martedì 8 gennaio 2019

La fine della strada, o sulla critica letteraria

Indiscreto, evoluzione web dell'omonima e storica rivista culturale fiorentina, fu fondata ed è ancora edita dalla casa d'aste Panati, ha appena promosso un’iniziativa che trovo di grande interesse. Lo scrittore Vanni Santoni convoca sessantasei critici letterari italiani (praticamente tutti) per porgli quattro semplici domande sullo stato dell’arte: quella della critica stessa, ma anche quella, naturalmente, del suo oggetto.
La prima domanda riguarda dunque la critica, la sua condizione attuale e le sue prospettive future. Non riassumerò qui le risposte, che comunque contengono numerosi spunti preziosi, guizzi fosforici da parte di persone che conoscono a fondo la materia di cui discettano con misura. Ciò che più mi ha colpito è però quel che essi non dicono.
Intanto, nessuno dei sessantasei critici che sono concordi, realisticamente, nel registrare una profonda crisi della propria disciplina, sembra dispiaciuto per questo. Ma come, ti hanno appena detto, anzi, ti stai dicendo da solo che sei un ferro vecchio buono per la raccolta differenziata, se ti va di lusso finisci nella teca di un museo, e non ti dispiace nemmeno un po’?!
E’ come se all’improvviso l’Ungheria o, ancora meglio, il mondo intero diventasse uno stato islamico. Io credo che Rocco Siffredi non ne resterebbe indifferente. E' quello che ha fatto per tutta la vita, filmetti porno, cosa succederebbe se gli dicessero basta, si chiude bottega, finito? Al limite potrebbe continuare di nascosto per pochi amici fedeli, con cui sfogliare vecchie copie di Caballero mentre spiove una lacrimuccia sulla guancia: come eravamo giovani, come eravamo belli…
I sessantasei critici invece no, nessuno mostrava segni di cedimento. Parevano addirittura goderne. Non tanto della propria imminente uscita dalla scena pubblica, ma dell’acume – come sono intelligente! – con cui la registravano con puntuale preveggenza. Emozione e pensiero erano totalmente scissi, come forse il ruolo prevede. Ma siamo davvero certi che debba essere così…?
Il secondo motivo di sorpresa è in qualche modo collegato al primo. Anche qui, era pressoché unanime la convinzione che la critica letteraria sopravvivrà, ma in forme più o meno appartare e carbonare. Conclusione a cui aderisco totalmente, ma sulle ragioni era un continuo arrampicarsi sugli specchi, nel tentativo di reperire nell'ambiente circostante (quel che si dice “la funzione sociale”, che guarda a caso coincide con i motivi della crisi) il gancio a cui appendere il proprio titolo, magari vergato in caratteri gotici come avviene nello studio dei dentisti: Critico Letterario, con specializzazione in estrazione di scrittori velleitari dal canone occidentale.

Eppure la risposta a me appariva a portata di sguardo, basterebbe solo ribaltare l'inquadratura alla maniera del controcampo cinematografico. Passare, insomma, da un’oggettiva (campo lungo) alla soggettiva di chi osserva il mondo con stupore e curiosità, e quindi interrogare quel puntino nero che sta proprio al centro dell’occhio, come quando l'oculista ti mette le goccine.
Ed è solo in questa diversa prospettiva che possiamo comprendere come la critica letteraria, non diversamente da ogni altra forma di interpretazione e di giudizio, continuerà a esistere. Ed esisterà fino a che ci saranno delle persone impegnate in tale attività, è ciò per cui hanno studiato e sanno fare bene, ne provano piacere, gusto, soddisfazione. Semplicemente per questo. Non è forse bello sussurrare, all'ingresso della capoufficio con una gonna appena acquistata, si guarda in giro orgogliosa, quanto le fa grosso il culo per altro già basso?
Non c’è niente di male, intendiamoci. Provare gratificazione nell'esprimere commenti sugli sforzi non di rado goffi degli altri; a volte possono essere anche d’encomio, per carità, oppure analisi minuziose, spiegazioni dotte, in cui si mettono a nudo gli ingranaggi estetici che si nascondo nel ventre dell'opera – "mai far scendere il lettore in sala macchine!" intimava Céline. Ma al critico questa licenza è concessa.

Ciò non fa di te una persona sterile (“complesso dell’eunuco” lo chiamava George Steiner) o ancora peggio cattiva, anche se un pizzico di cattiveria non guasta. Freud aggiungeva che eros e aggressività sono due gemelli separati alla nascita, e l'uno prospera dove l'altro fa difetto. Ma non ne farei una questione psicanalitica.
Non escludo inoltre che il proprio desiderio – perché di questo si tratta – possa incontrare nel mondo un riflesso, e l'azione attraverso cui il piacere si oggettiva, una volta conclusa, continui a produrre soddisfazione anche in altri, pochi altri se le previsioni dei sessantasei si riveleranno corrette.
 Io però non sarei così pessimista.
Disponendomi pure a un'inquadratura in soggettiva, mi accorgo infatti che alcune pagine di Cesare Garboli o Filippo la Porta o Alfonso Berardinelli o Emanuele Trevi o Simone Barillari, e mi fermo qui ma potrei offrire un catalogo con cifre alla Don Giovanni, mi accorgo che alcuni spunti critici hanno aiutato la mia attenzione al testo a farsi vigile e prensile, regalandomi momenti che, non saprei come altro chiamarli, se non di nuovo piacere. 
Ma mi imbarazza, di più, mi rattrista questa finestra che l’Indiscreto apre sul mondo interiore dei critici letterari, da cui risulta che a gente tanto colta e sottile fa difetto l’elementare capacità di riconoscere non tanto il desiderio degli artisti, in ciò sono bravissimi, ma il proprio. Quindi nominarlo. Un desiderio che fa da sprone alle scelte individuali, anche quando, come in questo caso, muove nella direzione di una strada senza sbocco. Al termine della quale ci sta un bidone della spazzatura, con un gruppo di gatti randagi che si disputano i resti già spolpati del banchetto.

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