domenica 29 marzo 2020

Un vecchio e Carlino


Alla metà degli anni sessanta i miei nonni fecero un’adozione. L’unica figlia era già grande, sposata, e attendeva a sua volta un figlio, che poi ero io. Così loro decisero di adottare una nuova creatura, Carlino. Non il cane, intendo, si trattava di una persona in carne e ossa.
Ora io non conosco i limiti d’età fissati dalla legge per le adozioni, ma quella dei miei nonni mi pare superi ogni asticella: Carlino aveva passato i sessant’anni, forse già sessantacinque.
Le cose, per come me le hanno raccontate, andarono a questo mondo. Carlino era originario di un piccolo paese abbarbicato in una valle angusta vicino a Sondrio, dove qualcuno gli aveva confidato che, dopo una certa età, l’altitudine fa male alla salute. Lui non ne aveva inteso bene la ragione, né a quale valore numerico si riferisse l'aggettivo certa. Ma colse al volo un termine: male!
Non che il suo paese, Primolo, avesse un’altitudine da cordigliera andina, credo sia sui milletrecento metri, ma l’informazione fu sufficiente a Carlino per mollare tutto e precipitarsi il più in basso possibile, arrestando la fuga proprio di fronte alla fattoria dei miei nonni. Avete qualche lavoretto da farmi fare, un posto in cui dormire?
Come Carlino, i miei nonni non erano ormai più giovani, ma lo spirito profondamente cristiano di mia nonna, unito al piacere di mio nonno di avere qualcuno a cui raccontare le sue storie, in genere e come tutti gli anziani si trattava sempre delle stesse, fecero sì che lo accogliessero in casa, o meglio nel solaio dove Carlino si era ritagliato una cameretta tutta per sé. Si trovava proprio al termine della legnaia dove io e Stefano avevamo tracciato una pista a pennarello, da percorrere con i tappi del chinotto.
I lavoretti in realtà si riducevano a poca cosa, anche perché Carlino era fragile e cagionevole. Però almeno le mucche le portava al pascolo tutte le estati. Quando ero più piccolo lo accompagnavo sempre, mi piaceva il suono dei campanacci, farmi leccare i grani di sale
sulla mano dai vitelli, e se dovevo fare la cacca lui poi l'esaminava con un rametto di robinia. Cercava tracce di eventuali patologie.
A ogni mucca aveva assegnato un nome, e loro gli rispondevano con un muggito, un cenno del capo, come pure il maiale che scodinzolava appena lo vedeva. Inoltre, simile a un esploratore, la sera completava con occhi vigili il periplo del piccolo podere, per raccattare le uova seminate un po’ ovunque dalle galline. Mio nonno infatti sosteneva – un antesignano – dovessero razzolare libere nell’aia.
In questa bella storia edificante si sarà però intuita un’ombra: Carlino era ipocondriaco, anzi molto ipocondriaco. Una sera, ormai ero adolescente e non mi facevo più esaminare la cacca da Carlino, passai in Vespa a portare qualcosa per conto di mamma. Sul divano accanto alla stufa, trovai mio nonno e Carlino che stavano guardando un programma televisivo sui ghepardi, mio nonno in particolare era appassionato di documentari sugli animali. Ma quella volta lo stava seguendo con la mano nella mano di Carlino. Oddio, il nonno è diventato omosessuale! pensai non stupendomi più di nulla.
Poco dopo intuii un'altra verità, e tirai un sospiro di sollievo. Carlino gli stava misurando i battiti del polso per confrontarli con i propri. El savevi, el savevi, piagnucolò infine scuotendo il capo. Ti Marcant, è così che chiamava mio nonno, mercante, già che ancora commerciava in bestiame, ti Marcant te camperè cent'an. Mi invece su malat...
Parole che neppure sfioravano il nonno concentrato sui ghepardi. Lo scatto bruciante, la  corsa forsennata ma brevissima, per poi sgambettare la gazzella e farla cascare al suolo, dove avventarsi alla giugulare. Una scena di tremenda maestosità, in cui le geremiadi di Carlino avevano l'effetto di una mosca, a cui dedicare solo un distratto colpetto di coda.
Forse per questo la loro complementarietà era perfetta: tanto era spaventato dalla vita Carlino (aveva anche acquistato un'enciclopedia medica a rate, che compulsava avidamente mentre le mucche ruminavano placide nella stalla), quanto il nonno era solido e fiducioso, nessuna malattia del corpo intaccava il suo orizzonte di ottimismo, che si condensava in un’esclamazione ripetuta: “Dio campanile!”
In questi giorni di segregazione, ansia, risvegli notturni, mi manca più che mai la coppia formata da mio nonno e Carlino. Li immagino trasferiti nell'adesso, li immagino sullo stesso divano verde su cui avevo creduto si tenessero per mano. Anzi, nel mio sogno a occhi aperti, la mano se la tengono per davvero, come due bambini che attraversano la strada. Uno è leggermente più grande e sa che deve prendersi cura del fratellino.
Ma a un certo punto interrompono il programma sui ghepardi per fornire i dati sul contagio. Il bambino Carlino sobbalza, trema, stringe più forte la mano dell’altro. Ed è allora che il bambino nonno, il polso calmo, sistole e diastole si succedono regolari anche senza la sorveglianza di Carlino, lo rassicura: “Dio campanile, cusa te volet che el sia. Cuma ogni vaca che la se perduda, prima o dopu, anche questa la turnerà ne la stala de per lè.”

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