martedì 4 settembre 2018

Happy wedding o vaffanculo...? Parliamone, con Andrea Colamedici


In oltre dieci anni non mi era mai successo: un confronto di opinioni contrarie in cui non finisse col prevalere l’aggettivo, a scapito del sostantivo. Non sul web, almeno. Uno scambio che non termini in rissa, caciara e insulto, o ancora più di frequente aristocratico e muto sdegno, secondo quel principio di ir-responsabilità già individuato da Giorgio Agamben, il quale lo fa risalire all’avvento della comunicazione mediata dalla tecnologia. Appropriandosi di un'intuizione dell'amico Pasolini, il grande filosofo romano parla addirittura di mutazione antropologica, in cui a essere venuto meno è una sorta di “giuramento tacito tra i parlanti”, che nelle comunità storiche vincolava gli interlocutori a una risposta sempre e comunque dovuta all'altro. Ora, con tutta evidenza, non è più così. E’ cambiato il galateo della comunicazione. Siamo cambiati noi.
Mi è però capitato ieri – conversare da posizioni antitetiche senza sbranarsi o ignorarsi, per quanto neppure convergere in una pigra dialettica degli opposti –, e benché dovrei avere ormai imparato che una rondine non fa primavera, l’attualità del tema mi suggerisce di ripubblicare qui l’intera e conversazione. Che nasce dal seguente post su Facebook dell’editore e filosofo Andrea Colamedici, a commento del matrimonio tra Fedez e Chiara Ferragni:

Cari spin doctor e finissimi strateghi, voi che cercate idee per risorgere e mettere al mondo discorsi nuovi, coinvolgenti e affascinanti, che spazzino via la rabbia, il risentimento e l’odio tra esseri umani: studiatevi Chiara Ferragni. Passate qualche giornata ad analizzare il suo matrimonio con Fedez, a guardare tanto i numeri (di persone coinvolte, di sponsor, di ricadute economiche) quanto la sostanza: di cosa è fatto quel matrimonio? Di felicità, di festa, di spensieratezza, ma anche di cazzeggio, di gioco, di estetica, di studio. Una narrazione perfetta che ha fatto dimenticare a tutti per tre gironi di seguire la linea del risentimento. Implementate quel sogno nei vostri ideali e li vedrete brillare. Senza l’entusiasmo e il desiderio non c’è speranza. Perché soltanto il tempo della festa e dell’insurrezione, come spiegava Furio Jesi, può opporsi alla religione della morte.

Commento, tra i molti, di Guido Hauser:

Trovo questo post vagamente equivoco, in particolare per la confusione, per dirla con Lacan, tra il piano del simbolico e quello dell'immaginario. Ciò che qui viene detta, implicitamente spregiandola, "linea del risentimento", contiene infatti un seme fecondo di realtà; fecondo perché in grado di maturare dal puro risentimento, emotivo e dunque sterile, al riconoscimento del conflitto, da cui derivare un gesto a cui seguano altri gesti, un sasso che squarci la tela opaca del consenso, o ancora meglio un comportamento strategico e finalizzato. Al contrario, nel matrimonio spettacolare o, più propriamente, spettacolo matrimoniale tra la Ferragni e Fedez, il simbolico inteso quale codice da cui ogni potere trae la sua occulta legittimità, è messo già da subito fuori gioco, lasciando definitivamente posto all'immaginario, al sogno, la rêverie. Che coincide con una delle mitologie più arcaiche e fruste: la ierofania laica tra la bella blogger che si è fatta tutta da sé, come si dice dal basso, e il principe altrettanto bello e famoso e partito dal nulla di una periferia, per iscrivere i suoi tatuaggi nell’Olimpo della rappresentazione. Ma l'emozione fa velo a una struttura sottostante (e rieccolo il potere, il simbolico…), che, come nell’eccezione del carnevale, ratifica l’ordine feriale, già che la trasgressione celebra immancabilmente qualche regola. Nel caso quella di un presunto precetto ontologico, prima ancora che sociale, per cui ciò che sta sopra deve rimanere separato da ciò che sta sotto, i belli dai brutti, i vincenti dagli sfigati, nella neolingua trionfante anche detti "comunisti". E chi insegnò a smascherare questa macchina mitologica (sempre propizia al potere) fu proprio Furio Jesi. Qui citato, sia detto senza polemica, un po' a sproposito.

Risposta di Andrea Colamedici:

Vedi, potrei risponderti specificando che il reale è un'effrazione e quindi non si può dire, a differenza del simbolico e dell'immaginario, e da qui mille altri saltimbocca che rasserenerebbero la mia e la tua elucubrazione. Però ti dico: dai un'occhiata alle stories di Chiara Ferragni. Poi dai un'occhiata alla comunicazione intellettuale, politica, letteraria italiana e ti accorgerai di come, a brevissimo, di Lacan e Jesi non resteranno neanche le nostre citazioni a sproposito, se qualcuno non si prende la briga di uscire di casa e accettare la sfida.

Guido Hauser:

Andrea, come ho scritto io la penso diversamente, all’opposto proprio. Non credo, insomma, che il punto sia intercettare e quindi far lievitare l'emozione popolare; per dirigerla, magari, in una direzione alternativa e virtuosa. Ce ne sono già fin troppe, di emozioni. Ce ne sono ovunque. Ed è pericolosissimo cercare di fare i pifferai delle emozioni altrui, almeno quanto impastare torte con il lievito della mitologia, non a caso De Angeli... Ed è lo stesso tentativo magico di Topolino apprendista stregone, il quale finisce con l’allagare tutto utilizzando delle scope vivificate (da cosa? Ma dall'emozione fantastica, naturalmente) per trasportare secchi colmi d’acqua. Asciugare piuttosto, far decantare l'emozione come un attore al culmine drammatico di una messa in scena brechtiana. Se poi mi dici che, oggi, con Brecht si perde e con Fedez Ferragni si vince, sono d'accordo. Ma in questo io sono hegeliano, e tra vincere salendo sul carro emotivo (e immaginario) di Fedez o aspettare il prossimo tram, io aspetto il tram. Fosse anche quello su cui viaggia Godot…

Andrea Colamedici:

Guido, è che a forza di rinnegare le emozioni ci giochiamo i sentimenti. D'altra parte resto un platonico, anche se tradito: i miti s'hanno da fare, non c'è scampo. Platone si accorse che il suo mondo stava crollando perché i miti/colonne che aveva intorno erano pieni di crepe. Costruì (inventò) quindi altri miti, più robusti e altrettanto immaginari. "Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre", scriveva a proposito Sallustio. C'è da guardare al non avvenuto non perché accadrà (non accadrà), ma perché è. Buonanotte!

Guido Hauser:

Concedendo, con un po' di generosità, a Fedez e Ferragni un sentimento vero, spuntato non si sa bene come nel bouquet di cartapesta che ci mostrano orgogliosi e commossi, credi che per le altre decine di migliaia di persone coinvolte nel e dall'evento, davvero si possa parlare di sentimenti e non di emulazione degli stessi, secondo lo schema nietzschiano che porta a distinguere tra desiderio e vogliuzza ("una vogliuzza oggi, una vogliuzza domani, fermo restando la salute")? Io penso, ecco, che tu abbia semplicemente utilizzato una metafora poco felice, o se preferisci un mito degradato. Se ce ne sbarazziamo e torniamo alle parole nude e crude, forse le nostre posizioni potrebbero riavvicinarsi, se non ancora convergere. Ad esempio, invece di emozioni o sentimenti, apriamo il vocabolario alla parola passione, che io trovo estremamente realistica, per nulla immaginaria o mitologica. Lo stesso realismo che faceva dire a Sartre: "passione è patire l'altro, è la consapevolezza che la nostra possibilità di trascenderci è legata alla libertà dell'altro". Passione, libertà e autotrascendimento. Queste sono dunque le tre parole che io butto sul piatto, come il giocatore di poker che invece di lasciare rilancia. E che davvero fatico a coniugare con il matrimonio show di questi giorni… (Buonanotte a te!)

Nessun commento:

Posta un commento