venerdì 17 agosto 2018

Chierichetti, o sulla caduta del senso del limite


Quale conseguenza di normali acciacchi anagrafici, negli ultimi anni mi è capitato di avere spesso a che fare con personale paramedico. Fisiatri, osteopati, podologi, optometristi, guaritori energetici… Insomma, terapeuti o tecnici anche capaci, almeno nel loro specifico campo, per quanto privi di una laura in medicina, che comunque non sarebbe indispensabile per esercitare la loro professione.
Ho usato la coniugazione condizionale del verbo, già che l'impressione, pressoché unanime, è di una pericolosa e diffusa incapacità ad arrestare l'intervento alle materie in cui sono stati formati – ad esempio evitando di avventurarsi in improvvide diagnosi mediche –, con ciò riconoscendo una sorta di principio d'autorità a cui attenersi, prima che per disciplina per senso della misura. La propria, di misura.
Tutto ciò mi ha fatto pensare a una patologia più generale del nostro tempo, contratta negli sbuffi tempestosi del '68. E fu una vera e propria epidemia, in cui, oltre a numerosi troni di latta che era giusto ribaltare, lo slancio iconoclasta ha portato alla caduta del senso o, meglio ancora, del sentimento del limite  limite al desiderio aggiungerebbe Lacan, che su questo tema ha riflettuto a lungo.
Negli ultimi cinquant'anni, ma con maggiore impulso nel nuovo secolo, abbiamo così assistito alla progressiva affermazione di una disposizione volontaristica ed emotiva, la quale sostituisce, in ogni campo, l'arbitrio personale al defunto principio normativo dell'autorità e della competenza. Ed è ciò che potremmo chiamare, per opposizione, principio di espressività.
Un'espressione perlopiù in buona fede, è utile ricordarlo, per quanto ciò non attenui e anzi renda ancor più pericoloso tale atteggiamento vagamente naif, che richiama alla mente Topolino apprendista stregone nella celebre pellicola di Walt Disney, quando armeggia con scope umanizzate e secchi colmi d'acqua da trasportare. Il disastro finale è impresso nella storia del cinema. Fuor di metafora: voler fare sempre di più e possibilmente da soli, ragionando in ogni circostanza (come viene ribadito un po' sprezzanti) "con la propria testa".

A me ha però ricordato anche il mio tirocinio da chierichetto in anni ormai remoti, indossavo la cotta bianca e nera che faceva di me un pretino in miniatura. Con questi indumenti, di cui ero molto orgoglioso, passavo compunto le ampolle con acqua e vino a don Bruno, il quale poteva così celebrare il sacramento dell'eucarestia.
Lui era infatti quello entrato in seminario a diciannove anni e poi laureato in teologia, ma prima ancora aveva fatto il liceo classico, ma prima ancora le medie, ma prima ancora le elementari, mentre io stavo ancora studiando il più e il meno con la maestra Maccarone; per divisioni e moltiplicazioni se ne sarebbe riparlato l'anno successivo. Ora, invece, mi pare che qualsiasi chierichetto voglia tenere l'omelia…

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