’è tempesta, e tocca stare nel paddock 
ancora un po'.

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