mercoledì 30 gennaio 2019

Pulsazione, o sulla poesia e il mondo

La poesia. Semplificando, a me ricorda una specie di enorme animale, e come tutte le creature vive possiede una pulsazione cardiaca: sistole, diastole, soprattutto diastole ai suoi primi passi nella storia, con il sangue del poeta a rifluire verso il mondo; ne ritornava immagini, parole, oggetti concreti che si fissavano prima sulla retina e poi sulla lingua, magari trasfigurati dalla meraviglia per la scoperta, rendendo il "mare color del vino".
A questa prima fase espansiva è seguita la contrazione, il moto centripeto di chi insegue la perfetta misura del proprio centro, come la O di Giotto con cui concludere il pronome io. Quell’onda di curiosità che aveva invaso il mondo ha così cominciato a ritrarsi, una risacca o, meglio ancora, una sacca come quella in cui viene racchiuso il sangue per le trasfusioni; il poeta moderno si vampirizza da solo, cercando di vendere i residui del banchetto sotto forma di collana di sanguinacci. Tra una salsiccia e l'altra si va capo, ma tutto quel che ci sta dentro proviene dal corpo del poeta, che si offre al lettore in eucarestia: prendete e leggetemi tutti, questi sono i cazzi miei offerti in sacrificio per voi. 
Ma proprio prima dell'inevitabile infarto, che ha coinciso col tardo Ottocento, primi del Novecento, qualcosa è cambiato, certo non tutto ma un timido spiraglio ha iniziato a fare irruzione nella casa della poesia, come lame di luce dalle persiane ancora chiuse. Bisognerà aspettare Francis Ponge, col suo Partito preso delle cose, o l’arte di “paesaggire” praticata da Zanzotto (presagire il futuro osservando il paesaggio) perché le gelosie si spalanchino definitivamente, consentendo allo sguardo del poeta di rimirar le stelle come un tempo, e non solo troppo umani inferni.
A questo contro movimento della poesia che torna a occuparsi della realtà esterna al soggetto, nel presente credo abbia contribuito in modo decisivo il fenomeno dei social network, dove con molta più efficacia, oltre che consenso, una personalità smaniosa di sé può fare incetta e quindi pubblica ostensione del proprio intimo, guadagnandone una pronta verifica: sono bravo, sono bello, sono io? Vai tranquillo, gli rispondono i pollicioni blu che si ergono a ogni nuovo indumento che casca al suolo.
Ma uno streptease, anche se virtuale e astratto, per essere efficace deve avere i suoi tempi, i suoi studiati rituali. Prima vengono così i lunghi guanti di velluto nero, giù la spallina e poi, ma piano, piano... a calare è il reggipudore di pizzo, che come il bouquet della sposa viene lanciato al pubblico che lo reclama – "facce vedè er Super Io, faccelo toccà..." – fino ad addentrarsi nei più contorti nodi viscerali. E per finire la mossa, olè! 
Questa surroga della poesia romantica attraverso le piattaforme digitali, per quanto spesso buffa, naif, a me però non imbarazza, e sembra al contrario un'ottima notizia. Magari non sarà appassionante leggere di Tizia che ha appena lasciato il fidanzato (ma ora lo rimpiange) o di Caio che mostra orgoglioso il nuovo tatuaggio in selfie, Sempronio ci parla invece della pupù del nuovo cucciolo di Labrador depositata sul kilim persiano, ma non dimentichiamo che questo cimento privato è stato per molti secoli l'orizzonte della poesia, magari con parole solo un poco più accurate.
Benvenuto dunque Facebook, a salvare la poesia dai poeti che avevano finito col ridurla a esercizio di onfaloscopia, come nei ritiri spirituali ancora praticati nei monasteri ortodossi. Ma benvenuto soprattutto mondo, ad abitare nuovamente le parole della poesia, anche se tali parole, di necessità, non saranno più scudo, vela, biancospino, ma Dixan, Coca-Cola, Ciccio Bello.

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