venerdì 19 marzo 2010

Abbronzatura, o sulle ragioni letterarie a fior di pelle


Ma perché scrivi?, mi chiede con accento inequivocabilmente romagnolo, posando finalmente sul sedile la copia di Donna Moderna che ha continuato a sfogliare per tutto il tempo della nostra breve conversazione.

Intercity Milano-Roma, ore 13 e 40, giusto un timido campanellino all'imboccatura dello stomaco.

La prima cosa di cui mi accorgo da questa nuova prospettiva, un sipario che cala in un fruscio di pagine dal suo petto, è che ha un seno enorme. Probabilmente abbronzato, addirittura ustionato, come la pelle del volto bitumata da centinaia di lampade UVA, o da qualche recente soggiorno a Sharm El Sheik con un'amica. Il resto della figura è invece di una magrezza tonica, verosimilmente ammaestrata, tenuta a bada con sessioni di addominali e immobili fughe sulla cyclette, che rendono ancora più evidente il contrasto con la protuberanza che invoca un'ora d'aria dai cancelli della camicetta bianca, al suo confronto pallida.

L'età dovrebbe assestarsi nei miei paraggi, tra i quaranta e i quarantacinque; una donna ancora molto bella, occhi di un verde acqua e capelli scurissimi; ma il viso asciutto è segnato da un'infinità di piccole rughe al lato delle palpebre, sopra la fronte. Probabile effetto di un mix composto da una dieta ferrea - immagino a quali gironi celesti potrebbero arrivare quelle mongolfiere, ingozzate di lasagne e sangiovese - a cui si aggiunga un'attività fisica compulsiva e anni e anni di raggi ultravioletti che planano dolcemente sulle carni, dopo esser stati scacciati dal riflesso azzurrino dei Ray-Ban.

Mi ricorda le protagoniste di quel nuovo filone della pornografia contemporanea costituito dalle "serie". Non film, ma brevi video, situazioni, di una decina di minuti scarsi. Il tutto visto nell'ottica di un maschio che impugna la videocamera - la soggettiva è l'unica inquadratura contemplata - e finge di accostare le ragazze per strada, in una spiaggia affollata, dentro gli infiniti accidenti quotidiani. Oppure sono loro a suonare direttamente alla porta per un'audizione, a cui si presentano solo vagamente informate su ciò che le attende di lì a poco. Ed è inutile aggiungere che dopo una breve serie di "what do you ...?" e "yes I do", gli stanno già facendo un pompino.

Ma attenzione: solo un pompino.

Nelle serie infatti non si scopa. Al limite le ragazze si trastullano con l'enorme cazzo dell'uomo che le riprende, infilato come una cartolina (Ciao, qui tutto bene, c'è il sole) dentro la piega di seni pesanti e sodi. Malgrado l'assoluta assenza di ogni reticenza espositiva, non c'è quasi mai penetrazione, solo sesso orale, praticato da giovani poco più che adolescenti. Esiste però un fiorente sotto-genere denominato mature, in cui le donne hanno superato i quarant'anni e il cui aspetto è incredibilmente simile alla mia compagna di viaggio. Una magrezza tostata e muscolare, a cui si accompagni una taglia extra large di reggiseno, i capelli lunghi e tinti. Generalmente vengono presentate con il termine di house wife, casalinghe.

Indipendentemente dall'età, l'atteggiamento delle donne filmate è davvero quello di persone "prese dalla strada"; e l'evidente impaccio nel gestire una situazione obiettivamente estrema non sembra simulato. Se non suonasse vagamente ridicolo, chiamerei l'insieme delle pause, i sorrisini forzati, le fughe dello sguardo alla ricerca di un appiglio inesistente, in un unico e antico modo. Pudore.

Per quanto la dinamica della scena sia artificiale e programmata, ciò che viene ricercato dal pubblico sempre più numeroso delle serie, che non vengono proiettate a cinema ma nemmeno nel circuito dell'home video, solo tramite siti web a pagamento come Netvideogirls, è proprio questo effetto di realtà, di contiguità con l'orizzonte non solo sessuale ma anche antropologico rappresentato.

E' per questa ragione che il più delle volte si tratta effettivamente di attrici non professioniste, piuttosto donne in cui la scena ripresa rimarrà probabilmente un unicum nella propria biografia. Da tacere un giorno ai propri nipoti, tra una frittella e l'altra, una villetta in legno chiaro con le tendine in tessuto scozzese e gerani al lato opposto della finestra, in stile Casa nella prateria. Già, perché le serie sono un fenomeno tipicamente americano. L'America di Bush quanto quella di Obama, l'America anyway. Che si fa mondo dentro gli schermi dei nostri pc.

La simulazione dell'abbordaggio in una periferia urbana come tante rappresenta così solo una sintesi cronologica, plausibile nei registri quanto nello sfondo umano e culturale. A volte, in un impeto di trasparenza, viene mostrato anche il momento in cui viene corrisposto un compenso per quella prestazione occasionale, una smilza manciata di dollari. Ma a differenza della prostituzione vera e propria, mi sembra che in questo caso le motivazioni possano essere altre. Se non opposte.

Comunque sia, anche solo per il brevissimo frangente di un pompino, il membro estratto dalla bocca all'ultimo affannoso istante, giusto in tempo per sgorgare un esile zampillo opaco sul seno o all'orlo della bocca, tra i capelli arruffati, meglio ancora nella direzione degli occhi in cui si impasta col rimmel, formando una poltiglia brunita come la lacrima di Pierrot, comunque sia: agguantare anche solo una degradata scintilla di pubblica evidenza, manifestarsi.

Lo spettacolo, in fondo, è sempre stato questo.

Piacere nell'offrire piacere con la propria flagranza, che è già di per sé una remunerazione. Perché crea desiderio e il desiderio dipendenza e la dipendenza potere. Nella pornografia questo grado zero dello spettacolo raggiunge la sua sintesi più compita. Ma se ci facciamo caso, è ciò che avviene anche in letteratura. Leggiamo, attività che prevede un lieve costo in termini di sforzo, concentrazione, perché la fatica della lettura è ampiamente ripagata da un piacere. Che potremmo riassumere nel sommesso godimento derivato dal traslare la nostra immaginazione dentro altre vite, per le strade di mondi eventuali.

E' dunque questo anche il piacere della scrittura, immaginare e abitare altri luoghi?

Io non lo credo. Personalmente la vivo, prima ancora di concettualizzarla, come una soddisfazione di tipo diverso, simile appunto a quella di un attore. In cui al fondo ritroviamo una gratifica non più diretta ma differita, speculare e in ultimo legata a una dimensione manifesta. Perché ciò che viene generato in parole e immagini da uno scrittore, non dal nulla ma dal magma caotico del possibile, ciò che viene portato alla luce dell'evidenza immaginale, è nuovamente desiderio.

Uno scrittore gode nell'offrire un piacere reale dentro un'esperienza illusiva, che proviene da una scena desiderata. Dentro a cieli diversi, negati ai sensi più superficiali, come vuole l'etimo di desiderio. Ma piacere per altri, non per sé. Che lo ripagano con la moneta simbolica di una qualche forma di riconoscimento pubblico.

Potere e sempre potere, dunque. E desiderio.

Bisogna però forse distinguere tra forme e gradi diversi del potere. Il più semplice ed elementare, ma perciò enorme, confinando con la misura del diritto, è il potere di essere quello che si è, venendo riconosciuti nella nostra prima essenza umana. Esserci. Io trovo che letteratura e pornografia confinino esattamente in questo: non nell'imporre ad altri una voce, un poter fare, ma nell'offrirsi oscenamente nella più fragile ed esposta delle richieste: guardatemi, ascoltatemi! Ed infine desideratemi.

Perché io sono quello che tiene il tuo piacere avvinto alle pagine di un libro, o in bocca il tuo cazzo. Che poi è lo stesso, appunto

Sollevo quindi e a malincuore gli occhi dalla camicetta bianca, i primi due bottoni slacciati lasciano intravedere una catenina d'oro con tre o quattro pendagli appesi, uno di essi è un crocefisso che mi ricorda una croce celtica, i lapislazzuli di cui è intarsiata risaltano sull'abbronzatura come un semaforo illuminato in piena notte, e rispondo dopo una lunga pausa: Perché scrivo?

Hai presente quanto fai un pompino al tuo uomo, più o meno le stesso.

Con un gesto rapido e brusco della mano lei si riprende la sua copia di Donna Moderna e si alza di scatto, senza dire una parola. La ritroverò, scendendo a Bologna, un paio di carrozze più in là. Sta parlando con un giovane con gli occhiali dalla montatura in celluloide e la felpa dei Lakers. Di viaggi e vacanze, mi par di capire.

2 commenti:

  1. Gli incroci occasionali con le persone non consentono tutta questa libertà. La si paga.
    È uno spettacolino anche questo: presentarsi valchirie ammaestrate, danzare come farfalline innocenti, gettare un'esca aggressiva ma addolcita dalla mistificazione; e l'uomo, dall'altra, accogliere con golosa apparente indifferenza, chiacchierar di niente...
    Bisogna decidere chi comanda.
    Se uno dice quel che dici tu, la valchiria ha già perso, e deve cercare un altro giocatore.
    Lei può accettare di perdere, eccome.
    Solo con la sua camicetta, lei che pensa di avere vinto dichiara la sua sconfitta.
    Però bisogna lasciarla giocare.

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  2. Federica, mi rendo conto che questo gioco è "il mio gioco". non c'è transitività, insomma. la ragazza del racconto – perché non dimentichiamo che per quanto si tratti "biofiction", come direbbero quelli del trandwatching, oltre la biografia c'è sempre il belletto della finzione narrativa - la ragazza non ha tempo e modo di spalancare la sua camicetta, lasciando sgorgare il latte di una storia. e una cavolo di storia, anche una così ce l'avrà pure… o no? più che un mancato incontro tra esseri umani, si tratta dunque di una contemplazione letteraria, quasi una natura morta con diritto di parola. o come mi piace, vezzosamente, chiamare questo genere di scrittura che sto sperimentando da qualche tempo, un "monologo totemico". in cui il narratore guarda, contempla, almanacca. o per dirla con aldo busi: tra il narratore e gli altri naufraghi "non c'è più racconto", se non quello che passa attraverso uno sguardo allibito nel riflesso di un'incolmabile distanza. così se, come in questo caso, ci sono due battutacce da avanspettacolo ad aprire e chiudere la scena, sono quelle dell'imbonitore allo spettacolo delle pulci: benvenuti siori; arrivederci e grazie. quando tutto il resto, tripli e quadripli salti mortali, lo fanno invece le pulci. sì, temo che non ci sia davvero più racconto, Federica, tra me e gli altri naufraghi...

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