mercoledì 30 gennaio 2019

NO!

Mio padre mi ricorda spesso che la prima parola che ho pronunciato non è stata mamma, pappa, bua, gne gne, tata o comunque una di quelle poco più che confuse lallazioni a far gonfiare il petto dei genitori e inumidire la cataratta ai nonni, no, la mia prima parola è stata proprio questa. No.
E pare fosse un no bello secco, scandito e categorico, col musetto imbronciato a sottolineare il disappunto. Non ne ho ovviamente memoria, ma potrei giurarci che stavano cercando di ingozzarmi come un’anatra da patè, il solito trucchetto del cucchiaio che diventa un aeroplano, sta arrivano un aeroplano carico di, guarda l'aeroplano, bruuumm... Brum un cazzo, devo aver pensato io.
Un atteggiamento che mi è poi rimasto tutta la vita: appena mi accorgo che qualcuno vuole ottenere qualcosa da me in forma più o meno subdola, come prima reazione, spesso meccanica (dunque pure se da quella cosa traessi vantaggio) io rispondo no. Formazione reattiva, credo la chiamino gli psicologi.
La dinamica mentale sottostante, non di rado ingenua, consiste nell'invertire di segno le richieste, come quando si porta una cifra dal lato opposto di un’equazione: il più diventa meno e il meno diventa più, non è difficile. Guido, Andiamo in montagna? No, al mare. Usciamo a farci una pizza? No, un minestrone. Ottima idea, un bel minestrone Findus, volevo dirlo io, mi hai rubato le parole di bocca. Ho cambiato idea, usciamo a farci una pizza.
In fondo è semplice fregare i reattivamente formati come me, basta proporgli il contrario di ciò che realmente si desidera. Ad esempio, inviargli un messaggio in cui si dica che Tal dei Tali ti chiede di dire quanto fa schifo la sua pagina Facebook. Vacci pure giù pesante amico, tanto lo so da me che fa cagare. Ti invito solo ad aggiungerti al coro in cui viene strillato al vasto mondo.
A quel punto, forse (ma forse…), potrei anche buttare lì un like alla tua stramaledetta pagina personale, come la monetina che si allunga al posteggiatore abusivo che spergiura di sorvegliarti l'automobile. Ma come in quel caso gli offri il denaro per semplice pena o, più cinicamente, per non farti rigare la carrozzeria, anche le attestazioni di piacere mendicate su Facebook sono del tutto pretestuose. E’ tanto difficile da capire?
Eppure nei film tutti ridono quando qualcuno supplica un altro di amarlo – amami, amami ti prego! – ben sapendo che il verbo amare non ha mai retto l’imperativo. E allo stesso modo nel caso del piacere, che può solo essere espresso – mai richiesto.
Ma evidentemente ci sono degli ego che, dove li metti li metti, iniziano a dimenare il culo irrequieti, si fanno largo; a me ricordano chi in una spiaggia affollata cerchi di spostare il telo da bagno sempre più in là, per guadagnare spazio e pubblica evidenza; poco importa se possiedono i tatuaggi di Corona, le cosce lunghe di Belen o sono flaccidi e pieni di cellulite: l’importante è ritagliarsi un coriandolo nella pupilla del dio delle folle.
Ma finché continueranno a giungermi richieste di gradimento da questa particolare categoria di bagnanti digitali – i più paraculi sono quelli che allungano la manina per incassare l’obolo dopo pochi secondi dall’avvenuta conferma di “amicizia” – l’unico risultato sarà quello di imprimere una torsione alla mia faccia, oltre che alle mie budella.
Uno spettacolo non diverso da quello a cui devono avere assistito i miei genitori, nonni, zii, perfino la vicina di casa, la dolcissima Marietta, doveva essere presente quel giorno anche lei, mi immagino un intero anfiteatro di rompicoglioni raccolto attorno al mio seggiolone la volta che cercarono di travestire un omogenizzato Plasmon da bombardiere Junkers Ju 87, detto confidenzialmente Stuka, e per la prima volta dalle mie labbra proferirono due irrevocabili lettere: NO!

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