martedì 1 giugno 2021

Giovanni Brusca, o su specie e natura

 


Giovanni Brusca è un uomo libero. Dopo venticinque anni di detenzione e con quarantacinque giorni di anticipo, il boia di Capaci è stato scarcerato oggi, adesso dovrebbe seguire il reinserimento nella comunità umana di appartenenza. Ma Brusca è l'emblema del non umano, qualcuno obietta, Brusca non ci appartiene, e da qui si rinfocola un’annosa polemica sui delitti e le pene, risolta con forse troppa virtuosa fretta dal Beccaria.

Più che con l'ottimismo di quest'ultimo, io suggerirei allora di guardare all'intera questione con gli occhietti azzurri e affilati di Schopenhauer, con il suo disincanto. Per Schopenhauer, in seguito scopiazzato da Freud, nel sottosuolo psichico convivono due forze impersonali, a contendersi la scena di quella rappresentazione illusoria chiamata individuo. La natura, e la specie.

Alla natura interessa solo una replicazione infinita di sé; mangiare e riprodursi sessualmente, semplificando. La specie ci vorrebbe invece indurre a una convivenza altrettanto necessaria, viste le limitazioni fisiche che ci contraddistinguono; e convivere significa non doverci sbranare per mangiare, non sbranare per accoppiarci, non sbranare il tuo simile, punto e basta, stabilisce infine la specie, e per essere ancora più convincente fa esprimere quel precetto dalla voce di un dio. Ma la natura non è così convinta...

L'inumano, per Schopenhauer, è dunque un modo diverso e un po' fighetto per dire la natura, e l'umano è la specie o se si preferisce quel suo sottoprodotto costituito dalla civiltà. La questione andrebbe allora riformulata in termini interrogativi: compiere gesti inumani, come quelli di Brusca, gesti naturali e perciò contrari alla specie, ci fa automaticamente coincidere a tempo indeterminato con il nostro gesto, oppure noi siamo il gesto solo per un tempo provvisorio, che il codice penale cerca di stabilire?

Esiste in realtà anche una terza ipotesi, e cioè che l'umanità possieda ma non sia i propri gesti, o meglio ancora li faccia come una mucca fa il latte; una mucca non è infatti il suo latte, e così neppure gli uomini sarebbero i loro gesti, non importa quanto criminali. In tal caso la detenzione diviene incompatibile con la specie, già che a gesto compiuto io non sono più quella persona, non sono la mano che ha innescato la bomba o premuto il grilletto. Potremmo sintetizzare il concetto con una formula: fare diverso da essere. 

Per fondarsi giuridicamente, la punizione ha così bisogno di una preliminare fondazione filosofica, in cui gesto ed essenza umana (per i più colti e snob, essere ed esserci) sono chiamati a identificarsi, o perlomeno a riflettersi. Ma in tal caso la lunghezza di una pena non sarebbe proporzionale alla gravità del reato, come ci viene ripetuto, ma piuttosto espressione del sovrapporsi percettivo tra comportamento e persona. Quando la specie avverte, del tutto discrezionalmente, che non sei più il gesto per cui ti ha escluso, puoi essere reincorporato nel cerchio sterilizzato della civiltà, puoi essere liberato come Brusca.

La soluzione a questi dilemmi è meno scontata di quel che sembra, e la specie, nel corso del tempo, si è data risposte diverse e non di rado contraddittorie. Nel caso specifico, se la comunità dei cittadini italiani o, perlomeno, la sua larga maggioranza identificasse ancora Brusca nei suoi gesti delittuosi, potrebbe inventare qualche cavillo legale per confinarlo nuovamente al margine, occultando l'inumano del suo corpo in qualche carcere speciale. Perché l'inumano è osceno, in quanto troppo naturale per la specie.

In fondo il diritto è una piccola utile menzogna, che ci fa percepire la natura quanto più possibile lontana. Ma in realtà è sempre lì, sempre dentro, sempre noi, e ci guarda con lo sguardo ottuso e feroce di Giovanni Brusca, che fa tutt'uno con quello furbo Schopenhauer.

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