lunedì 27 agosto 2018

Non voglio sentire, o sulla politica come estetica


Destra e sinistra. In un orizzonte in cui la morale pubblica si fa sempre più eccentrica, quasi bizzarra, i due termini significano forse solamente: la mia bontà si diffonde senza alcun confine geografico e argine culturale. E questa è ovviamente la sinistra. A cui risponde con voce stentorea la destra: la mia bontà si concentra invece in un punto esatto della terra che coincide con la terra stessa, da cui fioriscono i popoli, i racconti, il sangue perfino.
I tedeschi hanno saputo sigillare il tutto con un solo termine. Heimat. Una sostanza biologico-astratta in cui lo Spirito si salda con i luoghi che l’hanno generato, e senza i quali si dissolverebbe all’improvviso, puff, secondo uno schema di pensiero che fa coincidere premesse a conseguenze. Ma viene così negato al figlio di poter essere altro dal cognome che ha impresso, e sulle buste gialle, bianche, di qualsiasi colore, il nome del mittente è sempre più grande del destinatario. In italiano si dice patria, ma nella lingua di Arlecchino e Pulcinella è tutta un'altra storia. Una storia comica. 
 Il mare, seguendo la felice intuizione del filosofo del diritto Carl Schmitt, è l’emblema (“talassico”) di tale dissolvimento, che, fatto proprio dalle democrazie anglofone di antica tradizione marinara, porta lo Spirito a vagare sopra onde che non conducono più a nessuna spiaggia, solo le note di una vecchia e bellissima canzone di Battiato e Giusto Pio: mare mare mare voglio annegare, portami lontano a naufragare…
 Quella che ne risulta è dunque un’immagine estetica, più che etica. L’immagine del nostro tempo. Ma se guardiamo a destra e sinistra da tale diverso punto di vista, abbiamo una sorpresa. La sinistra, esteticamente, coincide infatti con la figura retorica della ripetizione, in cui il bambino che ha appena detto una cosa buffa, gli adulti hanno riso, pronuncia quella stessa frase allo sfinimento nella speranza di ottenere il medesimo risultato, ma guadagnando solo indifferenza. O se si preferisce, sono le imperterrite messe in scena di certe fortunate commedie americane che hanno riempito un tempo i teatri di Broadway e da allora non sono più uscite dal cartellone; nel frattempo è morto il commediografo, il regista e svariati attori, tutti sostituiti seguendo il dettato di un ritornello altrettanto logoro: the show must go on. E pazienza per quel rumorino che proviene dalla terza fila, simile a un gatto che fa le fusa o a un maiale che grufola sottovoce. È semplicemente uno che dorme.
 Ma se la sinistra è il già detto che si ridice allo sfinimento, avendo ormai scordato le ragioni per cui lo fa, cos’è diventata l’estetica in cui la destra trova il proprio rinnovato consenso, dopo aver saltato nei cerchi di fuoco al grido di Eia Eia Alalà, consumando la propria gioventù in ruvide camicie d'orbace, faccette nere di beltà abissina, spari, calci in culo, duelli alle prime luci dell’alba, mentre le onde della storia abbattevano il castello di sabbia con cui l’etica aveva provato a farsi politica, fallendo miseramente?
 A me pare, per opposizione alla sinistra, che la strategia estetica della destra consista nella continua ricerca dell’inaudito: il colpo di scena quando meno te lo aspetti, l’epifania suggestiva che fa spalancare la bocca, poco importa se per sorpresa oppure rabbia. L'importante è che generi emozione, una caso. Ed è la stupefazione continua che ha però un'unica rigida premessa. Non sapere nulla, coltivando la propria disposizione al meraviglioso – in narratologia viene detta sospensione dell’incredulità – come un giardino fiorito, dove la rosa più bella si chiama Ignoranza.
 Ma per far ciò, è necessario tapparsi le orecchie quando qualcuno cerca di spoilerarti il finale, o anche solo introdurre un vago principio di realtà. Quindi ripetere tra sé: Non voglio sentire non voglio sentire non voglio sentire… 

2 commenti:

  1. Io sono di destra, quindi. Sono figlia e nipote di fascisti. É un dato di fatto. E non me ne sono mai vergognata, per giunta. Ho studiato la storia, ho letto, ho sempre cercato di ascoltare, ascoltare ed ascoltare, soprattutto il contraddittorio. Ma ad oggi mi trovo in vacanza al mare, e proprio su una spiaggia della storica rossa, grassa e porca Romagna. Continuo ad ascoltare anche il gracchiare della radio che ripete all'infinito di non acquistare orpelli da sedicenti ambulanti che eserciterebbero la professione abusivamente e di non sottoporsi a massaggi addirittura nocivi per la salute. In realtà poi ci sono qui più ambulanti e massaggiatrici che bagnanti. Questa è l'Italia e lo sanno anche gli stranieri. Io poi mi compro sempre qualche pezzo di bigiotteria perché mi piacciono più dei gioielli... ��

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  2. A me quello che incuriosisce e inorridisce allo stesso tempo è l'evoluzione delle scelte elettorali degli italiani. Settant'anni fa era ritenuto una garanzia mandare in Parlamento persone di cultura e competenti. Circa un quarto di secolo fa ha luogo una certa trasformazione, si guarda ancora oltre se stessi, ma allo stesso tempo ci si identifica o si aspira comunque verso l'immagine e le dotti del politico prescelto (si tratti pure di astuzia mercantile). Oggi si considera giusto e sano farsi rappresentare da un ceto politico che rispecchi il paese reale, cioè "uno di noi", dove la competenza è sospetta e la cultura è sopraffazione dei poteri forti sulla brava gente. Atteggiamento che si manifesta molto anche nella rete, dove si trovano un sacco di opinionisti e tuttologi che hanno da dire la loro sui più svariati argomenti, a parità di chi ha le competenze di farlo. A noi la scelta...

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