giovedì 14 luglio 2016

“Tacere può essere un' azione bellissima”. Macché, parlate, parliamo: continuiamo a dire le nostre umane cazzate



Dopo il violentissimo scontro tra due treni nella campagna della Murgia che ha provocato, ad ora, ventisette vittime, hanno cominciato a fiorire i commenti. Era inevitabile, non mi sorprende né mi indigna. Alcuni, come quello dello scrittore Nicola Lagioia su Repubblica, erano anche molto interessanti. Ma più degli altri mi ha colpito il commento di una mia conoscente su Facebook, che riporto testualmente:

“La cosa più tragica di ogni tragedia è la quantità di parole vuote e inutili che vengono pronunciate e scritte. Tacere può essere un' azione bellissima.”

Questo commento mi ha colpito e, confesso, inizialmente fatto un po’ sorridere. La ragione è il suo contenuto vagamente paradossale, che non sarà sfuggito ai più. Ma chi prima ha riconosciuto e quindi descritto simili paradossi del linguaggio, una cinquantina di anni fa, è stato lo psicologo austriaco Paul Watzlawick, a cui ha dato il nome di doppio legame. Nel doppio legame viene prodotta un’affermazione esplicita, implicitamente negata con azioni non verbali che l’accompagnano, quali il tono della voce o la postura del corpo. Proviamo dunque a riconoscere il doppio legame nel breve post che questa mia conoscente ha lasciato su Facebook.

Il contenuto del messaggio verbale è semplice, e da lei stessa esposto con sintesi efficace: quando ci sono delle tragedie (come quella pugliese) si deve semplicemente tacere, starsene in un silenzio rispettoso per le vittime e per il mistero tragico di ogni destino umano. Ma per sottolineare tale necessaria attitudine alla discrezione riflessiva, cosa fa, la mia conoscente, tace, come ci sarebbe da aspettarsi in coerenza al suo pensiero? Macché, di getto compie un’azione – prendere pubblicamente la parola su Facebook, quindi rompere il silenzio contestualmente promosso – che rappresenta la perfetta negazione di quanto esposto in lettera: scrive negando il proprio scrivere, fa stigmatizzando il proprio fare. Un cortocircuito verbale che ricorda il famoso paradosso di Epimenide, in cui un cretese afferma che tutti i cretesi mentono.

A questo punto, anche noi potremmo salire in cattedra e, con uguale vocazione perlucotoria, formulare delle direttive logiche per la comunicazione, assegnare codici morali per future calamità, spiegare quello che si deve dire o non dire sui social network… Peccato che noi non siamo degli psicologi austriaci, e io trovo anzi che la mia conoscente fa benissimo a dire quel che gli pare, in fondo Facebook è nato proprio per questo: dar fiato alle trombe, liberare ogni starnuto del pensiero.

Arriverei addirittura a dire che è la nostra natura, assai diversa, che so, da quella dei castori, che pensano sia giusto fare dighe e poi fanno le dighe, mica altro, senza perdersi in riflessioni sul concetto di diga nella storia, nell’arte, nella filosofia. No, quelli abbassano il muso e iniziano a rosicchiare tronchi di abete rosso, fino a che la loro stramaledetta diga non è pronta. Noi, invece, abbiamo continuamente bisogno di rosicchiare parole, pensieri, opinioni, e poco importa la loro congruenza. Importante è piuttisto redarguire gli altri, quando occorre, quando non rosicchiano al nostro stesso modo. Ma in fondo va bene così: siamo una specie lambiccata, e davvero buffa e paradossale!

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