Piove,
finalmente. Da bambino, quando pioveva, restavo tutto il giorno su un divano
grigio topo a guardare la tivù, o perlomeno dalle quattro di pomeriggio in poi,
dopo che i programmi erano iniziati sulle notte del Guglielmo Tell di Rossini che
scorrevano su una campitura di cielo e nubi solcato da tralicci risalenti dal
basso, o forse erano reti bianche sulle tonalità caliginose offerte da un
monitor Telefunken in bianco e nero, non l'ho mai capito.
Raggiunta la
preadolescenza, approfittavo delle giornate di pioggia per fare le prove
generali di ciò che immaginavo mi attendesse nella vita, sulle ginocchia un
giornaletto che poteva chiamarsi (a seconda della fortuna nei ritrovamenti in
una radura del bosco, meglio nota come camporela) Blitz, Penthouse, Le Ore
Mese, Caballero. Insomma, mi masturbavo.
Un’attività
proseguita con cadenza regolare fino a che – ma erano passati molti anni, forse
dieci, molte giornate di pioggia – altre giornate di pioggia non venivano, per
essere impiegate nel riordinare gli appunti universitari, oppure andare a
cinema (Full Metal Jacket, Gli intoccabili, Rain Man…) o, ancora, raggiungere o
essere raggiunti da un amico con cui ascoltare l’ultimo album di Bruce
Springsteen; alle fidanzate non piaceva Bruce Springsteen, come in quella
canzone di Paolo Conte in cui le donne odiavano il jazz e non si capisce
il motivo. E se non c’era a portata un amico o una fidanzata o un album di
Bruce Springsteen tanto odiato dalle donne, e davvero non si capisce il motivo,
allora tornavo a farlo, nelle giornate di pioggia, ma sempre meno spesso.
Proseguendo
nei compleanni da festeggiare con ritrosia crescente, le cose non cambiarono
poi di molto: al posto degli appunti dei corsi universitari di filosofia
teoretica e morale (il bene coincide col male minore, questo il riassunto scarabocchiato su un foglio convertito in aeroplanino, dopo la lettura delle 354 pagine della Critica alla ragion pratica di Kant), ci fu nelle giornate di pioggia qualche visita a musei, spettacolo
teatrale, partita a biliardo; ma anche cantine o solai da riordinare, in cui
riporre sci e racchette da tennis. Perfino Bruce Springsteen fu messo da parte e rimpiazzato, ora
ascoltavo Mahler e Bach – le donne, avevo compreso, più che Mahler e
Bach amavano gli uomini che se li bevevano fino all'ultima nota, con il volto
improntato a un’espressione estatica, se non proprio ebete –, ma ogni tanto e quando non mi vedeva
nessuno ancora ascoltavo Springsteen. Infine, sempre più diradata,
quella vecchia abitudine giovanile; i giornaletti pornografici erano
naturalmente spariti, soppiantati da un'immaginazione ancora piuttosto fervida.
L’assistente alla poltrona dal seno voluminoso e tiepido sotto al camice verde, lo potevo avvertire sulla spalla mentre il mio
dentista mi trapanava un premolare, oltre alle fidanzate degli amici (mica tutte però e in particolare una biondina e spigolosa, un po' antipatica ora che ci penso, ma tanto sexy), le prime
ragazze a cui correva il mio pensiero, seguito a stretto giro dalla mano.
Oggi piove,
dicevamo. Oggi piove e i tavoli da biliardo quasi non esistono più, ma
sarebbero comunque stati inaccessibili. Lo stesso cinema, teatri, musei, piste
da sci e campi da tennis, che non frequento più da anni. Quanto a Mahler e
Bach, boh, non ho tanta voglia di ascoltare musica, me li tengo buoni per
quando devo fare bella figura con una donna appena conosciuta, e Springsteen
confesso che mi ha un po’ stufato, con le sue t-shirt bianche dalle maniche
rivoltate in cui infilare il pacchetto delle Lucky Strike. La lettura, poi, è incompatibile con i miei occhi malandati. Che fare, dunque…
Il divano
grigio topo è ancora lì, solo ha cambiato colore, adesso è verde ramarro, così
come il monitor Telefunken che si è snellito e dilatato, fino a raggiungere i
cinquantacinque pollici attuali. Ed entrambi mi sussurrano: Prego, accomodati,
bentornato. Come vedi la terza età è meno dolorosa di quel che dicono, si
ritorna al punto di partenza, basta sostituire i desideri con i ricordi e il
gioco è fatto.
Dall’altra
parte ci sta il bagno, lo smartphone con cui sarebbe un attimo accedere a
YouPorn, scalare nuovamente la vetta del desiderio. Accidenti, che ci vuole mi dico, non
scendo nei dettagli ma insomma, è una di quelle attività per cui due mani sono
pleonastiche, o meglio ridondanti: una è più che sufficiente, e come si
aggiunge per le cose semplici, può essere fatta anche a occhi chiusi. Infine
piantare la bandierina della mia virilità sul cucuzzolo innevato, farla
sventolare ancora, once again, once again, once again...
Morale, ho guardato su Netflix
quattro film con John Wayne, nel finale dell'ultimo sta per entrare in casa,
ma, proprio prima di varcare la soglia, si volta e dilegua nella prateria con
quel suo passo stanco strascicando gli stivali.
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