domenica 6 gennaio 2019

Bucefalo anzi Nerone anzi Black anzi Furia anzi Tornado anzi...

È curioso assistere a come i bambini si accostano agli animali, specie a quelli di maggiori dimensioni. Loro sono piccoli, i bambini, e gli animali tanto più grandi. Ma con l'aumentare della sproporzione, quindi il timore, la fifarella che fa tremare la matita quando scrive la parola buio sopra al foglio, cresce di pari passo il desiderio di avvicinarsi alla carne viva e gigantesca. Salvo poi scappar via un attimo prima del contatto.
Ricordo quando io stesso, a quell'età indefinita in cui non riesci a scorgere la parata delle grappe che attendono i cirrotici dietro al bancone del bar Tourist – ma poco importa di arrivare al livello della tazzina del caffè, tanto sai già che qualcuno (mamma, nonno, tal dei tali) ti offrirà comunque il gelato della macchinetta Carpigiani, il barista abbassa una leva e, come cacca dal buchino, cioccolato e crema sfiatano in onde colorate e soffici che si compenetrano, e però senza puzza né pipì –, ricordo, dicevo, che al rientro andavo nella stalla del nonno per carezzare il testone delle mucche, le strofinavo proprio là dove spunta un ciuffo unto e sbarazzino.
C'era anche un puledro tra di loro, era tutto nero e senza nome e così io glielo cambiavo ogni giorno: ciao Black, ehilà Furia, oppure lo chiamavo Tornado come il cavallo di Don Diego de la Vega, in arte Zorro. Io ne ero naturalmente attratto, ma la sua vivacità compressa mi intimidiva più del lento ruminare delle mucche; parevano masticare una Big Bubble, ma senza appiccicarla, una volta esaurito il gusto chimico di fragola, sotto al banco di formica verdina. Vuoi un po' di erbetta fresca Bucefalo? gli dicevo. Guarda, e schiudevo il pugno per mostrare che non baravo, è saporita e ancora piena di clorofilla, mica come il fieno che fa il solletico al naso e lascia triste il palato... Ma appena Nerone, ingolosito, spalancava la bocca da cui spuntavano gli incisivi larghi e giallastri, io me la davo a gambe levate.
È un'immagine che, da qualche tempo, mi si ripresenta sempre più spesso, forse perché altrettanto di frequente mi capita di pensare al suicidio. Anche il suicidio non ha nome. È un animale strano e misterioso, c'è chi dice si muova più volentieri la notte e abbia in simpatia i cantanti e gli innamorati, di cui si diverte a imitare il lamento. Certamente è nero come Luca, il puledro del nonno. Ma, almeno una volta, basterebbe una volta sola, riuscire a tuffare le mani tra i crini scapigliati e ispidi, e poi spalancare la porta della stalla e scappare via prima dell'alba. 
Io dal mio vecchio nome e lui verso il nome che ciascuna creatura a questo mondo merita, anche Roberto, detto Roby, il puledro che mio nonno avrà convertito in bistecche a stretto giro, nemmeno il tempo di conoscere l'offesa degli speroni e la prateria che si spalanca quando la tromba del Decimo Cavalleria suona la carica; la bandiera si gonfia e le spade, lo stesso rumore delle posate, si sguainano e issano a sostituire la lunga canna dei Winchester; ma sempre di cazzi si tratta, direbbe Freud. Eppure anche la cavalcata di John Wayne ogni tanto si arresta, e lui rimane immobile a fissare l'orizzonte.
E' un punto indeterminato, silenzioso, che si confonde con la palla esausta del sole, a tramontare nel languore ciliegia e prugna e direi anche una punta, ma piccola, di limone, a completare la spremuta del Technicolor. Controcampo, op, sui suoi occhi: una striscia sottile sottile da cui irradia un ventaglio di piccole rughe. Partono allora gli archi dell'orchestra in sottofondo, i titoli di coda con la scritta The End graffiata su un cartello di legno in western font, mentre si accendono le lucine della sala e brontolano gli ingranaggi del sipario. Ma John Wayne, te l'ha detto un amico un giorno al ritorno da dottrina, sa benissimo cosa c’è dietro il sipario e dove andare poi, perché c'è sempre un poi. Ed è in quel preciso momento che il suo cavallo sembra sorridere all'operatore.
Pare che la carne di cavallo, da mangiare almeno una volta a settimana, meglio se poco cotta, faccia bene agli omini rossi che stanno dentro il sangue. Ma scappano dalle persone pallide e tristi e dunque anche da me medesimo, che non ho nient'altro da dire. 

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