I social network e in particolare Twitter, che ha fatto della sintesi la sua cifra espressiva (ma sarebbe forse meglio dire impositiva, già a partire dal nome), sono strapieni di testi brevi e incisivi, o almeno così vorrebbero quando la brevità non è certo in discussione; è fattuale direbbe Crozza in versione Feltri.
Io credo che le persone che si esprimono a questo modo abbiamo compreso la natura dell’epoca ancora prima del mezzo, basata su un'economia (di tempo, di attenzione) da rispettare se si vuole essere letti, a coincidere con un galateo che non potrebbe essere più antico: non fare agli altri quello che non vorresti essere fatto a te; ossia rompergli la palle con un profluvio di parole – stringi, condensa, taglia!
Esempi positivi potrei citarne a migliaia, mentre un esempio negativo – cosa non fare assolutamente! – sta in questo scritto, che già da diverse righe ha superato la soglia invisibile dopo cui le parole divengono moleste, e i lettori si perdono ognuno dentro i fatti i suoi; per ritrovarsi infine, un giorno, chissà, a bere del wiskey al Roxy Bar, a berlo a piccoli sorsi proprio come le star.
Canzone per canzone, dopo Vasco Rossi toccherebbe allora citare anche Masini: "perché lo fai?"
Beh, io scrivo a questo modo qui – lungo, diluito, esasperante e un po' naif – perché nella scrittura breve, specie quando vorrebbe insegnarti come si vive, educarti, avverto ogni volta un sotto testo: guarda come sono intelligente, tanto più intelligente quanto più le mie parole riescono ad acciambellarsi come un gatto; e ringrazia quelli come me, se possiedi una manciata di citazioni da sciorinare al primo appuntamento...
Un'eco che mi rimane in testa anche quando leggo quelli bravi e giustamente famosi; che so Chateaubriand, Montaigne, Cioran. Anziché innalzarmi nella conoscenza, farmi crescere (non dico per raggiungere la loro altezza) sembrano volermi rimpicciolire attraverso badilate di letame; e però in minuscole zolle con cui concimano la proverbiale oscillazione tra cultura e coltura, innaffiando il mio orto per mezzo di quegli spara merda che si intravedono in autunno tra Modena e Lodi, li scorgi a volte dal finestrino mentre guidi sull'A1. Non è forse un caso che il termine gnomico fa pensare a uno gnomo, ed è così che mi sento io: piccolo piccolo. E puzzolente.
Perdere tempo,
cazzeggiare e perfino smarrirsi un po', come quando si visita un mercatino delle
pulci, mi appare allora una disposizione più democratica alla comunicazione, in
cui il sotto testo gerarchico si trasforma a questo modo: ok, non so bene cosa
voglio dire, tanto intelligente non devo esserlo neppure io; ma se tu mi segui,
lettore, se facciamo un pezzo di strada assieme, magari troviamo qualche
briciola che gli intelligenti sintetici si sono lasciati sfuggire dalle tasche.
E si sa che tante
briciole, nascoste in tante parole non sempre utili, fanno un pane. Buon
appetito, per i pochissimi che sono arrivati fin qui.
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