lunedì 18 luglio 2016

L'arte del litigio



Mi piace vedere le persone litigare. Specialmente le donne. Quando non si tirano i capelli, intendo. In quel caso sono solamente la brutta copia di una scazzottata in un pub di Dublino, un po' come il basket femminile. Mentre sono molto brave nei litigi verbali - più brave dei maschi -, riuscendo a stanare la carne viva in cui infilano un'affilatissima lama di parole. Ma alla fine, dopo un po', anche questo spettacolo mi è venuto a noia, come una rappresentazione teatrale che si replichi ormai da troppe stagioni. I topoi linguistici del contendere cadono infatti sempre su: 1) liberalità dei costumi sessuali (“sei una troia”); 2) tempo che passa (“sei vecchia”); 3) avvenenza fisica (“sei racchia”). Potremmo in effetti inserire anche un’ulteriore quarta categoria, legata alle competenze cognitive dell’avversaria (“sei scema”), ma quest’ultima stoccata mi sembra perlopiù interlocutoria e commiserativa, come il jab nel pugilato – non si è mai visto un pugile stendere il rivale con un jab.

Quando invece una donna attacca un uomo per far male, la polpa tenera a cui mirare è immancabilmente legata alla sfera sessuale: sei impotente, sei un cattivo amante, ce l’hai piccolo o ancora, e sempre, sei un povero vecchio (ma in questo caso, sarà da intendere come sottocategoria della stessa sfera sessuale, già che in un vecchio decadono le prestazioni amatorie e la ricchezza, quindi la povertà, rappresenta un evidente correlativo della potenza, e sempre di sessualità stiamo parlando).

E’ bello e istruttivo, dicevo, vedere litigare le persone, e le donne in particolare – gli uomini sono più fisici ma meno strategici nei loro affondi, in un certo senso anche meno feroci. E’ bello perché è nel momento in cui vedi demolire un mito che quel mito finalmente si mostra, rendendo evidente la sua struttura interna, il compasso dell'ingegnere che l'ha fabbricato. E dunque i mattoncini simbolici con cui viene edificato il modello ideale del femminile, così come deduciamo dalle insinuazioni appena elencate, sono immancabilmente legati al tempo e al corpo, o meglio ancora al tempo del corpo. La Barbie è in effetti una buona approssimazione.

Una donna deve essere giovane, principalmente giovane, quindi bella e giudiziosa, come una brava mogliettina nei film americani degli anni cinquanta. Modelli ovviamente a uso di una cultura maschile, se non maschilista, che le donne hanno saputo introiettare con gregaria disciplina. Realizzare una famiglia, una tribù, un impero, ecco la squadra corse che si è aggiudicata la più celebre e storica tra le competizioni: il successo evolutivo. Ugualmente, anche per il maschile non è cambiato mica nulla: il maschio è maschio alpha solo quando mette le donne sotto, gli uomini sotto, tutti quanti sotto. John Wayne, per rimanere nel parallelismo.

L’unica cosa che mi suscita un poco di tristezza, quando vedo le donne litigare, specie su internet, basta andare su Facebook ed è tutto un rintuzzarsi, un tintinnare di fioretto se non di scimitarra e forcone, è che questi modelli ideali sono per l’appunto solo ideali, facendo riferimento a un mondo arcaico in cui ai primi capelli bianchi si era ormai completamente fuori gioco. Aggiungiamo che ai tempi di Pericle non esisteva YouPorn, e un uomo poteva pensare di essere sessualmente prestante se si misurava con il vicino di campo, e una donna sbirciava nel chitone della cugina per commisurare i propri seni (ok, esisteva il mito di Afrodite: ma chi l’ha mai vista…). Quando però il tuo riferimento – il modello con cui ti confronti – non è più l'intangibile Zeus ma l'assai più concreto Rocco Siffredi, come vuoi sentirti: colpito e affondato, senza nemmeno ascoltare le coordinate dell'attacco.

Ugualmente, per le donne, ma santo dio, come si fa a non sanguinare dalla mattina alla sera quando l’ombra di Scarlett Johansson è appollaiata sulla tua spalla, alla maniera di un continuo e implacabile memento mori. Davvero puoi ancora sentirti bella, con quella smisurata misura che incombe dietro la superficie dello specchio – specchio specchio delle mie brame… – , puoi sentirti giovane e avvenente sfogliando una rivista femminile, tu donna di quarant’anni e più?

Un discorso che, a parole, ho già sentito fare migliaia di volte, e in cui si finisce sempre con il demonizzare la pubblicità: sono i modelli imposti dalla civiltà dei consumi, dice Tizio, sono gli interpreti degli spot pubblicitari a mortificare le persone in carne e ossa, ribatte Caio. Tutta colpa loro! concordano entrambi. E invece no, la pubblicità è il più laico e indifferente dei megafoni, limitandosi a guardarci e a replicare non quel che siamo, ma ciò che vorremmo essere. Immaginiamo, ad esempio, un pubblicitario che sentisse due donne litigare nel seguente modo: 

- Ma come sei inutilmente giovane e figa, non ti vergogni? Io, al tuo posto, non uscirei di casa.
- Sì, a casa, come te, peccato che non hai un divano su cui distenderti a leggere Proust… E vuoi saperlo cara mia: si vede dalle tue belle chiappette che vai in palestra, ma non hai cultura!
- Ah, è così, vogliamo allora dirlo quello che è sulla bocca di tutte: tu vai a letto con un uomo solo, sei l’unica del gruppo a non fare sesso con l’idraulico!

Se un pubblicitario assistesse a una bella litigata del genere, sono certo che, poi, gli spot del Mulino Bianco sarebbero differenti. Perché è quando litighiamo che mostriamo il nostro lato più intimo e vero. Impariamo allora a litigare per bene, a fare un piccolo passo oltre la nostra vecchia storia di carne e di tempo, cerchiamo di capire cosa si nasconde dietro al totem sessuale. Dai, nel frattempo abbiamo inventato il Viagra e il botulino, l'utero in affitto, le bombe H, ma ora alziamo di un poco l'asticella delle nostre scazzottate, usciamo dal mito ed entriamo finalmente nella storia. Oppure potremmo dar retta al poeta: trasumaniamo...

Diversamente, le donne, con una vita media che ha raggiunto e sta superando gli ottant'anni di età, saranno sempre, nell'immaginario mitico che è alla base del conflitto, delle "vecchie", delle "racchie" e naturalmente anche delle "troie", ammesso che con i due termini precedenti si riesca a manifestare in prassi quest’ultimo attributo. E noi uomini dei poveri impotenti, a tutti i livelli. Dimenticavo: pure un po' "froci"…

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