martedì 2 marzo 2010

Find a girl, settle down


Mi piace questo video di Cat Stevens che ho appena trovato su Youtube. Questo video di Yusuf Islam, anzi. E' il 2007 e sta suonando alla Portchester Hall di Londra, di fronte a una minuta e silenziosissima platea.

Non sembra un pubblico televisivo comune, anche se la qualità delle immagini ci ricorda che, da qualche parte, tecnici solleciti della BBC stanno registrando la serata. Quel che si vede sono invece uomini e donne prevalentemente islamici, la religione a cui da molti anni Cat Stevens si è convertito. La sua voce è quella di sempre, e in fondo anche il volto liscio sotto una lunga barba appena imbiancata. In un totale dall'alto di una scenografia arabeggiante - piuttosto kitsch a dire il vero, cioè conforme alle attese più scontate - lo intravediamo tra le frasche di un palmizio forse artificiale, seguito da un fondale ad arcate moresche.

Bastano poche note per riconoscere la sua canzone più famosa: Fatehr & Son, padre e figlio. Ma nonostante il testo si sciolga in un tenero confronto tra maschi, sono le donne, subito, a occupare l'inquadratura successiva. Due giovani donne con il capo ricoperto da un velo grigio chiaro, l'attaccatura frontale dei capelli che si scorge nella prima a comparire. La stessa che tiene un bambino addormentato in grembo, supino e immobile come sul ponte di una nave, in una giornata senza nuvole. L'altra, a ben guardare, è forse un poco meno giovane, ma probabilmente è per effetto degli occhiali che inforca. Entrambe sorridono al suono dei primi accordi, e la donna con gli occhiali si stringe le mani come a volersele sfregare.

Mi piace anche quel gesto, quasi infantile. Un'infrazione gioiosa della carne al galateo, ugualmente lieto, del manifestarsi. Senza nessuno di quei tratti di mortificazione occhiuta del femminile, propri di certe derive fondamentali. E mi piacciono infinitamente quei sorrisi familiari, come se avessero scorto un fratello o un cugino - oh, che sorpresa! - sbucato all'improvviso da dietro un somaro carico di spezie.

It's not time to make a change, intona quindi Yusuf Islam. Non è tempo per fare cambiamenti. Just relax, take it easy.

Ora le donne sono scomparse dal campo visivo e un lungo carrello ci accompagna fino al palco, in un primo piano del cantante. Anche lui ha gli occhiali, ma, diversamente da altre apparizioni pubbliche, non indossa un copricapo tradizionale islamico, come il fez o la taqiyya. E' anzi vestito "all'americana", ammesso che questa espressione abbia ancora un qualche senso. Americano, come a dire un orizzonte di segni che, per eccesso di accumulo, si scioglie nel tramonto del significare.

Continuo a seguire l'esibizione nella speranza che le due donne vengano ancora reinquadrate - You're still young, that's your fault - e le ritrovo infatti a 2 minuti e 36 nel conteggio del lettore, serie e comprese nell'ascolto della canzone. Quella che si fregava le mani le ha ora deposte sul petto, come arresa; l'altra continua ad avvolgere il bimbo che, sprofondato nel sonno, cattura e invade lungamente l'obiettivo.

Non le rivedremo più, le due giovani donne mescolate al pubblico del concerto londinese. La nave col bambino che scompare in una minuscola bava di schiuma. Sfuggendo infine anche il motivo per cui le ho così a lungo ricercate tra volti simili e perfettamente ignoti. Ma in fondo non si può sapere tutto, anche se c'è così tanto che andrebbe imparato, conosciuto. So much you have to know.

Oppure trovare una donna, settle down, sistemarsi. If you want you can marry. Guarda, guarda me: I am old, but I'm happy.

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