martedì 21 aprile 2020

Un cappello

Una volta ho sgridato mia nonna perché si era seduta sopra il mio cappello. Si trattava di un cappello marrone appena acquistato, le falde in stile Indiana Jones e però con il tessuto impermeabile, piccole pieghe da usura aggiungevano un tocco fané, per questo non si è rovinato. Ma io ho sgridato mia nonna ugualmente, e anche mia madre che la difendeva.
È stato un errore, l'avevo posato sulla poltrona su cui, dopo pranzo, la nonna si metteva a prendere il sole che filtrava dalla porta finestra socchiusa, i lunghi ferri mossi da mani che non temono le ortiche, mentre il filo di lana si scioglie dal gomitolo per prendere la forma delle calze che avrei indossato l'inverno successivo, Radio Maria quale colonna sonora.
Non l'aveva visto il mio cappello da Indiana Jones, tutto qui, e si è accasciata a peso morto come un vitello sulla paglia, un errore anche il suo. D'altronde nella vita ho compiuto errori ben più gravi, mia nonna non se l'è presa per la ramanzina e mi ha restituito il copricapo in forma bidimensionale, sembrava Willy il Coyote quando finisce sotto il rullo compressore, per poi riprendere a sferragliare salmodiando un Pater Noster.
A volte ho pagato per i miei errori ma perlopiù l’ho fatta franca, come quando rubavo alla Standa in seconda media; piccole cose, intendiamoci, una volta ho infilato in tasca un turacciolo di sughero, mi sembrava che un oggetto più costoso avrebbe causato dolore al signor Standa. A me in fondo bastava quel turacciolo, era il mio modo di onorare la foto di Renato Vallanzasca che avevo incollato su una pagina del diario di Snoopy. Le mie compagne ci piazzavano Miguel Bosè e io Vallanzasca. Poi si cambia, parlo per le compagne.
L’avere sgridato mia nonna è però un errore che non sono mai riuscito a perdonarmi. I cattolici hanno quell’invenzione formidabile che si chiama confessione, Freud deve avere copiato da lì prima di consegnarci il suo compitino, la solita aria da primo della classe; con la differenza che i preti ti fanno vuotare il sacco gratis, mentre gli psicanalisti vorrebbero convincerti che se non paghi non funziona. E pensare che quando esci dal confessionale ti regalano pure un biglietto omaggio per il paradiso, come fanno i venditori di materassi che ti offrono in giunta il set di pentole. Peccato che quel giorno io abbia altri impegni.
Non me ne faccio un cruccio, semplicemente non sono cattolico, forse neppure cristiano. Il mio dio non è inchiodato alla croce ma alla mangiatoia del presepe che facevo da bambino, il muschio lo prendevo nel bosco dei Bordighi e con la carta stagnola tracciavo i ruscelli, oppure si è smarrito nell’odore di incenso e zibibbo che respiravo in sagrestia, la cosa divertente era infilarsi la cotta e una sottana bianca come quella di don Aurelio. Ed ecco un chierichetto, voilà, un piccolo servo del Cristo Redentore.
Io però continuavo a chiamarlo Gesù, mi stava simpatico Gesù, gli rivolgevo la preghiera prima di dormire seguita da quella al mio angelo custode (solo evitavo l’eterno riposo, non per altro ma morti non ne conoscevo, era un concetto troppo astratto), e in fondo mi sta simpatico anche ora. Peccato che la sua attendibilità teologica mi appare la stessa di Willy il Coyote: uno cammina sulle acque e l'altro nell'aria, mentre lo spuntone di canyon su cui si trovava precipita al suolo schiantato dalla dinamite; e seppure finisca male per entrambi alla puntata successiva sono ancora lì, come se niente fosse. Due belle storie, niente da dire. Quanto alla psicanalisi, con me ha funzionato come i tentativi del maldestro coyote di acciuffare Beep Beep.
Però scrivo, so scrivere. Posso vedere i caratteri grafici con cui comporre le parole errore, nonna, scusa, calze, grazie, sogno. Un sogno bello, ma una mano invisibile deve averlo spento, clic, come faceva il nonno con Radio Maria quando in tivù iniziava il programma di Funari. Ecco, già mi sembra di stare un poco meglio. Non è difficile, è un giochino che possono fare tutti, basta avere qualcosa da ricordare e qualcuno da cui farsi perdonare. E poi ora che ci penso era un cappello un po' da tamarro.

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