venerdì 6 marzo 2020

Dopoguerra


Come nei feuilleton sui giornali dell’Ottocento, riprendo da dove ho interrotto il post precedente. Cosa fare dopo? O meglio: cosa mi piacerebbe fare, quale desiderio realizzare quando questa triste buriana sarà finalmente terminata, la prateria in cui galoppare dopo aver saltato la siepe che ci sembra ora una foresta?
In spirito postmoderno ho così iniziato a compilare una lunga lista, che comprendeva aperitivi in locali accalcati con patatine e olivette e pistacchi su cui finiscono goccioline di saliva dei clienti precedenti; ma sarà bello cacciarseli in bocca lo stesso, sarà innocuo. Quindi concerti di musica rock, classica, moderna, qualsiasi musica ma soprattutto un'opera estiva dopo la via crucis rovente dal parcheggio dei pullman all’Arena di Verona, si riconoscono quelli dei tedeschi dal faccione di Beethoven che giganteggia sulla fiancata. E perché non infilarci anche un rave party, vorrei andarci con gli occhiali di Elton John e la calzamaglia di Achille Lauro, tanto non avrò bisogno di tasche in cui infilare l'Amuchina, solo i woofer delle casse che fanno bum bum bum.
Va quindi da sé cinema, molti film ma solo se in sale affollate, mica le rassegne d'essai a cui vanno solo quattro gatti, e non si alzano dalla poltroncina finché non sono scorsi tutti i titoli di coda in polacco; da lì il dubbio di essere l'unico a non conoscere il polacco. Continuando a elencare
mostre, ristoranti, tram, metropolitane, aerei, traghetti, vaporetti, code per acquistare l’ultimo modello di iPhone, e quando arriva il mio turno dire non mi interessa, grazie. E poi tango, ecco, un bel corso di tango ma non il balletto alla Scala che mi ha sempre fatto schifo, piuttosto un incontro di pugilato a cui assistere a bordo ring, senza curarsi degli schizzi di sangue e sudore che spiovono mentre il jab centra nasi camusi alla Lino Ventura; un tempo ci si riparava aprendo le pagine del New York Times o quelle rosa della Gazzetta, a seconda del lato dell'oceano che si aveva avuto in sorte.
La mia lista non era comunque finita qui, continuava per svariati fogli. Se non che l’ho appallottolata e gettata nel cestino. Perché quel che desideravo davvero, mi sono accorto, me ne accorgo e lo desidero anche adesso, è solamente una cosa. Innamorarmi.
Sì, innamorarmi come una ragazzina di seconda media che scrive il nome dell’amato sul diario, o meglio ancora un marinaio che bacia un’infermiera in mezzo a una folla festosa; uomini coi baffi lanciano al cielo il proprio cappello (chi aveva un fedora si ritrova in testa un newsboy) e giovani donne gli rispondono sventolando foulard colorati, ognuna di un colore diverso; quelle con lo chignon se lo sciolgono e fanno sventolare anche la lunga chioma come i poliziotti la paletta sul luogo dell'incidente, per dirti ora puoi passare. Perché dopo ogni incidente, dopo ogni guerra, c’è sempre un dopo
guerra.

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