lunedì 20 agosto 2018

Mai più in topless! o sul corpo e il segreto


Oggi finalmente e per la prima volta quest'anno sono andato a fare un giro in spiaggia. In realtà non è del tutto vero, sono ancora qui incastrato tra le mie montagne, ma ci sono andato con la fantasia, ci sono andato osservando l'ennesimo esausto servizio estivo sulle vacanze degli italiani, realizzato dal Tg2.
 Oggi sono andato in spiaggia, dunque, e mi sono accorto di una cosa che non era così scontata. È sensibilmente diminuito il numero delle donne in topless che si possono incontrare giocando a badminton sulla battigia, e mi sembra una notizia bellissima!
 Intanto perché l'esibizione distratta del seno femminile produce, come il veleno assunto in minime dosi, una progressiva assuefazione, per cui già dopo poco tempo finisce con l'essere uno stimolo visivo del tutto svuotato di ogni consonanza erotica. Si diventa un po' tutti come Mitridate, insomma. Ed era lo scenario che si dischiudeva a inaugurazione degli anni ottanta, che forse anche per questo furono identificati con l'attributo di edonismo reganiano. Qualcuno ricorda?
Da principio fu una festa, è inutile negarlo: tette, tette di ogni dimensione e forma  tettine, tettone, tetasce come le chiamava Ugo Tognazzi in un film di cui ho scordato il titolo, forse La stanza del vescovo , tette che si manifestavano ovunque posassimo al mare lo sguardo, non c'era che da scegliere o ancora meglio lasciar fare al caso. WOW! 
Ma, dopo una felice manciata di giorni, questo panottico mammario si trasformò un mondo chiuso e claustrofobico, dove l'ostensione del seno femminile non faceva più sobbalzare i maschi di meraviglia. Nemmeno li pungolava di desiderio, tormentava di fantasie morfologiche e aveva perfino cessato di roderli nell'incertezza termica – ma saranno calde oppure fredde…? mi chiedevo ad esempio io vedendo fiorire qualcosa sotto i maglioncini delle mie compagne alle medie; almeno prima che una, Renata, più generosa o scaltra delle altre, non mi sollevasse dal dubbio con un rapido collaudo offerto dalla casa (erano calde, per la cronaca, almeno quelle di Renata). Un mondo così era davvero diventato più piccino e triste, diciamocelo. 
 C'è però un'altra ragione, che non esiterei a chiamare simbolica. Una relazione profonda tra due persone, come quella che avviene in una coppia, anche occasionale, a me pare si fondi sempre sulla condivisione di una sorta di segreto, che ha nel corpo il suo corrispettivo materiale.
 Esiste infatti una parte di noi che percepiamo come astratta ma non meno presente, possiamo anche chiamarla anima, se vogliamo, o ancora meglio non chiamarla affatto, una parte che se esposta alla luce del giorno andrebbe dissolta e irrimediabilmente perduta, come i vampiri ai primi lucori dell'alba.
 Abbiamo così imparato, in un processo durato secoli, ad associare quella rarefatta condizione psichica a un elemento che sempre ci appartenga, ma sia più verificabile e certo. Il corpo, cosa c'è di più tangibile, o meglio ancora una sua provincia circoscritta, come appunto il seno; ma anche i capelli in culture diverse dalla nostra, è uguale. Sono costruzioni storiche che traggono il loro senso dall'analogia, per poi diffonderlo attraverso il megafono della convenzione.
 O-sceno, fuori scena, è dunque lo spazio culturale in cui qualcosa viene sottratta alla penetrazione dello sguardo, così caricandola di una preziosa radianza. È la stessa dinamica, ci spiega Bataille, per cui i lingotti delle riserve auree vengono occultati nei sotterranei di una banca centrale: li si toglie di mezzo fisicamente per farne circolare il valore in forma simbolica, che viene in tal modo perfino incrementato   in fondo che ne sanno i Bassotti, di quanto oro ci sia nel deposito in cui Paperone sguazza...
 Mantenere calato un minimo sipario sul proprio corpo, significherà allora attestare, quindi tutelare la presenza di un nucleo profondo che recalcitra alla sintesi sociale, un io che non vuole essere noi. Ed è nello scambio, nella rivelazione sussurrata da un io a un tu – più raramente a un voi, mai a un loro! – che la singolarità biografica non solo non va perduta, ma si potenzia.
 Potentissimo è il gesto della donna islamica che si cala il velo davanti al proprio uomo, anzi, marito, e solo davanti a lui. Ma anche quello, forse meno drammaticamente esclusivo, della ragazza abbordata in discoteca quando si lascia abbassare le spalline del reggiseno in auto, rivelando la superficie lattescente del petto che culmina nell'areola rosina dei capezzoli, a stagliare come il volto pallido di Pierrot in opposizione alla carnagione brunita circostante. Un'eucarestia solo per te, mentre l'abbronzatura è il cibo per tutti.
 E dunque guai, nei mesi invernali, alla pratica selvaggia del lettino abbronzante, dove ci si espone senza alcuna zona off limits all'assalto ultravioletto, che nell'effetto uniformante e ottuso dei suoi raggi svuota il corpo di ogni mistero. Così non si vede il segno del costume, dirà lei facendo spallucce. Ecco, brava furba, è proprio questo...
 Tutto ciò, con parole delicate e sornione, l'aveva restituito Paolo Conte in una delle sue canzoni più elusive e belle, dove si ricorda che "in inverno è meglio, \ la donna è tutta più segreta e sola \ tutta più morbida e pelosa e bianca, afgana, algebrica e pensosa \ dolce e squisita, è tutta un’altra cosa… "
 Ma sembra che l'abbiano inteso nuovamente anche le donne italiane, le quali hanno ripreso ad andare in spiaggia con il costume a due pezzi. Per regalare poi il segreto bianchissimo dei loro seni a un uomo, a un'altra donna o anche solamente allo specchio. Non è importante, e sono in fondo cavoli loro. Importante è che il segreto non vada perduto. E cioè rivelato a tutti, già che i segreti sono fatti per pochi.

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