“La cintura esplosiva si innesca per errore: muoiono 11 aspiranti kamikaze.” Così titola la versione online de Il Messaggero una notizia che sul web è divenuta virale, suscitando commenti che oscillano tra il divertito e il sarcastico, tra Fantozzi e Willy Coyote.
Ammetto che
anche la mia prima reazione, leggendo del fatto accaduto nei giorni scorsi in
Afghanistan, è stata di ilarità. Ma subito dopo mi sono vergognato un po': ma
come, stavo sorridendo per la morte di 25 persone?! (oltre agli undici
aspiranti kamikaze, nell’esplosione sono morti anche quattordici terroristi
islamici per così dire generici). Ho
quindi cercato di comprendere le motivazioni di un atteggiamento tanto irrispettoso – irrispettoso è il riso, intendo, non il comprensibile sollievo per il
fatto che undici kamikaze ora non possano più nuocere –, ma stentavo a venirne
a capo.
Mi è quindi
tornata alla mente una comica americana dell'epoca del cinema muto, una
cosiddetta slapstick
in cui vediamo un uomo che corre in campo lungo, il luogo non ha riferimenti
spaziali, potrebbe essere un deserto o una landa desolata e brulla. A un certo
punto della corsa il protagonista cade, si rialza, riprende a correre nella
medesima direzione ma casca di nuovo dopo una manciata di passi. Rialzandosi
per la seconda volta, l’uomo ha però uno scarto geometrico di circa novanta
gradi, ed è in questa diversa direzione che corre nuovamente. Qui gli
spettatori negli anni venti scoppiavano a ridere, e io con loro, mentre il
filmato si conclude.
Una gag che
è stata più volte paragonata al grado zero della comicità, una struttura
elementare che potremmo ricondurre a questo semplice schema: A procede sulla
retta XY in direzione Y, ma potrebbe essere un caso. La direzione viene però ribadita dalla prima caduta. A,
risollevandosi, riprende infatti lo stesso corso, e con ciò viene implementato lo schema A su XY verso Y. Alla seconda
caduta non abbiamo così alcun dubbio: si rialzerà e farà esattamente quel che ha fatto prima, è logico, è naturale... E invece no, lo schema viene ora
infranto. A si muove, del tutto inaspettatamente, assurdamente, in
tutt'altra direzione, che chiameremo Z.
Non si ride
dunque perché l’uomo cade – una caduta è umana, quindi a suo modo logica –
ma perché viene violato un sistema di attese costituito, con ciò provocando
quel disagio a cui il riso cerca di sopperire. Il riso è in fondo una miniatura
del pianto, per quanto molto più divertente.
Ma proviamo
adesso a sovrapporre lo stesso schema ai recenti avvenimenti, sia nella sua
versione originale che nel suo scarto comico. Anche qui
abbiamo una premessa collaudata, ribadita da una funesta catena di eventi che corrono
nella medesima direzione: il lento e cocciuto apprendistato per diventare
un kamikaze, ossia una persona che rende partecipe altri (da noi considerati
innocenti e dai terroristi infedeli) nel proprio suicidio. La
conclusione “ideale” dello schema sarà allora la morte, insieme al kamikaze, di
una o più persone del tutto ignare, che rappresentano l'obiettivo perseguito e confermato dai numerosi precedenti.
Lo schema
però si inceppa, la cintura esplosiva viene innescata per errore, c'è la
scintilla, la deflagrazione che porta alla morte di chi la morte voleva portare
nel mondo, oltre che dei suoi sfortunati complici. Ma nessuna vittima innocente
è coinvolta. Come nella gag comica abbiamo così l’elemento dell’incongruenza tra
premesse e risultati, che portano all'assurdità drammaturgica e quindi al riso
degli spettatori. E ciò senza che sia mai venuta meno l’ottusa convinzione di
essere nel giusto, ad accompagnare l’ultima maldestra azione degli aspiranti
kamikaze. Sì, è lo stesso schema.
Indipendentemente
dal nostro credo, non possiamo dunque riconoscere ai poveri cristi morti
ingenuamente nell'esplosione lo statuto di agnelli sacrificali, di vittime
della violenza da essi stessi scatenata, ma neppure quello di cattivi dentro
a un grande scenario tragico. Mancano il dubbio, il dover essere e il non poter fare, la terribile grandiosità delle forze in campo. Quindi la lacerazione
interna causata dalla lealtà a due diverse morali che entrano in conflitto, tipiche della tragedia
classica. Alla quale è stata sostituita la macchiettistica
caparbietà delle intenzioni dei terroristi, smentita dalla poca perizia,
dall’imponderabilità del caso e in ultimo dall'assurdità degli effetti,
che muove al riso come nella miglior tradizione comico-farsesca.
Karl Marx
sosteneva che la storia si presenta due volte, la prima come tragedia e la
seconda come farsa. Beh, io trovo che sia anche da episodi del genere che
possiamo comprendere come, malgrado le coreografie drammatiche che infiammano il nostro tempo, l'umanità sia giunta alle comiche finali.
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