martedì 9 marzo 2010

Primipare, o sull'ombra gerarchica del Comunismo


Le chiamano primipare nei reparti di ostetricia. Dopo i trent'anni, primipare attempate. Giovani donne che hanno appena partorito il primo figlio.

Ma ancor prima, alle visite di controllo, nel riverbero stanco di una sala d'attesa azzurrina, senza una sintesi nominale eppure sono già una tribù.

Lo capisci dal fatto che non sfogliano in silenzio, radiosa eccezione, le pagine sfrante di Donna Moderna, Grazia o il supplemento settimanale del Corriere, che rimangono accasciati sopra al tavolino bianco.

Parlano, piuttosto.

Si riconoscono senza bisogno di uno zoom al dilatare d'asola della camicetta - è il nostro di sguardo, a essere imbarazzato dall'apparire del rigonfiamento - perché il loro corre svelto agli occhi, al cielo.

Sembra addirittura che sappiano leggere i segni d'ala del gabbiano, nei fondi oscuri del caffè.

Le vedi almanaccare di merendine o forse merdine, non capisci bene; precorrere vagiti nella contemplazione di ciucciotti da conficcare come la picozza dell'alpinista sulla vetta; o sono profilassi antiche e tramandate in un sussurro, da orecchio a orecchio.

Perfino, ma solo quelle più svelte nel rubare il tempo all'altra, di professioni e carriere apparse in sogno, corsi di minibasket e lezioni di violino: lui farà, lei sarà ...

Di questo, si raccontano.

O meglio si confidano quando mesi dopo si rincontrano per strada, ma più spesso ai giardinetti, con la carrozzina spalancata alle vampe incontinenti dell'orgoglio. E c'è ancora quello sguardo lucido e trasognato, la commovente intimità tra animali della stessa specie.

Immediata è allora la festa di frasi che dilagano nel dettaglio - cadute dal seggiolone, lo sbocciare precoce dei dentini - in una seppiata epopea del quotidiano, mitopoiesi da cinegiornali Luce. Una velocità di parola che riassume secoli, intere ere geologiche e cicli astrali.

Ti fanno anche dispetto, però. Quell'assoluta e spietata indifferenza al tuo procedere curvo e assonnato. Come se tu e il libro che tieni sotto al braccio alla maniera di un termometro: non esisteste, foste niente polvere nulla. Un accidente del caso, rispetto al capolavoro del loro ventre.

E sarà per il fastidio di essere esclusi dal Paradiso, meglio saltati, il gesto obliquo del cavallo degli scacchi. Oppure la ruvida distanza da un entusiasmo per ciò che ti appare come orizzontale - così da sempre, così sempre sarà - e a loro invece vertice, sommità ultima di Natura, che ti porta infine a pensare: ma non è stato un giorno proprio questo, anche il Comunismo?

Riconoscere il simile, l'uguale.

Ma nel fondo più fondo del cuore, la convinzione che il proprio fosse sempre e seppur di un poco diverso ... (Sì, migliore!)

2 commenti:

  1. o forse l'ideale che si reifica nel reale, rendendo obsoleto il già realizzato... (cioè noi)

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