mercoledì 3 marzo 2010

Il mal sottile


Che senso può avere un'immagine come questa, mi chiedo. Di Wilhelm von Gloeden, Gruppo di giovani in terrazza con strumenti musicali, ma che senso può avere?
Quando il barone Guglielmo, come veniva chiamato con deferenza dagli abitanti del luogo, si trasferì a Taormina nel 1878, inizialmente lo fece unicamente per ragioni di salute. Tubercolosi, gli comunicò con la severità di quella lingua spigolosa un medico del Meclemburgo. Una diagnosi su cui c'era poco da cavillare. Sole, mare, aria buona. Una pacca sulla spalla e una valigia con qualche libro, ma soprattutto una macchina fotografica.
Le fotografie di Wilhelm von Gloeden sono riconosciute quale sintesi più acuta della sensibilità omoerotica del secolo decadente; un'enfasi teatrale, sontuosa e classicheggiante, dal cui pesante sipario si intravede lo schiudersi senza storia né patria della carne. Sì, ma che senso può avere un'immagine come questa per noi, intendo. Ora, adesso, nel nostro tempo.
Torniamo dunque alla domanda iniziale: quale significato, cosa farne?
Il giovane sulla destra è cinto da una tonachetta bianca e lunga, gli accarezza il corpo dalla vita in giù. Al collo porta una collana di pietre chiare, forse perle, e tra i capelli folti e neri un nastro, più sopra una ghirlanda. In mano tiene un tamburello, che immaginiamo intrecciare il suono con quello del flauto suonato dal ragazzino più piccolo, seduto sul muretto della terrazza e ideale punto di convergenza dell'intera composizione. L'ultimo vertice del triangolo che viene così a formarsi è costituito dal giovane sulla sinistra. E' nudo, è di spalle. Proprio perché sottratto allo sguardo - circostanza inusuale per von Gloeden, in genere più incline alla flagranza - il suo fallo è perno immaginale del ritratto. Il ragazzo sembra esserne consapevole, ne gioisce. Alzando le braccia al cielo in segno di forza, di vittoria. Avere un cazzo, essere dentro un cazzo, quale miracolo della natura!
Ma se guardiamo con più attenzione, vediamo che le sue mani sono occupate in un gesto diverso. Impugna due campanellini, anch'egli è dunque intento nella generazione di un suono, compreso nella musica e forse nella danza, che sono una cosa sola come il bianco del cielo e quello del mare, da cui la terrazza è circondata.
Wilhelm von Gloeden vede tutto ciò da dietro l'obiettivo ma sta ritirato, nel silenzio della sua lingua sconosciuta. In tedesco tubercolosi viene detto tuberkulose, non c'è molta differenza. Oppure, anche in quelle regioni lontane dal sole, ignare dei ciuffi selvatici della ginestra e del rosmarino, per non dire del canto e delle danze di un'ellade completamente reinventata tra le colline di Taormina, viene indicato con male sottile. O ancora più indietro nel tempo, "ftysis", tisi, come viene sibilato nella lingua del mito, anche se il significato è quello prosaico di consunzione.
Nelle centinaia di immagini sottratte alla consunzione del tempo da Wilhelm von Gloeden, il barone Guglielmo, si avverte la traccia di una sottigliezza, un inganno. Quante volte la cultura occidentale aveva già cercato di rianimare le spoglie della grecità classica, del gusto ellenico? Von Gloeden conosce benissimo gli abissi spaventosi che si aprono dentro ai polmoni, e sa che tutto questo è un gioco, uno scherzo. Un trucco, meglio. Che non potrà sottrarlo al suo destino di tubercolotico, ma con cui nella migliore delle ipotesi riuscirà a portarsi a letto qualcuno di quei ragazzi, ad accarezzarne il fallo che è qui pudicamente sottratto all'appetito dei maligni.
Ma che accidenti di senso ha, allora, questa immagine per noi moderni ed eterosessuali? Possiamo ancora utilizzarla, e in che modo?
Un po' ci fa ridere, certo, apparendoci decisamente kitsch. Ma un poco anche ci commuove, pensando a quei ragazzini catturati al culmine della loro vitalità, in un'esultanza della carne che contiene già qualcosa di triste; i loro volti come distratti o sospettosi verso quell'uomo che gli chiede le cose strane, in una lingua lontana e sconosciuta, tra un colpo di tosse e l'altro. E ci ricorda della consunzione, della "ftysis", da cui anch'essi sono stati infine risucchiati. Sì, un male sottile. Che è l'eredità più terribile e grandiosa, forse perfino errata, suggerisce qualcuno, che i greci ci hanno consegnato. L'idea che da qualche parte ci stia un ritmo o una cadenza o un ticchettio. Ecco come nel tempo, e col tempo, è cambiata questa fotografia. Come la possiamo utilizzare.
O magari il tempo è solo un tamburello suonato da un fauno distratto e scoglionato, che non vede l'ora di togliersi quella stupida ghirlanda.

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