Nei giorni scorsi, commentando un mio
post, una persona con cui sono in contatto su Facebook mi ha rivelato l'esistenza
del sostantivo incel, che nasce dalla
sincrasi tra i termini inglesi involuntary
e celibete; chi vorrebbe una
relazione amorosa ma non vi riesce, insomma. Ciccio Ingrassia, nel ruolo dello
zio matto in Amarcord, quello che si arrampica su un grande olmo da cui grida
voglio una doooonna, era dunque un incel.
Il mio colto contatto, ormai eletto a mentore,
mi ha edotto anche sul significato di altri due termini contigui al primo: redpillers o redpillati, sono sinonimi. A definire quegli uomini, continua testualmente,
i quali “sostengono di non trombare per colpa del liberismo avanzato che ha
trasformato i corpi in valori di scambio e dato troppa forza contrattuale alle
donne, che finiscono per competere tutte per pochi uomini dotati di bellezza o
di prosperità economica, lasciando gli altri all'asciutto. Ci sono addirittura
studi che dimostrano che le file dei foreign fighters dell'Isis siano state
ingrossate dal fenomeno incel esploso nelle periferie occidentali.”
Interessante, no?
Ma io che conosco poco la sociologia
contemporanea e più le canzonette, ho vagato con la mente fino a essere
richiamato da un brano in concorso al Festival di Sanremo, era un'edizione di
alcuni anni fa e non ne ricordo neppure titolo e autore. Solo un passaggio del
ritornello, in cui si diceva “fermati e datti un voto”, proprio come a scuola:
fermati e datti un voto.
Ed era infatti alle scuole medie che ci
si cimentava del gioco crudele di assegnare un voto alle compagne, le quali ci
ricambiavano con la stessa moneta. Io ero fortunatamente grazioso e stavo
sempre ai primi posti – addirittura, per un pelo non fui eletto il più bello
della scuola, mi fermai al secondo gradino del podio dopo un certo Filippo, detto Pippo – e
quel voto finiva col coincidere con la percezione che avevamo di noi nel mercato
di scambio di baci e carezze, oltre non si andava. Io valgo cinque, io sei, io
otto etc.
Capisco che pensarsi in termini quantitativi sia piuttosto avvilente – e infatti lo è, oltre che certamente riduttivo –, ma nozioni para-sociologiche come redpillers e redpillati, per quanto ingenue e vagamente querimoniose, insinuano il dubbio che a essere saltata sia proprio la capacità di autovalutazione, e ciò a livello collettivo prima ancora che personale. Sì, nessuno si ferma più a meditare che voto darsi. Un voto che ci assegniamo ora in maniera svelta, disinvolta e ottimistica, a coincidere quasi sempre con il vertice della scala. Poco incidono le differenze di genere: sia le donne sia gli uomini si danno un bel dieci, dieci e lode va'.
Forse perché siamo confusi da rapporti
sempre più astratti e intermediati, che finiscono con l'alimentare l'illusione
di essere oggetti erotici di inestimabile valore, senza venire contraddetti da
quello che si sarebbe detto un tempo principio
di realtà: l'altro, o ancora meglio il suo volto quale specchio specchio
delle mie brame, a confidarci chi è il più bello del reame.
Un fenomeno universale nel tempo della
tecnica e dei social network, ma che in Italia ha probabilmente un grado più
accentuato, quando in altre nazioni esiste una percezione di sé maggiormente cauta,
se non addirittura svalutativa; ho conosciuto una donna russa di quarant’anni,
una donna bellissima, ma quando parlava di sé e del suo rapporto con gli
uomini, faceva sempre precedere le frasi da un sospiro, seguito dall’avverbio
oramai… (oramai sono vecchia e brutta, era ovviamente l’implicito al posto dei
puntini di sospensione).
Per concludere, e se tutti, a cominciare
proprio dai social, facessimo una specie di gioco, e come nel golf ci
assegnassimo una sorta di handicap? Pensi di essere un essere meraviglioso e
perfetto, il tuo voto è ovviamente dieci e ti meritano solo uomini, o donne, di
uguale punteggio. Ok, nessuno vuole interrogarti, farti rifare il compito in
classe, ci crediamo sulla parola. Ma togliti anche solo per finta quattro
punti, ridimensionati a sei, un bel sei politico che non si nega a nessuno,
come nelle interrogazioni collettive nel ’68. Bene, quello è il tuo nuovo voto.
Ti fermi un momento, un bel respiro, e poi accetti l’idea di una semplice
sufficienza.
Ora puoi cominciare a guardare gli altri inquadrati in un piano americano, frontalmente, e non più da quel dolly dall’alto in basso con cui li osservavi prima. E magari, quando ci sarà concesso di togliere questa cazzo di mascherina, anche uscirci per un caffè, una birra, un bacio. Oppure resteremo degli incel, ma con una pagella composta da tutti dieci, da incorniciare sulla parete di un soggiorno in cui nessuno più viene a trovarci.
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