lunedì 29 marzo 2010

Baci sbagliati, o sulla matematica di uomini e donne


E' curioso. Di un uomo che si esponga anima e corpo al femminile, la lingua popolare restituisce questa definizione: "andare a donne". Un gesto estrinseco, l'energia centrifuga che muove l'io verso al mondo.

Non per una donna.

Che quando fa lo stesso, si guarda in giro, sbatte le palpebre e si tocca i capelli, non sta andando a uomini, moto a luogo. Piuttosto sta "cercando un uomo", o ancora meglio non ha ancora "trovato l'uomo giusto".

Diversamente da uno che vada per funghi, piegarsi e frugare pazientemente tra le felici, l'espressione ricorda un magnete, una calamita: la forza di gravità che regola le orbite tra i pianeti, e fa cascare le mele mature sopra alla testa di Newton.

La lingua restituisce inoltre una sfumatura matematica di questa ricerca. Giusto, corretto, conforme a un'idea che ci precede e probabilmente anche succede, nel progetto ugualmente matematico di una famiglia.

Come se al fondo ci fosse una complicata equazione da risolvere, un algoritmo viscerale.

Ci sono allora baci giusti, il cui risultato coincide con una formula oscura che il magnete conosce, irradia. Altri baci sono invece sbagliati, pura energia dissipativa. Quelli degli uomini che vanno a donne, non cercano la donna giusta, pisciano controvento in compagnia di altri maschi canticchiando una canzoncina oscena, mentre di lato si passano la lattina della birra.

Ma non è vero che sbagliando si impara, il fiotto tiepido di urina finisce sempre sulla punta degli stivaletti, disegna assurdi geroglifici sul velo soffice della neve, tela di un Jackson Pollock che quel giorno lì ci avesse dato dentro particolarmente col gomito.

Uomini. Donne.

O sarà che non ho ancora trovato la donna giusta, che vi devo dire...

6 commenti:

  1. ma il linguaggio non è né matematico né neutro... rischia di fornire un ritratto già un po' vecchiotto di certe attese sociali sugli uni e sugli altri, uomini e donne. tra dieci o vent'anni scriveresti forse cose diverse, con espressioni diverse in circolazione. che ne dici di "farselo" o "farsela"?

    Nicoletta

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  2. hai ragione Nicoletta, la lingua si aggiorna, cambiano le parole insieme ai baci. anche se, proprio ieri, ascoltavo una trasmissione radiofonica con uno psicanalista ospite in studio. alla domanda dell'intervistatore su come cambiano i sogni nel tempo, ha risposto che gira e rigira, travestiti con la fogge scintillanti della nuova epoca, l'uomo fa sempre gli stessi sogni, da centinaia di anni. e forse allora bacia anche le stesse donne, piscia a casaccio nella stessa neve...

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  3. Mi accade più spesso - è quasi ovvio - di ascoltare riflessioni opposte alla tua, Guido, anche dai toni esasperati, a volte, in guerra aperta contro un certo maschilismo della nostra lingua. Considerazioni che riguardano, per esempio, la morfologia stessa dell'italiano. Una certa ingiustizia di genere, diciamo così, per cui, con dati alla mano, in un gruppo di cento persone dove siano presenti 99 donne e un uomo, aggettivi e sostantivi e pronomi che li riguardino, vanno tassativamente declinati al maschile, come grammatica ordina. Questioni che reputo, peraltro e serenamente, irrisolvibili (a meno che non si inizi una battaglia per l'introduzione del neutro. Chissà). Riguardo invece alle varie espressioni-definizioni-etichette, la mente corre subito al noto appellativo "Don Giovanni", tutt'altro che negativo nell'immaginario collettivo (anche femminile!) nonostante biografia e fedina penale del personaggio. Il riscontro rosa dello sciupafemmine dall'interminabile lista per curriculum si specchia invece in espressioni tutt'altro che lusinghiere. Le mie, è chiaro, sono mere considerazioni “tecniche” (conscia che il tuo testo vada certo al di là)- tra l'altro in repentino passaggio dalla mente alla tastiera: nessun superficiale femminismo, comunque, nessuna rivincita per il tuo testo “alla rovescia”. Anzi. Anche perché, penso, talvolta c'è più schietta e giusta bellezza in un bacio sbagliato.

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  4. Sara, ben trovata qui, intanto. non tutti i passaggi del tuo commento mi sono in effetti chiari. ad esempio quando parli di morfologia della lingua e di consessi con un'ampia prevalenza femminile, ma la cui declinazione avviene al maschile. se la lingua coglie tale insieme come collettività riunita, generalmente vengono utilizzate, anche implicitamente, espressioni come "persone" (plurale femminile), "popolo" (singolare maschile), "gente" (singolare femminile), "gruppo" (singolare maschile), "adunata" (singolare femminile), "insieme" (singolare maschile) etc. come vedi, la varietà linguistica è piuttosto ampia. inoltre a me non risulta che nell'italiano moderno vi siano declinazioni, ma solo coniugazioni di tempo, numero e genere. e comunque non spetta certo a me la matitina rossa. a me che ho saltato le scuole superiori in un sol colpo, come un bimbo che giochi a mondo, e con una matita rossa finirei di certo con l'impiastricciarmi i vestiti. venendo invece alla figura di don giovanni, che effettivamente incarna un mito declinato, quello sì, in molte e diverse sfumature all'interno della cultura che condividiamo (uomini e donne, che si stanno prendendo al riguardo delle rivincite non solo verbali), ricordo una sottile distinzione suggerita da milan kundera. ne "l'insostenibile leggerezza dell'essere" egli si figurava infatti due motivazioni, non solo differenti ma perfino opposte, che muoverebbero un uomo a passare compulsivamente da una donna ad un'altra. la prima tipologia viene chiamata da kundera "dongiovannismo epico", e contiene al fondo il desiderio di assumere, dentro molteplici esperienze carnali, quell' "infinita particolarità" che ogni donna possiede, e che solo nell'azione erotica si può schiudere e cogliere. una sorta di tassello di un puzzle, che unito a tutti gli altri tasselli - le altre conquiste - conduce il don giovanni epico alla ricostruzione successiva del ritratto d'insieme del femminile che egli brama. femminile che, al contrario, il "don giovanni lirico" in ciascuna conquista e persino singolo amplesso, ricerca invece in una sola donna. ma sconfitto in ogni vano tentativo di racchiudere l'oceano in un bicchiere, oltre che ferito in un infantile slancio d'amore, il don giovanni lirico si mette subito all'opera verso una nuova avventura, rubricando la precedente come semplice "sbaglio". e così all'infinito, alla ricerca di quella donna che sarà ai suoi occhi incantati dal mito (alice pages?) l'unico e definitivo amore della sua vita... (come premio, naturalmente, una fornitura per l'eternità di cornetto algida!)

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  5. Grazie a te per ospitalità e attenzione, Guido. Chiarisco la questione morfologica, prima di tutto. L'italiano, come tutte le lingue romanze, ha perso la complessità della lingua latina, e dunque si è alleggerito anche rispetto alla sua morfologia, alla sua forma e alle sue regole. Il latino presentava ben cinque declinazioni, ovvero ordinava i suoi nomi in cinque gruppi, a seconda delle loro uscite (cioè le desinenze, le “parti” finali di parola: -a, -us e via dicendo). Ora, per non farla troppo lunga e inutilmente complicata con tendenza al saccente (non sia mai!), vengo al punto: l'italiano, di nuovo come il resto delle lingue romanze, ha perso questa grande varietà e ha ridotto i sostantivi a tre tipi di uscite: maschile in -o, femminile in -a, maschile e femminile in -e, con le solite eccezioni, ovviamente (come poeta che è maschile o radio, femminile). Ecco, queste in realtà sarebbero ancora declinazioni. E declinare, di conseguenza, è un verbo che si impiega ancora e riguarda, ovviamente, il “comportamento” dei sostantivi, dei nomi, mentre coniugare riguarda soltanto quello dei verbi. Detto questo, spero non troppo verbosamente (!), hai ragione a portare casi come "persone" e "gente": è incontestabile siano sostantivi femminili e pure plurali. Però, a mio parere, figurano più per il loro carattere indistinto, quasi neutro, meglio “neutrale”, e non per una giustizia aritmetica. Tra l'altro, "gente" (come "persona" del resto) mantiene il genere che aveva in latino, dove “gens” significava un complesso di più famiglie, accomunate dalle stesse origini (e poi, di qui, anche popolo, nazione). Ma le evoluzioni di una lingua sono spesso complesse e talvolta indecifrabili. In latino le diverse specie di alberi (e lo stesso sostantivo “arbor”) erano tutte di genere femminile: madri che davano alla luce figlioli in forma di frutto. Invece da noi queste mamme sono diventate padri... E pure sono interessanti le differenze fra lingua e lingua, specchio di storia e civiltà: va a capire perché, per quale sostrato mitologico e culturale (e una motivazione ci sarà di sicuro), il sole in tedesco è di genere femminile e la luna maschile. Insomma, il discorso non sarebbe più finito. Quanto a Don Giovanni, inutile dire che trovo acutissima la distinzione di Milan Kundera. Io, citando il personaggio, mi limitavo a trascriverne il luogo comune (banale semplificazione, dunque) che si trova a rappresentare. La sottigliezza di Kundera gli dona – e dico: giustamente! - ancora più fascino, gli assicura più approvazione. Epico o lirico che sia. E io, in premio o per consolazione, i cornetti algida li darei comunque a entrambi.

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  6. dopo essermi bagnata nella vasca di cotanta cultura e conoscenza (scusate ma sono molto invidiosa...) vado a letto, sperando di sognare il mio principe azzurro o almeno un rospetto da baciare...:-)

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