Dopo due settimane dall'inizio dalla mia iscrizione a Dating, l'agenzia di collocamento cuori gentilmente offerta da Mr. Zuckerberg, mi sento di confermare tutti gli stereotipi sull'umano, ma proprio tutti. Naturalmente è un'affermazione limitata a quel sottoinsieme antropologico che sono i rapporti erotici e sentimentali, quasi sempre – quasi sempre su Dating, per essere precisi – caratterizzati da un sottile gioco di potere attivo sotto traccia, in cui vince chi possiede un maggior capitale da far valere nella compravendita. Tradotto in sociologhese: uno status superiore, per quando l'orizzonte mercantile rende maggiormente l'idea, se non proprio la condizione di merci tra altre merci.
Le tre valute attualmente in corso su Dating, con cui realizzare i propri
acquisti amorosi, sono bellezza, età e prestigio economico e sociale. Tre
stereotipi appunto, coniugati diversamente, ma nemmeno troppo, tra i generi; in
altre parole, anche le donne non di rado ricercano un compagno più giovane,
oltre che bello e
La sensazione finale è comunque quella di avere scorso il soggetto di un
film già visto troppe volte, su cui nessun produttore investirebbe un euro. Ma
quel produttore sbaglierebbe, perché, volendo restituire l'attualità
dell'immaginario umano, si deve tornare all'Ottocento, quando le donne
spasimavano per gli ufficiali ussari e gli uomini per le giovani fanciulle in
fiore. Ci si offre così senza realmente offrirsi a un altro composto di sangue
e nervi e affanni, ma ricalcando un ideale utopico, fantasmatico, che possiamo
ricondurre al vecchio Principe Azzurro. Chi si discosta da tale immaginario
telematico, novissimo quanto arcaico, rappresenta merce di scarto, destinata a
rimanere sugli scaffali di Dating. Essendo un prodotto soggetto a scadenza, io
mi sono rimosso da solo.
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