giovedì 23 aprile 2020

Privacy, o sulla rottura di coglioni come manifestazione di benessere


Ma cos'è tutta questa ansia da privacy? Sento alzarsi un coro di dissenso dalle app per il tracciamento dei contagi, addirittura qualcuno minaccia – via social naturalmente, il nuovo balcone di Palazzo Venezia da cui scoccare i propri proclami – l'interruzione di qualsiasi rapporto con chi scaricherà l'applicazione. Ebbene, io lo farò, bye bye.
Per chi invece preferisce la ragione alla proclamazione, proviamo a riflettere sul nuovo fenomeno. È come se si fosse passati dal terrore di essere contagiati al timore di essere computati, che mi sembra una buona notizia. Da bambino, quando mi buscavo un raffreddore, mia madre mi diceva che nel momento in cui tornavo a rompere i coglioni era un chiaro segno di ripresa. Prendo dunque atto che il Paese si sta riprendendo, e lo fa nella forma che ci è propria: rompere i coglioni.
A parziale rassicurazione dai nostri legittimi timori, cito quel che pensa sull'argomento Alessandro Vespignani, fisico italiano trasferito negli Stati Uniti dove dirige il maggior centro di ricerche per la creazione di modelli epidemiologici. Chiede il giornalista Mario Calabresi, perché chiedere e informarsi è sempre giusto, ragguagli sull’intrusione nelle nostre vite che applicazioni e controlli potranno portare.
"Onestamente non vedo il pericolo" risponde Vespignani, “queste app possono rispettare la privacy ed essere ingegnerizzate per non avere un database centralizzato e quindi rispettose delle nostre vite. Gridare allo scandalo oggi, quando si tratta di tracciare i contagi, è fuori luogo: ogni giorno seminiamo montagne di dati senza mai preoccuparci e ora spacchiamo il capello in quattro. Ci dimentichiamo che quotidianamente noi giriamo con qualcosa in tasca che ci traccia, ci mappa e ci quantifica. Con il nostro permesso. E non serve a salvare vite."
E adesso riprendiamo pure a rompere i coglioni. Ma sapendo che è solo il nostro modo di stare al mondo, per manifestare di essere vivi.



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