
Mi è però capitato ieri – conversare da posizioni
antitetiche senza sbranarsi o ignorarsi, per quanto neppure convergere in una
pigra dialettica degli opposti –, e benché dovrei avere ormai imparato che una
rondine non fa primavera, l’attualità del tema mi suggerisce di ripubblicare
qui l’intera e conversazione. Che nasce dal seguente post su Facebook dell’editore
e filosofo Andrea Colamedici, a commento del matrimonio tra Fedez e Chiara Ferragni:
Cari
spin doctor e finissimi strateghi, voi che cercate idee per risorgere e mettere
al mondo discorsi nuovi, coinvolgenti e affascinanti, che spazzino via la rabbia,
il risentimento e l’odio tra esseri umani: studiatevi Chiara Ferragni. Passate
qualche giornata ad analizzare il suo matrimonio con Fedez, a guardare tanto i
numeri (di persone coinvolte, di sponsor, di ricadute economiche) quanto la
sostanza: di cosa è fatto quel matrimonio? Di felicità, di festa, di
spensieratezza, ma anche di cazzeggio, di gioco, di estetica, di studio. Una
narrazione perfetta che ha fatto dimenticare a tutti per tre gironi di seguire
la linea del risentimento. Implementate quel sogno nei vostri ideali e li
vedrete brillare. Senza l’entusiasmo e il desiderio non c’è speranza. Perché
soltanto il tempo della festa e dell’insurrezione, come spiegava Furio Jesi,
può opporsi alla religione della morte.
Commento, tra i molti, di Guido Hauser:
Trovo questo post
vagamente equivoco, in particolare per la confusione, per dirla con Lacan, tra
il piano del simbolico e quello dell'immaginario. Ciò che qui viene detta,
implicitamente spregiandola, "linea del risentimento", contiene
infatti un seme fecondo di realtà; fecondo perché in grado di maturare dal puro
risentimento, emotivo e dunque sterile, al riconoscimento del conflitto, da cui
derivare un gesto a cui seguano altri gesti, un sasso che squarci la tela opaca del consenso, o ancora meglio un comportamento strategico e finalizzato. Al contrario, nel matrimonio spettacolare
o, più propriamente, spettacolo matrimoniale tra la Ferragni e Fedez, il
simbolico inteso quale codice da cui ogni potere trae la sua occulta legittimità, è
messo già da subito fuori gioco, lasciando definitivamente posto
all'immaginario, al sogno, la rêverie. Che coincide con una delle mitologie
più arcaiche e fruste: la ierofania laica tra la bella blogger che si è fatta
tutta da sé, come si dice dal basso, e il principe altrettanto bello e famoso e
partito dal nulla di una periferia, per iscrivere i suoi tatuaggi nell’Olimpo
della rappresentazione. Ma l'emozione fa velo a una struttura sottostante (e
rieccolo il potere, il simbolico…), che, come nell’eccezione del carnevale,
ratifica l’ordine feriale, già che la trasgressione celebra immancabilmente
qualche regola. Nel caso quella di un presunto precetto
ontologico, prima ancora che sociale, per cui ciò che sta sopra deve rimanere
separato da ciò che sta sotto, i belli dai brutti, i vincenti dagli sfigati,
nella neolingua trionfante anche detti "comunisti". E chi insegnò a
smascherare questa macchina mitologica (sempre propizia al potere) fu proprio
Furio Jesi. Qui citato, sia detto senza polemica, un po' a sproposito.
Risposta di Andrea Colamedici:
Vedi,
potrei risponderti specificando che il reale è un'effrazione e quindi non si
può dire, a differenza del simbolico e dell'immaginario, e da qui mille altri
saltimbocca che rasserenerebbero la mia e la tua elucubrazione. Però ti dico:
dai un'occhiata alle stories di Chiara Ferragni. Poi dai un'occhiata alla
comunicazione intellettuale, politica, letteraria italiana e ti accorgerai di
come, a brevissimo, di Lacan e Jesi non resteranno neanche le nostre citazioni
a sproposito, se qualcuno non si prende la briga di uscire di casa e accettare
la sfida.
Guido Hauser:
Andrea,
come ho scritto io la penso diversamente, all’opposto proprio. Non credo,
insomma, che il punto sia intercettare e quindi far lievitare l'emozione
popolare; per dirigerla, magari, in una direzione alternativa e virtuosa. Ce ne
sono già fin troppe, di emozioni. Ce ne sono ovunque. Ed è pericolosissimo
cercare di fare i pifferai delle emozioni altrui, almeno quanto impastare torte con il lievito della mitologia, non a caso De Angeli... Ed è lo stesso tentativo magico di Topolino apprendista stregone,
il quale finisce con l’allagare tutto utilizzando delle scope vivificate (da cosa? Ma dall'emozione fantastica, naturalmente) per
trasportare secchi colmi d’acqua. Asciugare piuttosto, far decantare l'emozione come
un attore al culmine drammatico di una messa in scena brechtiana. Se poi mi
dici che, oggi, con Brecht si perde e con Fedez Ferragni si vince, sono
d'accordo. Ma in questo io sono hegeliano, e tra vincere salendo sul carro
emotivo (e immaginario) di Fedez o aspettare il prossimo tram, io aspetto il tram. Fosse anche quello su cui viaggia Godot…
Andrea Colamedici:
Guido,
è che a forza di rinnegare le emozioni ci giochiamo i sentimenti. D'altra parte
resto un platonico, anche se tradito: i miti s'hanno da fare, non c'è scampo.
Platone si accorse che il suo mondo stava crollando perché i miti/colonne che
aveva intorno erano pieni di crepe. Costruì (inventò) quindi altri miti, più
robusti e altrettanto immaginari. "Queste cose non avvennero mai, ma sono
sempre", scriveva a proposito Sallustio. C'è da guardare al non avvenuto non
perché accadrà (non accadrà), ma perché è. Buonanotte!
Guido Hauser:
Concedendo,
con un po' di generosità, a Fedez e Ferragni un sentimento vero, spuntato non
si sa bene come nel bouquet di cartapesta che ci mostrano orgogliosi e commossi,
credi che per le altre decine di migliaia di persone coinvolte nel e
dall'evento, davvero si possa parlare di sentimenti e non di emulazione degli
stessi, secondo lo schema nietzschiano che porta a distinguere tra desiderio e
vogliuzza ("una vogliuzza oggi, una vogliuzza domani, fermo restando la
salute")? Io penso, ecco, che tu abbia semplicemente utilizzato una
metafora poco felice, o se preferisci un mito degradato. Se ce ne sbarazziamo e
torniamo alle parole nude e crude, forse le nostre posizioni potrebbero riavvicinarsi,
se non ancora convergere. Ad esempio, invece di emozioni o sentimenti, apriamo
il vocabolario alla parola passione, che io trovo estremamente realistica, per
nulla immaginaria o mitologica. Lo stesso realismo che faceva dire a Sartre:
"passione è patire l'altro, è la consapevolezza che la nostra possibilità
di trascenderci è legata alla libertà dell'altro". Passione, libertà e
autotrascendimento. Queste sono dunque le tre parole che io butto sul piatto,
come il giocatore di poker che invece di lasciare rilancia. E che davvero
fatico a coniugare con il matrimonio show di questi giorni… (Buonanotte a te!)
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