lunedì 13 aprile 2020

Zio, zio, spiega la vita, spiega com'è

Poche ore fa, nella notte tra Pasqua e Pasquetta, come se il giorno dopo Natale si chiamasse Natalino, è morto mio zio. Quando parlano di un loro zio i miei amici accompagnano il vincolo parentale al nome di battesimo, lo stesso avviene nelle pagine dei romanzi: Uncle Tom, zio Carlo, zio Giuseppe e così via. Io invece il mio l'ho sempre chiamato zio, tutto il resto mi sembrava ridondante.
Certo per me era semplice, non avendone altri con cui confonderlo, e lui me come unico nipote: figlio del fratello della moglie Marina, la zia Marina. Chissà perché nel suo caso anche io faccio seguire il nome, mentre lo zio era lo zio. Punto. Mi torna in mente una canzone, la sentivamo assieme a Rapallo e lui ridacchiava. Specie quando nel refrain Paolo Conte borbotta: ah zio, zio, com'è, com'è, spiega la vita, spiega com'è... Solo che il mio non mi ha mai spiegato un bel niente, nemmeno la soluzione di un cruciverba.
Aveva un modo tutto suo di stare al mondo, che conteneva qualcosa di paradossale: da un lato sembrava aderire pigramente al pensiero comune, non popolare ma di quella borghesia meneghina che indossa la cravatta anche per andare in spiaggia, e se ti muore un amico dici sabato i'ha metut via il Nello, con un senso operoso e pragmatico per cui anche un funerale è una pratica da portare a termine. Il lavoro è lavoro.
Ma adesso che a essere morto è lui, non possono neppure metterlo via a causa del decreto sicurezza Covid, gli amici del Circolino, dove giocava a boccette e beveva Sambuca, in fila davanti alla chiesa per l'ultimo saluto, adesso emerge l'altra faccia di questa apparente normalità, quasi indolenza. Non che fosse una maschera ciò che rivelava, ma come nei film di spionaggio conteneva una figura più complessa, arriverei perfino a dire filosofica, per quanto dalla filosofia si fosse sempre tenuto a debita distanza, ero io quello che si buttava a capofitto per cercare di capire, spiegare, spiega la vita spiega com'è, chiedevo anche ai libri che leggevo un poco alla rinfusa.
Già, mio zio era un filosofo, e in particolare un filosofo stoico. Sustine et abstine, sostieni e astieniti (da ciò che può causare dolore e sofferenza, a te e agli altri) era infatti il motto degli stoici. E oltre a sostenere fino all'ultimo gli infiniti acciacchi che gli erano cascati addosso – su a toc ha detto per telefono a mia madre due giorni prima di morire –, si è astenuto dall'impartire alcuna lezione esplicita di vita, a me come ai quattro nipoti di cui era nonno e ai miei tre cugini. Forse intuendo che in qualsiasi dottrina, pedagogia, ammaestramento si nasconde un gesto sottilmente autoritario, di cui era totalmente incapace.
Eppure anche così o, meglio, proprio così, è riuscito a trasmettermi un insegnamento fondamentale: non c'è niente da spiegare, le cose davvero importanti si capiscono o non si capiscono da soli. E bon, va bene uguale. Dunque, come suggeriva un altro filosofo cristiano, ama e fa' ciò che vuoi. Nient’altro, almeno per cui valga la pena di inzuppare le canottiere di sudore, e la mente di pensieri astrusi.
Esattamente quello che ha sempre fatto lo zio, quando il fa ciò che vuoi corrispondeva non di rado ai cazzi suoi. Una disposizione laterale al corso principale degli eventi, ciò che gli anglosassoni chiamano main stream, dove a prendersi la scena erano viaggi perlopiù sognati, per poi ripercorre quelli realizzati su enormi atlanti aperti sul tavolo in soggiorno, mentre la gente attorno si occupava e preoccupava di cose che lo lasciavano del tutto indifferente, secondo una pratica che gli stoici chiamavano atarassia.
Ma si può avere una vita filosofica avendo quali autori di riferimento Mazzola, Gimondi e Mastroianni, tanto simile a lui nello scivolare a margine di ogni cosa, mai di petto come un Gassman che ruggisce il proprio nome? Sì, si può, perché è tutto cinema, cinema, cinema prosegue incalzato dall’orchestra Paolo Conte. D’altronde in un cinema ci era nato, cresciuto e ne aveva fatto la sua professione, senza troppo entusiasmo ma neppure grandi rimpianti, già che ogni alternativa sarebbe stata sforzo e vanità. Rotture di scatole, diciamolo pure.
E invece ama e fa i cazzi tuoi, ecco il distillato del muto insegnamento che mi arriva a partita ormai conclusa, sintesi registrata alla Domenica sportiva, quante volte l'ho trovato addormentato sul divano davanti al blaterare calcistico del Biscardi di turno, il telecomando sul punto di cascare dal palmo semi aperto della mano, come nel dettaglio di un dipinto rinascimentale sulla deposizione.
Le macchine fotografiche, le numerose Nikon che possedeva, come balocchi natalizi di un bambino, di cui alla Befana già essersi scordato. E poi gli sci K2 con cui pennellare ampie curve sulle piste, li rivedo all'ingresso dell'appartamento dei nonni in via Moroni. Istantanee, fototessera di riconoscimento di una vita. Trascorsa per il resto in camicia azzurra con la cravatta amaranto e i pantaloni grigi. Ma siamo sicuri che siano immagini veritiere? Il sospetto è che fossero abiti di scena, ennesimi travestimenti dell'agente segreto per conto della filosofia…
Ama e fa i cazzi tuoi.
A volte venivano prima i cazzi suoi e altre volte l'amore, il sorriso appena accennato unito agli occhi buoni, el g’aveva du occ de bun, come viene detto in un’altra canzone milanese, confermati dalla disponibilità ai piccoli favori che gli venivano richiesti. Ma per subito tornare a farsi i cazzi propri, versarsi un bicchiere di Bonarda e poi aprire l'atlante De Agostini, decollando con un acquaplano immaginario in un mondo di esotismo e rêverie.
Accidenti, zio, ci ho messo cinquantatré anni per estorcerti il segreto, quello della vita che avrei voluto mi spiegassi, ma come si dice al Circolino te ne avevet gna per i ball. E però attenzione, solo il nipote capisce lo zio conclude Paolo Conte, e io alla fine ti ho capito! Ho capito la mia impossibilità a capire, a capirti, a penetrare nell’esistenza misteriosa e santa di ciascuno. Riposa in pace zio Franco. Perché anche tu un nome ce l'avevi, non solo gli zii dei miei amici.



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