martedì 13 aprile 2021

Mottarello


Quando leggo le dichiarazioni di poetica di alcune persone che scrivono, forse dovrei chiamarli scrittori e, se è utile per capirsi, li chiamerò così, quando leggo che la missione (usano proprio questo termine: missione), la missione di questi scrittori è dire il Vero, oppure pronunciare l'Autentico, scrivere sospinti dall'urgenza del Bene tanto quanto di scoperchiare il Male, o, ancora, che non basta dire il Vero l'Autentico il Bene ma bisogna farli, condurli alla soglia dell'Essere attraverso le parole, già che il linguaggio, sostiene un celebre filosofo, è un atto, un gesto come fare la pipì da un cavalcavia sopra le auto che sfrecciano, questo il celebre filosofo non lo dice e nemmeno che qualcuna, è estate, probabile abbia la capotte retratta, le parole urina impregnano allora la camicia di cotone bianco del conducente, cotone popeline per la precisione, quindi macchiano i sedili, il foulard amaranto della signora, tutte le volte che sento gli scrittori dire queste cose (e forse hanno anche un po' di ragione) compare davanti a me Marcello Mastroianni, sta mangiando un Mottarello nella pausa delle riprese di un film in cui recita anche un collega americano, ha naturalmente frequentato l'Actors Studio, Mastroianni continua ad addentare il suo Mottarello mentre l'altro, sotto un sole boia, strilla, piange, si dimena come un ossesso ("I have to get into the role", gli aveva confidato tra un ciack e l'altro), e sentendosi chiedere perché non facesse anche lui così ("Why don't you do the same?"), non cercasse dentro di sé l'emozione corrispondente, il trauma originario, la verità biografica che legittima la finzione e stesse invece lì a sbocconcellare quel Mottarello che aveva iniziato a colargli piano sulle dita, gli risponde, all'americano, pare sia una storia vera: "Perché sono un attore. E dunque recito."

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