martedì 9 marzo 2021

Silenzio assordante

A distanza di una manciata di giorni dal Festival di Sanremo, confermo, per quel che vale, la mia prima impressione: l’unica canzone davvero bella è quella di Colapesce e Dimartino, per quanto non male anche Max Gazzè ed Extraliscio.

Mi ricorda, Musica leggerissima, la pelle di un’adolescente dentro un film di Rohmer – superficie tonica e abbronzata, ma già satura e gravida dei lutti successivi. A un certo punto però compare il ponfo procurato dalla puntura di un insetto, deve essere una zanzara. Sì, è proprio una zanzara, e infatti non smette di ronzarmi nelle orecchie una frase del testo: “metti un po’ di musica leggera nel silenzio assordante…”

Silenzio assordante, non infastidisce anche voi?

Tecnicamente si tratta di un ossimoro, l’affiancamento di termini antitetici. Una strategia retorica che dovrebbe rendere la lingua più viva ed espressiva, comunicando il senso di smarrimento suscitato dal paradosso. Ma come in tutti gli artifici, l’uso, quando diviene abuso giornalistico, vezzo pigramente ripetuto in ogni occasione verbale, finisce col produrre il risultato opposto, restituendo l’impressione di sciatteria, mancanza di acutezza nominale.

Lo scrittore Raul Montanari lo chiama effetto lamiere contorte, da cui uno scrittore dovrebbe fuggire come dalla peste, anzi il Covid. Quante volte, nella cronaca degli incidenti stradali, abbiamo sentito questa espressione: il corpo giaceva tra le lamiere contorte?

Una descrizione non difettosa – le lamiere di una macchina incidentata sono effettivamente contorte – ma che il nostro orecchio accoglie senza alcun sussulto, attutita dall’abitudine. Eppure, basterebbe sopprimerne la coda per recuperare forza e verità: il corpo era disteso (non giaceva, che è ugualmente un verbo abitudinario) tra le lamiere, lamiere e basta, con la radice semantica lame che riprende a risuonare, a tagliare.

Colapesce e Dimartino avrebbero così potuto affidarsi a soluzioni alternative. Se per ragioni metriche non potevano rinunciare all’avverbio, gli si apriva la prateria offerta dal dizionario della lingua italiana. Butto lì: metti un po’ di musica leggera nel silenzio pressante, insinuante, vacante, latente…

Comunque meglio, no?, anche solo per il fatto che gli accostamenti non sono ancora entrati nel birignao giornalistico e televisivo. Ma la canzone, la bella canzone, appartiene a loro, non è mia. Li invito dunque a modificare quella frase infelice almeno nelle esecuzioni dal vivo, per scacciare la punturina di zanzara che intacca la pelle di un brano altrimenti perfetto.

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