domenica 25 aprile 2021

Che ore sono?

 


A sedici anni io ero un coglione da manuale dei coglioni. Coerentemente, frequentavo solo coglioni come me, così non avevamo problemi con i neuroni a specchio. Ora che ci penso, tutti i sedicenni che ho conosciuto, a sedici anni (altrimenti non avrebbero potuto essere sedicenni), erano dei coglioni, compreso i pochi che mi accade di conoscere ora.

Le uniche eccezioni che mi vengono in mente sono Rimbaud e Mozart, ma in effetti non li ho conosciuti di persona. Anche Gesù, come viene descritto nel Vangelo dell'infanzia dello pseudo-Tommaso, a sedici anni era un coglione, con inquietanti manie di grandezza. Un’età in cui è del tutto irrilevante l'intelligenza – anzi gli intelligenti sono i peggiori, i primi della classe, i secchioni –, ma la disposizione al mondo che si traduce in simpatia; alla lettera: essere sim-pateticicon-senzienti verso gli altri, com-passionevoli nei confronti degli animali, meravigliati per il fatto che qualcosa, semplicemente, esista, invece di nulla. E soprattutto molto molto curiosi!

Tutte qualità che della futura intelligenza rappresentano la premessa, come ci mostrano romanzi di formazione quali Pinocchio o Le avventure di Huckleberry Finn, Il giovane Holden. Non ho perciò contrarietà alla proposta di estendere il voto ai sedicenni, peggio di noi non possono fare; per conto mio, si potrebbe votare perfino a dieci anni, fondare un partito per ripristinare la produzione del Big Jim. Tanto meno, mi fa storcere il naso il fatto che i sedicenni si salutino ora dicendo bella zio, oppure ascoltino canzoni con testi di puro demente turpiloquio, tengano la mascherina come un tovagliolo penzolante sotto il mento e poi vadano a trovare i nonni, cose così, da coglioni appunto.

Quel che mi inquieta è piuttosto l’impressione che mi ritorna ogni volta che ne incrocio uno, chiamiamolo il sedicenne tipo o Mr. Sixteen Junior: in lui non ritrovo il riflesso della mia coglioneria di allora, ma l’immagine di un alieno in un b-movie degli anni cinquanta, un marziano proprio, imbronciato e chiuso dentro un micro mondo impermeabile e semplificato, e cioè senza tanti giri di parole: Mr. Sixteen Junior mi è antipatico.

A Pasolini stavano antipatici i giovani capelloni, ci ha pure scritto un invettiva sulle pagine del Corriere della Sera, il politically correct era negli anni settannta solo un'espressione ben nascosta nei dizionari d'inglese. A me invece sono antipatici questi ragazzetti con lo stesso taglio di capelli dei calciatori, lo smartphone in pugno su cui scorrono svelte le dita, il passo strascicato e l'assenza di qualsiasi traccia di vitalità dentro lo sguardo; troppo sbattimento anche dare gli esami per la patente del motorino, che poi tocca andare da qualche parte.

Luoghi comuni? Sì, certo. Ma rimpiango i tempi in cui i luoghi comuni prendevano la forma di giovani canaglie con la faccia da schiaffi, come si diceva delle teppe: i Franti, i Lucignolo, i Giamburrasca o Noodles o Gigetto, un mio compagno di scuola che rubava la stilografica al preside, quando ce lo mandavano con una nota sul registro. Sì, meglio Gigetto che questo corteo funebre di zombie 2.0. Sempre coglione era, eravamo, ma almeno mettevamo allegria a noi stessi, ogni volta che passavamo davanti a uno specchio. A cui alle volte, per dire quanto coglione ero, chiedevo che ore sono?

(Ps - Aggiungo o, meglio, ribadisco di essermi attenuto a una fenomenologia tipo, che lambisce se non proprio celebra lo stereotipo, di cui esistono infinite e forse più realistiche manifestazioni. Ma confermo che a quel livello lì, di una superficie oltre la quale poco mi interessa avventurarmi, i sedicenni di oggi non mi sono simpatici. Ma niente niente, se non si fosse capito.)


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