lunedì 28 gennaio 2019

Salvini come Mike Bongiorno, o sull'arte degli specchi


Alessandro Bertante, in un suo recentissimo post su Facebook, ricorda come "Salvini usi sempre termini denigratori quali professoroniintellettualoni, come se una comunicazione verbale infantile, fintamente bonaria, lo mettesse sullo stesso piano della sua gente. È una strategia grossolana" aggiunge lo scrittore di Alessandria, "che fino a oggi ha funzionato ma che parte dal totale e consapevole disprezzo per il proprio elettorato e della sue capacità di comprensione."
Io sono completamente d'accordo con la prima parte della sua analisi – anche perché è verificabile, è un fatto – ma non del tutto con la seconda. Più che un atteggiamento spregiativo credo infatti che egli stia mettendo in atto quella tecnica che nella programmazione neuro linguistica viene chiamata mirroring (rispecchiare i gesti e le frasi chiave dell'interlocutore, per condurlo successivamente in una direzione favorevole ai propri scopi), e prima che in politica è stata a lungo collaudata nello show business.
Ad accorgersene con intuito preveggente fu un ancor giovane Umberto Eco, che nella Fenomenologia di Mike Bongiorno attribuiva il successo del presentatore alla sua assoluta medietà. Ciò a cui anche lui faceva da specchio era un'italietta mediamente ignorante, mediamente pettegola, mediamente tutto, che dai propri tinelli maron, per usare la bella immagine di una canzone di Paolo Conte, lo osservava senza provare alcuna soggezione. Era a tutti gli effetti uno di loro, che beveva la grappa Bocchino e diceva allegria!
Ma quella fase storica possedeva delle profonde differenze col presente. Dai politici, gli stessi telespettatori al momento di trasformarsi in elettori (ma come si capirà con Berlusconi l'assonanza tra i due termini non è per nulla casuale), dai politici veniva reclamata un'autorevolezza del tutto assente in Mike Bongiorno, e che ha tenuto la scena fino alle monetine scagliate a Bettino Craxi di fronte al Raphael. È quello il momento in cui il vecchio Laio viene decapitato. 
Spostando così il ragionamento su un piano psicologico, potremmo ipotizzare che nel corso del Novecento il politico fosse percepito come un surrogato paterno - colui che sorveglia i confini della Legge -, mentre il presentatore televisivo fosse il fratello maggiore scanzonato e boccalone, del tutto privo di ogni carattere autoritativo. O ancora più radicalmente: il politico era colui che faceva da argine al godimento illimitato, mentre il presentatore, uomo di spettacolo, di distrazione e intrattenimento, lo promuoveva. 
L'elemento di novità non mi sembra dunque consistere in una comunicazione pubblica dalla natura simmetrica, ma nel fatto che a metterla in atto siano ora i politici, i politici in generale, non è una caratteristica che limiterei al Ministro degli Interni. E ciò mi sembra l'ennesima conferma dell'estensione dei codici dello spettacolo a ogni aspetto della scena pubblica, che possiede quale effetto principale la caduta di ogni principio di autorità, a favore di un'orizzontalità fraterna e semplificata.
Se prima stavamo insomma a scuola, dentro una piramide con alla sommità un preside, quindi gli insegnanti, i bidelli e infine gli alunni che si zittivano all'ingresso di quel padre simbolico che gli consegnava i codici di accesso al sistema sotto forma di sapere, ora siamo cascati in una sorta di limbo, che ha la forma di un chiassoso e perenne intervallo. 
Se ne ricava che i professori non possano che diventare la loro caricatura, "professoroni", allo stesso modo di quegli altri guardiani della soglia che furono un tempo gli intellettuali, ora sfigurati nella maschera carnevalesca di "intellettualoni". Salvini, come Mike Bongiorno, ha insomma capito tutto con anticipo, cavalcando con astuzia strategica lo spirito del proprio tempo.
Un tempo altro, nuovo, diverso. Quello in cui anche i politici si ingozzano di merendine, e ringhiando (un po' davvero e un po' per celia, per non morire) si tirano l'uno all'altro il cancellino.

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