venerdì 15 luglio 2016

I muscoli e la gambe, o sulla "guerra" al terrore



Alle scuole elementari avevo un compagno che mi sputava sempre in faccia. A dir la verità, non mi sputava proprio sempre, solo ogni tanto, senza alcun preavviso, e poi subito scappava via mentre cercavo di acciuffarlo. Lui era il più veloce della classe nella corsa, io il più forte con i pugni. Ma anche la memoria, oltre alle gambe, non era propriamente il mio forte, così dopo essere andato in bagno a sciacquarmi mi dimenticavo presto dello sputo, e tutto riprendeva come prima.

Tra uno sputo e l’altro, il mio compagno di scuola era molto affabile, cordiale, spesso generoso. Ci prestavamo volentieri delle cose, io il temperino a forma di moto da cross, lui il Super Pirat quando sbavavo con la penna stilografica, cosa che facevo in continuazione. Questo minimo commercio era favorito dal fatto che fossimo vicini di banco. Ora che ci faccio caso, prima che la maestra Maccarone, intorno alla terza elementare, ci assegnasse i nuovi posti, il mio compagno non mi aveva mai sputato. E’ solo quando i nostri corpi hanno iniziato a essere a una distanza ravvicinata che è iniziata quella pioggerellina insolente.

Ripenso a Federico, così si chiamava, ascoltando le cronache della recente, ennesima tragedia terroristica di Nizza. Non so esattamente che collegamento ci sia, ne se effettivamente una relazione si possa dare senza offesa, ma ho iniziato a prestare fiducia alle mie sensazioni, un po’ come quando ti ritrovi a canticchiare una canzoncina leggera leggera, accorgendoti poi che il testo è la fotografia di quel momento, dice delle cose che non sapevi di sapere. Una volta ho sentito un mio anziano amico intonare a mezza voce: “Son contento di morire ma mi dispiace \ mi dispiace di morire ma son contento…” Dopo tre mesi sono andato al suo funerale, era morto per un tumore.

In fondo, con i terroristi, l’Occidente non è in guerra, anche se i giornali ce lo continuano a ripetere. E’ un'altra cosa, un’altra relazione. E’ come se ogni tanto a qualcuno di loro venisse voglia di sputarci in faccia, ma poi scappasse subito a gambe levate. L’Occidente è molto più forte con i pugni, sì, certo, come no, ma vallo a prendere quello lì…E poi chi, dove, con quali compagni sta facendo banda? Credo che la domanda giusta da farci non sia allora come vincere la “guerra al terrore”, che appunto non esiste, ma perché a qualcuno continui a venire voglia di sputarci in faccia. Sputare a noi, pensa te, che siamo tanto gentili con loro, gli prestiamo addirittura il temperino…

Tornando ancora a quegli anni lontani, mi viene in mente un altro dettaglio. Federico era l’unico, nella nostra classe, a non portare la blusa nera con un piccolo taschino in alto a sinistra, ma un grembiulino blu che io trovavo un po’ da femminuccia, anche se lui non aveva nulla di femminile. Sì, era un biondino, piccolo, con gli occhi del colore del mare, ma tra i nostri scambi c’erano anche giornaletti porno, erano l'occasionale dono dei prati che traversavamo per raggiungere la scuola. Lui sfogliava avidamente quelle pagine incollate per la pioggia, intrise di terra e ciuffi d'erba, mentre i suoi occhi azzurri si accendevano come i miei. Credo, insomma, che fossero più le cose che ci accomunavano che non quelle che ci dividevano. Forse doveva solamente abituarsi alla mia presenza, cosa che in effetti è avvenuta dopo un paio d'anni, quando siamo diventati amici per davvero. Ed è stata la fine degli sputi.

Se una simmetria davvero esiste con quanto di terribile sta avvenendo nella nostra epoca, bisognerebbe allora ridimensionare tutte le sottili analisi politologiche, geopolitche, perfino teologiche, accettando il dato forse più enigmatico e sconcertante: gli stiamo sul cazzo. Sarà invidia per il temperino a forma di moto da cross, il fastidio per l’odore della pelle, antipatia per la maggiore ricchezza della nostra famiglia, sarà quel che sarà, ma gli stiamo sul cazzo. Magari hanno semplicemente bisogno di un nemico per sfogare un dolore tutto loro, che parte da molto più lontano ma cerca il male, il brutto, in quel che si manifesta da vicino… Eppure guardandoci allo specchio noi ci vediamo così belli, con la nostra giubba nera appena stirata: ma come si fa, dio santo, a non amarci?

La prossimità illusoria generata dai mezzi di comunicazione attuali, internet, il cinema e la televisione, ma anche la tecnologia e i sistemi di produzione industriale, i mezzi di trasporto, certo hanno peggiorato le cose. Quando stavamo ai capi opposti della classe era più facile sopportarci. La modernità corrisponde infatti anche a una riduzione forzata della geografia vissuta, e il terrorismo, come è già stato osservato, inizia a manifestarsi di pari passo a questa contrazione degli spazi, che per sua natura tende a essere omologante: si affermano gli stessi stili di vita, i comportamenti sociali si avvicinano, perfino le forme in cui proviamo e offriamo piacere tendono a essere le medesime.

O meglio ancora, più che di piacere dovremmo forse parlare di "godimento", di jouissance, come viene chiamato nel linguaggio psicanalitico lacaniano, intendendo un impulso al piacere che sfugge all'alfabeto simbolico dell'inconscio, un desiderio che è mortifero in quanto privo di mediazioni con il desiderio dell'altro. Un nucleo psichico che nel nostro tempo liquido senza una legge civile forte e condivisa, quindi senza conflitto, vera tragedia ma solo farsa drammatica, accomuna più della malasorte. E così anche Federico, in quinta elementare, aveva iniziato a portare una blusa nera con il taschino a sinistra, evidentemente la trovava più bella del grembiulino blu da femminuccia, più elegante o, magari, era proprio questa sintonia con gli altri a procurargli godimento... Sì, era diventato a tutti gli effetti come noi.

Lo so che è brutto da dire in momenti come questo, ma io credo che l’unica via percorribile nella lotta al terrore sia: aspettare, attendere che ai terroristi passi la voglia di sputarci in faccia, quando le loro gambe, malgrado i nostri muscoli, continuano a essere molto più leste. Ma parlo ovviamente di identità collettiva del fenomeno, già che, singolarmente, i terroristi pagano spesso pegno al culto nichilista della bella morte. E sempre individualmente, se ne pigliamo qualcuno qualche calcetto in culo va certamente bene, è perfino sacrosanto, in fondo siamo umani pure noi. Ma nel frattempo potremmo provare un poco di curiosità per il loro grembiulino blu, o per il Super Pirat, ma che bello, dove l’hai comprato, dai che facciamo cambio con il mio temperino a forma di moto da cross...

Curiosità per culture e saperi che non coincidono con il nostro, intendo, e non per la disarticolata ottusità del terrore armato, senza che ciò equivalga a negare quel che siamo e vogliamo essere, la radice profonda di quel desiderio che ci dà sostanza e proiezione, quando non siamo sopraffatti dalla rapacità miope del godimento. In ogni caso sarà solo il passo lungo e indifferente della storia a decidere il momento - attendiamoci dunque nuovi sputi, nuovi attentati -, sarà solo il tempo e la compressione dello spazio a far sì che la nostra casacchetta nera inizierà a fargli un po’ meno schifo. E oltre a quella Ruby Tuesday dei Rolling Stones, ma sai che non è mica male, e così Love Me Tender, i preservativi al gusto di lampone e le sale giochi cinesi.

Ma alla fine non ho dubbi, per quanto la soddisfazione sarà contenuta e non si accompagnerà ad alcun orgoglio, che si affermeranno le nostre sgangherate forme di piacere: la Playstation è molto più seduttiva del chador, e c'è forse più ritualità in una finale di Coppa dei campioni che nel grido del muezzin. Aspettare, sì, dal momento che, ad oggi, altri banchi dove andare non ce n'è, il mondo è tutto occupato da infiniti nostri cloni. Mentre Federico è morto ventinove anni fa in un incidente stradale. Tornava da una bella discoteca piena di luci e corpi e danze, una discoteca piena di noi. 


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