domenica 11 aprile 2021

Piove, once again

 


Piove, finalmente. Da bambino, quando pioveva, restavo tutto il giorno su un divano grigio topo a guardare la tivù, o perlomeno dalle quattro di pomeriggio in poi, dopo che i programmi erano iniziati sulle notte del Guglielmo Tell di Rossini che scorrevano su una campitura di cielo e nubi solcato da tralicci risalenti dal basso, o forse erano reti bianche sulle tonalità caliginose offerte da un monitor Telefunken in bianco e nero, non l'ho mai capito.

Raggiunta la preadolescenza, approfittavo delle giornate di pioggia per fare le prove generali di ciò che immaginavo mi attendesse nella vita, sulle ginocchia un giornaletto che poteva chiamarsi (a seconda della fortuna nei ritrovamenti in una radura del bosco, meglio nota come camporela) Blitz, Penthouse, Le Ore Mese, Caballero. Insomma, mi masturbavo.

Un’attività proseguita con cadenza regolare fino a che – ma erano passati molti anni, forse dieci, molte giornate di pioggia – altre giornate di pioggia non venivano, per essere impiegate nel riordinare gli appunti universitari, oppure andare a cinema (Full Metal Jacket, Gli intoccabili, Rain Man…) o, ancora, raggiungere o essere raggiunti da un amico con cui ascoltare l’ultimo album di Bruce Springsteen; alle fidanzate non piaceva Bruce Springsteen, come in quella canzone di Paolo Conte in cui le donne odiavano il jazz e non si capisce il motivo. E se non c’era a portata un amico o una fidanzata o un album di Bruce Springsteen tanto odiato dalle donne, e davvero non si capisce il motivo, allora tornavo a farlo, nelle giornate di pioggia, ma sempre meno spesso.

Proseguendo nei compleanni da festeggiare con ritrosia crescente, le cose non cambiarono poi di molto: al posto degli appunti dei corsi universitari di filosofia teoretica e morale (il bene coincide col male minore, questo il riassunto scarabocchiato su un foglio convertito in aeroplanino, dopo la lettura delle 354 pagine della Critica alla ragion pratica di Kant), ci fu nelle giornate di pioggia qualche visita a musei, spettacolo teatrale, partita a biliardo; ma anche cantine o solai da riordinare, in cui riporre sci e racchette da tennis. Perfino Bruce Springsteen fu messo da parte e rimpiazzato, ora ascoltavo Mahler e Bach – le donne, avevo compreso, più che Mahler e Bach amavano gli uomini che se li bevevano fino all'ultima nota, con il volto improntato a un’espressione estatica, se non proprio ebete –, ma ogni tanto e quando non mi vedeva nessuno ancora ascoltavo Springsteen. Infine, sempre più diradata, quella vecchia abitudine giovanile; i giornaletti pornografici erano naturalmente spariti, soppiantati da un'immaginazione ancora piuttosto fervida. L’assistente alla poltrona dal seno voluminoso e tiepido sotto al camice verde, lo potevo avvertire sulla spalla mentre il mio dentista mi trapanava un premolare, oltre alle fidanzate degli amici (mica tutte però e in particolare una biondina e spigolosa, un po' antipatica ora che ci penso, ma tanto sexy), le prime ragazze a cui correva il mio pensiero, seguito a stretto giro dalla mano.

Oggi piove, dicevamo. Oggi piove e i tavoli da biliardo quasi non esistono più, ma sarebbero comunque stati inaccessibili. Lo stesso cinema, teatri, musei, piste da sci e campi da tennis, che non frequento più da anni. Quanto a Mahler e Bach, boh, non ho tanta voglia di ascoltare musica, me li tengo buoni per quando devo fare bella figura con una donna appena conosciuta, e Springsteen confesso che mi ha un po’ stufato, con le sue t-shirt bianche dalle maniche rivoltate in cui infilare il pacchetto delle Lucky Strike. La lettura, poi, è incompatibile con i miei occhi malandati. Che fare, dunque…

Il divano grigio topo è ancora lì, solo ha cambiato colore, adesso è verde ramarro, così come il monitor Telefunken che si è snellito e dilatato, fino a raggiungere i cinquantacinque pollici attuali. Ed entrambi mi sussurrano: Prego, accomodati, bentornato. Come vedi la terza età è meno dolorosa di quel che dicono, si ritorna al punto di partenza, basta sostituire i desideri con i ricordi e il gioco è fatto.

Dall’altra parte ci sta il bagno, lo smartphone con cui sarebbe un attimo accedere a YouPorn, scalare nuovamente la vetta del desiderio. Accidenti, che ci vuole mi dico, non scendo nei dettagli ma insomma, è una di quelle attività per cui due mani sono pleonastiche, o meglio ridondanti: una è più che sufficiente, e come si aggiunge per le cose semplici, può essere fatta anche a occhi chiusi. Infine piantare la bandierina della mia virilità sul cucuzzolo innevato, farla sventolare ancora, once again, once again, once again...

Morale, ho guardato su Netflix quattro film con John Wayne, nel finale dell'ultimo sta per entrare in casa, ma, proprio prima di varcare la soglia, si volta e dilegua nella prateria con quel suo passo stanco strascicando gli stivali.

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