domenica 10 luglio 2016

Rimpiangete gente, rimpiangente, o sulle forme verbali della bellezza



Nei giorni scorsi ho scritto del mondo contadino, che ho conosciuto nell'infanzia e che davvero era un mondo, ossia un sistema assolutamente concreto e organico collocato nel tempo e nello spazio. Lo ricordo nei luoghi in cui la terra produce i suoi frutti, la vita si risveglia con un lento sbadiglio, ma insieme ho in mente le persone, gli strumenti, le bestie come pure le credenze e i valori, le pratiche e gli inflessibili rituali della generazione. Dunque, al fondo, era anche un codice, un'astrazione. 

Per certi versi, ecco, si trattava di un’epica, ma mai di un’epoca che in sé non è mai esistita, se non come isola dentro al grande fiume della storia. Anche adesso quell’isola infatti esiste, ma si è fatta piccina piccina.

Un modo per riconoscere l'isola contadina nel presente è l’uso dei verbi. Nella grammatica in uso su quello strano e minuscolo contintente, ad esempio, la bellezza fisica non è complemento del verbo essere, ma del verbo avere. Non si “è” belli, insomma, ma si “ha” la bellezza. Questo possesso è posto in relazione al trascorrere del tempo, già che nell'epica contadina è tutto tempo che passa e si rinnova, fugge e poi ritorna, come pecore che la sera rientrano all’ovile.

Parafrasando una poesia di Nico Orengo: la bellezza è prestito, allo stesso modo in cui si presta una falce o un rastrello, è usocapione, mai però dono. Così sarebbe stato assurdo, per mio nonno contadino, ascoltare uno degli infiniti cinquantenni che ora si dichiarano belli, molto piacenti, sexy e davvero pensano di esserlo, si comportano come se quel possesso fosse un’acquisizione certa e duratura, sollevando fieri il colletto della loro Fred Perry di due taglie meno.

Ma come, ribatterebbe mio nonno, a cinquant’anni la bellezza, in una donna ma anche in un uomo, è definitivamente fuggita dal recinto del corpo, non prendiamoci in giro: come si può essere belli, a qualsiasi età?! Al limite si può avere la bellezza, ma solo per un po'...

Esiste però un fischio con cui richiamare all'ovile la bellezza all'ora del crepuscolo, e questa volta, addirittura, nella forma stabile del verbo essere. L’aveva capito mio nonno, l’avevano compreso Proust, Omero, che non erano esattamente dei contadini, e questo richiamo è la nostalgia.

Nostalgia deriva dal greco nóstos, ritorno, nostalgia è il salmone che lo prende in controsenso, il grande fiume della storia. Per raggiungere infine, naturalmente esausto, la sorgente che sta nel pensiero (e dentro al cuore) di ciò che prima era stato solo tra le mani, duplicato dagli specchi, o adagiato tra le curve morbide dei seni.

La bellezza contadina è tornare a casa, ma a un piano diverso del proprio condominio di carne.

Ed è questa l’unica forma di bellezza che viene offerta in dono, dunque per "sempre," un sempre umano e transitorio, come tutto. Il ricordo dell’oro purissimo della spiga, prima che diventasse farina. Con il suo struggente implacabile rimpianto…   


Nessun commento:

Posta un commento