giovedì 7 luglio 2016

Qui tutto bene, bellissimo, c'è il sole, o sulla differenza tra giornalismo e letteratura



Poche ore prima dell’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi a calci e pugni e forse anche con una spranga, divelta dalla segnaletica stradale di via XX Settembre a Fermo, intravedo un messaggio sul WhatsApp di un mio familiare, che mi aveva passato il telefono per risolvere un problema tecnico: “Qui tutto bene, bellissimo, c’è il sole. Ma è pieno di extracomunita...”  Non leggo la prosecuzione, ma non è difficile da intuire.

Emmanuel Chidi Namdi era più che un extracomunitario, era nigeriano, dunque nero, dunque “negher”, e aveva semplicemente difeso la sua nuova compagna Chinyery, chiamata “scimmia” da due ultrà della squadra locale. L'uomo e la donna erano in Italia da meno di un anno, dopo che il gruppo terroristico di Boko Haram aveva ucciso i genitori e la figlia di lui nell'attacco a una chiesa cattolica. Prima di raggiungere Palermo erano già stati picchiati e derubati in Libia. 

Ora io penso che sul fatto, e sul suo giudizio implicito, ci sia poco d’aggiungere. Ma forse uno scrittore non dovrebbe arrestare lo sguardo all'involucro dei fatti, ma spingerlo verso gli invisibili nodi che ci legano a cose, persone, situazioni e premesse ideali, la cui somma finale sta in una parolina tanto piccola quanto vaga, su cui tutti saremmo però disposti a scommettere. La parola “io”. 

Un io che ci appare oggettivo, solido, perfino reale quando tutti i nodi sono allineati. In questo caso non serve la letteratura, basta il giornalismo: una narrazione coerente in cui è semplice riconoscere le vittime dai carnefici, i buoni dai cattivi, come nella circostanza attuale. Marco Travaglio, per intenderci. Ma se nella tela appare una smagliatura, un filo che balza fuori dalla trama, allora è segno che c’è un conflitto, una doppia lealtà da smascherare. Ed è qui, che inizia finalmente la letteratura.

Ecco, io somiglio allora a un personaggio letterario che ama moltissimo quel suo familiare, lo ama pur sapendolo in sintonia con i messaggi che riceve, e che forse ogni tanto invia - “bene anche qui, se non fosse per questi extracomunita…” -, ma allo stesso tempo sta piangendo l’ennesima, innocente vittima di Caino. Perchè lo spazio della letteratura è l'ambiguità, il paradosso. 

Domanda. Invece di risolverci ogni volta per Antigone o per Creonte, con la stolida cocciuta convinzione di un ultrà della Fermana nel suo branco, non dovremmo, ogni tanto, domandarci anche come abbiamo potuto tenere dentro di noi sia Antigone sia Creonte, e come continuiamo a farlo, ci viene perfino naturale, come quando con l'autoradio passiamo dall'Isola dei morti di Rachmaninoff a Canzuncella degli Alunni del sole? E però antipatico, se qualcuno ce lo fa notare. 

Credo che sia questo il motivo per cui la letteratura sarà sempre una faccenda per pochi, una coperta che lascia trasparire qualcosa, una nudità oscena che sarebbe meglio celare, mentre il giornalismo è un immenso confortevole lenzuolo, che ricopre il cadavere in ogni sua parte.

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