Ormai solo un Dio ci può salvare. Lo proclamava
Martin Heidegger il 23 settembre 1966, il giorno in cui mia madre compiva
ventinove anni e io quattro mesi e quattro giorni. L’unico mio problema era
allora quello di trovare il suo capezzolo destro – gonfio, ritto, colmo di
latte fresco che gocciolava sull’areola larga e rosata – oppure dirottare sul
sinistro, doveva apparire non meno sontuoso ai miei occhietti sgranati su tutto
quel bendidio. L'espressione del filosofo di Messkirch era invece quella solita, da topino grasso che si
crede un leone, sentendosi in dovere di ruggire al mondo la verità della
gazzella. Due giornalisti di Der Spiegel diligentemente trascrivevano.
Adesso il topino ha lasciato posto ai suoi amati libri, mia madre
ha ottantun’anni e io cinquantadue. Soltanto un Dio può salvarci… Mah. A me
sembra che sia piuttosto la tecnica, tanto paventata dal topino coi baffetti e
il sorriso sornione in stile Zorro, dopo aver disegnato una bella zeta con il
fioretto, opplà, sul ventre prominente del sergente Garcia, a rappresentare una
possibile salvezza, non quel Dio che da essa dovrebbe emendarci. Un universo
fatto solo di tecnica, algoritmi e procedure informatiche, ma senza uomini e
Dio tra i coglioni, con la matematica e la geometria che lo fanno finalmente da
padrone, come in fondo da sempre è. Dico, che c'è di male: perché dovrebbe
essere un brutto sogno?
Certamente migliore di questo incubo – barconi stracolmi di Arlecchini servitori di due continenti, si stagliano sul Mediterraneo come un neo sul bel musino di Cindy Crawford; le esternazioni politiche tramite twitter e post e per non dire dei talent o dei talk, poco importa la distinzione, importante è che ci sia l'onnipresente suffisso show; vaccini a raffica a prevenire un male che non si può vedere né pronunciare; no, non si chiama morte, per quella c'è sempre tempo, basterà ora una badante bionda a pulirti il culo con una mano grassoccia, con l'altra si aggiusta le cuffiette dello smartphone che trasmette canzoni ucraine lacrimose; gli slavi, si sa, sono sentimentali; tanto ci sarà e anzi già c'è una pillolina azzurra a farci drizzare nuovamente il cazzo, mentre le coetanee si concedono nuove labbra per sussurrare; mi raccomando dottore, le voglio uguali uguali a Lilli Gruber –, un incubo che solo all’occhio miope di un topo con la croce uncinata appuntata sul bavero di una giacchetta tirolese in loden verde oppure blu, non si capisce bene, la fotografia è in bianco e nero, può costituire la propria razione quotidiana di formaggio.
Certamente migliore di questo incubo – barconi stracolmi di Arlecchini servitori di due continenti, si stagliano sul Mediterraneo come un neo sul bel musino di Cindy Crawford; le esternazioni politiche tramite twitter e post e per non dire dei talent o dei talk, poco importa la distinzione, importante è che ci sia l'onnipresente suffisso show; vaccini a raffica a prevenire un male che non si può vedere né pronunciare; no, non si chiama morte, per quella c'è sempre tempo, basterà ora una badante bionda a pulirti il culo con una mano grassoccia, con l'altra si aggiusta le cuffiette dello smartphone che trasmette canzoni ucraine lacrimose; gli slavi, si sa, sono sentimentali; tanto ci sarà e anzi già c'è una pillolina azzurra a farci drizzare nuovamente il cazzo, mentre le coetanee si concedono nuove labbra per sussurrare; mi raccomando dottore, le voglio uguali uguali a Lilli Gruber –, un incubo che solo all’occhio miope di un topo con la croce uncinata appuntata sul bavero di una giacchetta tirolese in loden verde oppure blu, non si capisce bene, la fotografia è in bianco e nero, può costituire la propria razione quotidiana di formaggio.
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