domenica 4 aprile 2021

La letteratura e il suo sfondo, un collaudo

 


Lo scrittore Demetrio Paolin, su La ricerca del 3 aprile, ha scritto un bell'intervento, in cui si interroga su statuto e compito della letteratura. Per farlo intraprende un viaggio tra le parole, un viaggio apocalittico nella sua accezione più letterale: quel disvelarsi del vero che viene al termine dell’occultamento, nel momento in cui segno e senso finalmente coincidono, liberandosi dallo scarto dell’interpretazione.

Eppure, in quanto uomo tra gli uomini, dunque soggetto a continua dislocazione temporale, è proprio dall’interpretazione che anche Paolin deve partire, anzi da più interpretazioni tra cui quella della giovane e arguta figlia, per approdare alle opere di alcuni autori che si sono confrontati con lo stesso tema. Spicca tra di essi lo studioso Franco Moretti, che su Segni e stili del moderno, Del Vecchio Editore, 2020, scrive: "Diciamo che la funzione sostanziale della letteratura consiste nell’assicurare il consenso. Nel far sentire l’individuo a suo agio nel mondo in cui si trova a vivere, a conciliarlo in modo piacevole e inavvertito con le norme culturali che vi prevalgono."

Paolin non è d'accordo, e con argomenti che mi appaiono ugualmente persuasivi ribalta il paradigma: “E se il compito della letteratura e del romanzo non fosse fare sentire a suo agio nel mondo il lettore, ma fosse l’esatto opposto? La letteratura, credo, deve provocare disagio, far sentire all’uomo che questo mondo che abita non è il suo, che per lui non esiste nulla di certo, che la sua vita è una totale emergenza, un pericolo costante, un male subìto a cui non può sottrarsi. Questo è ciò che la letteratura dovrebbe comunicare.”

Un'ipotesi da cui sono stato immediatamente catturato, ma per verificarla mi è venuto l'impulso di applicarla alla mitologia, in una sorta di collaudo simile a quello a cui vengono sottoposte le automobili appena assemblate; Fiat 850 coupè giravano come in un’autopista sul tetto del Lingotto, nei documentari trasmessi in TV prima dell’inizio di Zorro. E dunque, se è vero che la mitologia rappresenta la premessa filologica alla letteratura (quindi anche antropologica, per quanto la società borghese, in cui il romanzo moderno si afferma, è molto diversa da quella espressa nell'epoca del ferro e del bronzo), se è vero sarà interessante, ho pensato, confrontare l'intuizione di Paolin con gli studiosi della materia.

Secondo Joseph Campbell, una quantità di miti hanno la funzione di saldare l'individuo alla comunità, miti normalizzanti per così dire; la mitologia romana appartiene quasi interamente a tale categoria, e i suoi numerosi riti ne sono il riflesso vissuto. Una circostanza che sembra ridare credito e forza all'interpretazione di Franco Moretti. Ma siamo sicuri che il nostro collaudo sia terminato, e la 850 possa ridiscendere dal tetto…?

Non ne sarei così certo. Ci sono infatti altri miti con caratteristiche di segno opposto, miti di emancipazione individuale continua Campbell, addirittura rivoluzionari, eversivi. Le vicende di Gesù narrate nei vangeli – che associo al mito solo dal punto di vista formale, non avventurandomi in alcun giudizio ontologico –, appartengono con tutta evidenza a questa significazione, che per opposizione alla regola mondana chiamerò regime dell'ulteriore; in particolare quando il fedele (ossia il lettore, che ha aderito al patto di sospensione dell’incredulità proposto dall'autore) viene invitato a lasciare padre, madre e fratelli per poter accedere al Regno (il testo).

In conclusione, già che non possiamo girare in tondo per ore, prima o poi la benzina della nostra Fiat 850 coupè si esaurisce, ha ragione Franco Moretti, per cui la letteratura rappresenta un formidabile apparato adattivo, oppure Demetrio Paolin con la sua visione idiosincratica, transumanante? Secondo me, entrambi. Essendo la letteratura, proprio come il mito, intimamente paradossale.

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