Prima degli anni sessanta, ad esempio, più che creativi si doveva essere disciplinati, coerenti, ben istruiti, e di spontaneità neanche a parlarne. Sì, certo, già c’era stata Maria Montessori, leggo su Wikipedia che è nata nel 1870 e morta nel 1952. Ma anche le sue idee hanno avuto bisogno di tempo per agguantare il palloncino della storia, e farsi infine mongolfiera. E come lei Rudolf Steiner, Georges Gurdjieff, Krishnamurti… Tutta gente che parlava a nuora, nel presente, perché suocera intendesse nel futuro.
E’ come se il Novecento fosse stato una lunga rincorsa, ma il salto fosse stato spiccato solo quando sbocciavano le prime minigonne, ed era il tempo lieve e danzante della Swinging London. Ma proviamo a fare un piccolo passo indietro, riavvolgiamo il film al decennio precedente, quando ancora Gino Bartali borbottava: “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare." Quindi immaginiamo quel motto applicato a tutto ciò che sappiamo, o pensiamo, su creatività e spontaneità.
Ma l’avete mai vista, vista per intero, una qualsiasi puntata di una qualsiasi trasmissione di Maria de Filippi, o prima ancora del Maurizio Costanzo Show? Beh, di quelle trasmissioni ogni critica si può fare, ma non che gli ospiti non dicano ciò che pensano, e di conseguenza si comportino: con spontaneità, esprimendo se stessi fino in fondo.
Eppure, da questo scorrere libero e impulsivo di emozioni e pensieri, come una fiumara calabra che se ne freghi di ogni argine e imposizione, una frase o anche solo una parola che sia una e vi abbia fatto dire: però, accidenti, interessante!, le avete mai sentite? Certo che no. Perché quelli, giustamente e come da copione, stavano esprimendosi, non comunicando, che è esercizio ben diverso. Per comunicare e quindi creare, per altri, per una comunità viva e in trasformazione, è infatti necessario che vi siano regole e modelli condivisi, a cui solo successivamente imprimere uno scarto innovativo, una defezione che si ponga come nuova regola.
La creatività senza regola è come un verso senza metrica: qualcosa di molto più difficile, almeno se vuoi raschiare i cieli dell'arte, e ciò malgrado l’impressione contraria, una sensazione di licenza espressiva finalmente concessa a tutti. E così, se al dileguare della metrica buona parte degli italiani si sono sentiti autorizzati ad attribuirisi il titolo di poeta (quanti ne avete conosciuti, dai, provate a contarli…), l’affermarsi televisivo dei talk show ha coinciso col dilagare definitivo dell’opinione, a scapito della competenza. Gli antichi greci chiamavano la prima doxa e la seconda epistème, e non si sarebbero mai confusi tra le due.
Ora, invece, un’aspirante tronista si sente legittimato a contestare – e a farlo pubblicamente, con vociante baldanza sul palco del Parioli – l’ultima teoria di un neuroscienziato ospite alla stessa trasmissione, a cui magari ha lavorato ininterrottamente negli ultimi vent’anni. Lo scienziato, intendo. Mentre il tronista, che fino a un minuto prima non conosceva nemmeno l'argomento, alza la mano e dice: "Non sono d'accordo". E nell'alfabeto televisivo stanno pari.
E' insomma passata la convinzione che un’idea vale l’altra, si deve pensare con la propria testa, mica dar retta agli altri, ai sapientoni e ai professorini. In fondo, il Movimento 5 Stelle, almeno inizialmente, ha rappresentato la ratifica su scala politica di questa cultura dell'inaffidabilità: ci si deve fidare solo di se stessi, della propria vocina interiore. Quindi bisogna buttarla fuori, esprimere emozioni e congetture momentanee o anche solo il proprio nulla da dire, come profeticamente aveva intuito John Cage: “Non ho nulla da dire, e lo dico."
John Cage che, per inciso, già trent’anni fa aveva inventato Facebook: un fragoroso ed eloquente nulla da dire, ma ora su scala planetaria… In ogni caso, quando la competenza non esiste più come categoria pubblica del discorrere, rimane solo la doxa, l'opinione. Anzi, opinioni, al plurale. Che si deve essere liberi di tirar fuori in ogni contesto e senza vincoli temporali, antiquati galatei, liberi come capelli dopo averli lavati con uno shampoo al marzapane.
Bene, l’idea, l’intuizione, sarebbe allora questa: non pensiamo più, non esprimiamo più niente. Pausa di sospensione. Reset. In cui copiamo soltanto quel che di grande è stato fatto nel passato.
Non per sempre, d'accordo. Basterebbe solo un periodo. In fondo anche nelle scuole pitagoriche esistevano degli allievi che, non ritenuti adeguati al ruolo di mathematikós (matematici, ossia inclini ad apprendere), assistevano alle lezioni in qualità di akousmatikós. Potevano cioè ascoltare, dietro a un velo che celava la figura del maestro, a cui non era però consentito rivolgere alcuna domanda, né dibattere tra di loro. Dopo un paio d’anni, magari, se ne riparla, ma per adesso zitti e mosca!
Ecco, e se allora anche noi ci comportassimo allo stesso modo, o se preferite come già si faceva da bambini: prendiamo un bel foglio con dei disegni impressi, ma in bianco e nero, solo linee e spazi vuoti, quindi mettiamoci a colorarlo. E però niente di niente che sia nostro, guai alla creatività, immoliamo la fantasia sull’altare della disciplina. Due anni sono tanti, ok, facciamo uno: un annetto di silenzio e attenzione, in cui espiriamo io e iniziamo a inspirare un po' di mondo.
Se proprio uno di lavoro fa l’architetto, o una di queste professioni qui, "creative", potrebbe limitarsi a copiare il Duomo di Milano, la Fallingwater di Frank Lloyd Wright, la piazza di Vigevano… Ce ne sono di modelli da onorare. E così uno scrittore, che avrebbe il tempo per scrivere, meglio per ri-scrivere, badabene, tutto quel che gli pare. Ad esempio il Don Chisciotte di Cervantes, ma senza cambiare nemmeno una virgola, come Pierre Menard nel celebre racconto di Borges. Reinventiamo insomma il già detto, seguendo lo stormo dei secoli senza tentare voli da tacchino con le ali dell'immaginazione, che ora si nutre solo di erba voglio e insalata sono, faccio, dico. Sì, diamoci un anno, per ritrovare la mensa dei giganti.
E quando avremo finalmente recuperato il sentimento del pensiero, del nostro pensiero quale minima variazione di un canone che ci precede e ci succederà, con la sopravvenuta consapevolezza di questa responsabilità verso gli altri, anche quelli che ancora non esistono, potremo finalmente tornare a essere (minimamente) creativi. Ma per adesso zitti e mosca, come gli acusmatici. E ora giù la testa e iniziamo a fare i compiti!
(Ps - Ovviamente so benissimo di essere caduto in un paradosso, affermando un'intuizione che nega se stessa... E così, per cavarmi da un filosofico impiccio, aggiungo che questi propositi valgono solo da domani... come chi decide di smettere di fumare. ;-)
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