venerdì 8 luglio 2016

Boum, quand notre coeur fait boum... o su come la farsa ha sostituito la tragedia


“La cintura esplosiva si innesca per errore: muoiono 11 aspiranti kamikaze.” Così titola la versione online de Il Messaggero una notizia che sul web è divenuta virale, suscitando commenti che oscillano tra il divertito e il sarcastico, tra Fantozzi e Willy Coyote.

Ammetto che anche la mia prima reazione, leggendo del fatto accaduto nei giorni scorsi in Afghanistan, è stata di ilarità. Ma subito dopo mi sono vergognato un po': ma come, stavo sorridendo per la morte di 25 persone?! (oltre agli undici aspiranti kamikaze, nell’esplosione sono morti anche quattordici terroristi islamici per così dire generici). Ho quindi cercato di comprendere le motivazioni di un atteggiamento tanto irrispettoso – irrispettoso è il riso, intendo, non il comprensibile sollievo per il fatto che undici kamikaze ora non possano più nuocere –, ma stentavo a venirne a capo.

Mi è quindi tornata alla mente una comica americana dell'epoca del cinema muto, una cosiddetta slapstick in cui vediamo un uomo che corre in campo lungo, il luogo non ha riferimenti spaziali, potrebbe essere un deserto o una landa desolata e brulla. A un certo punto della corsa il protagonista cade, si rialza, riprende a correre nella medesima direzione ma casca di nuovo dopo una manciata di passi. Rialzandosi per la seconda volta, l’uomo ha però uno scarto geometrico di circa novanta gradi, ed è in questa diversa direzione che corre nuovamente. Qui gli spettatori negli anni venti scoppiavano a ridere, e io con loro, mentre il filmato si conclude.

Una gag che è stata più volte paragonata al grado zero della comicità, una struttura elementare che potremmo ricondurre a questo semplice schema: A procede sulla retta XY in direzione Y, ma potrebbe essere un caso. La direzione viene però ribadita dalla prima caduta. A, risollevandosi, riprende infatti lo stesso corso, e con ciò viene implementato lo schema A su XY verso Y. Alla seconda caduta non abbiamo così alcun dubbio: si rialzerà e farà esattamente quel che ha fatto prima, è logico, è naturale... E invece no, lo schema viene ora infranto. A si muove, del tutto inaspettatamente, assurdamente, in tutt'altra direzione, che chiameremo Z.

Non si ride dunque perché l’uomo cade – una caduta è umana, quindi a suo modo logica – ma perché viene violato un sistema di attese costituito, con ciò provocando quel disagio a cui il riso cerca di sopperire. Il riso è in fondo una miniatura del pianto, per quanto molto più divertente.

Ma proviamo adesso a sovrapporre lo stesso schema ai recenti avvenimenti, sia nella sua versione originale che nel suo scarto comico. Anche qui abbiamo una premessa collaudata, ribadita da una funesta catena di eventi che corrono nella medesima direzione: il lento e cocciuto apprendistato per diventare un kamikaze, ossia una persona che rende partecipe altri (da noi considerati innocenti e dai terroristi infedeli) nel proprio suicidio. La conclusione “ideale” dello schema sarà allora la morte, insieme al kamikaze, di una o più persone del tutto ignare, che rappresentano l'obiettivo perseguito e confermato dai numerosi precedenti.

Lo schema però si inceppa, la cintura esplosiva viene innescata per errore, c'è la scintilla, la deflagrazione che porta alla morte di chi la morte voleva portare nel mondo, oltre che dei suoi sfortunati complici. Ma nessuna vittima innocente è coinvolta. Come nella gag comica abbiamo così l’elemento dell’incongruenza tra premesse e risultati, che portano all'assurdità drammaturgica e quindi al riso degli spettatori. E ciò senza che sia mai venuta meno l’ottusa convinzione di essere nel giusto, ad accompagnare l’ultima maldestra azione degli aspiranti kamikaze. Sì, è lo stesso schema.

Indipendentemente dal nostro credo, non possiamo dunque riconoscere ai poveri cristi morti ingenuamente nell'esplosione lo statuto di agnelli sacrificali, di vittime della violenza da essi stessi scatenata, ma neppure quello di cattivi dentro a un grande scenario tragico. Mancano il dubbio, il dover essere e il non poter fare, la terribile grandiosità delle forze in campo. Quindi la lacerazione interna causata dalla lealtà a due diverse morali che entrano in conflitto, tipiche della tragedia classica. Alla quale è stata sostituita la macchiettistica caparbietà delle intenzioni dei terroristi, smentita dalla poca perizia, dall’imponderabilità del caso e in ultimo dall'assurdità degli effetti, che muove al riso come nella miglior tradizione comico-farsesca.

Karl Marx sosteneva che la storia si presenta due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Beh, io trovo che sia anche da episodi del genere che possiamo comprendere come, malgrado le coreografie drammatiche che infiammano il nostro tempo, l'umanità sia giunta alle comiche finali.

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