sabato 31 ottobre 2020

La cultura, o sulla semina e la raccolta

Quando non scrive romanzi Baricco è bravissimo! Ricordo, ad esempio, un suo articolo di alcuni anni fa, in cui suggeriva che per sostenere la cultura (qualcosa che non sta nel mondo tra migliaia di altre cose, quali il filo interdentale o i doposci pelosi, ma che fa mondo), per la cultura non bisogna offrire prebende a teatro o festival o corporazioni più o meno engagé, ma agire su internet e televisione.

Dati statistici alla mano: ottanta italiani su cento non vanno a teatro neppure una volta all’anno, mentre il 60% non legge nulla, neanche la guida del telefono che non viene più inviata. Quanto ai musei, lasciamo andare, non vado a controllare perché sono già scoraggiato così…

In ogni caso, la cultura non rappresenta uno stagno in cui un’élite dagli squisiti gusti si rimira, e come in una vecchia canzone di Gaber può finalmente gioire: “quando leggo Hegel sono tutto compreso. Non per Hegel, naturalmente, ma per il mio fascino di studioso.”

In fondo è un riconoscimento, un complimento se aggiungiamo che il pubblico del teatro somiglia a un minimo orto umano dalle belle melanzane, i pomodori grassi e maturi, pronti per la raccolta. Una coltura già bella che coltivata. Diversamente, il nostro Paese, a fronte anche delle innumerevoli scemenze che possiamo leggere sui social network, urge di una nuova semina, di istruzione e non di contemplazione.

Pensiamo al recente grido di dolore pronunciato da Emma Dante, per la quale chiudere i teatri equivale a “dichiarare guerra alla cultura”. È un’iperbole enfatica e senza fondamento, una sciocchezza insomma (qualcuno spieghi alla Dante cosa sta succedendo negli ospedali), e però una ragione laterale, metonimica, gliela possiamo concedere: è almeno quarant’anni che abbiamo dichiarato guerra alla cultura, da quando in Rai non ci sono più autori come Umberto Eco, oppure il benemerito maestro Manzi.

Perché allora non ricorrere a forme concrete per incentivare la cultura, la cultura in senso antropologico e vissuto, la cultura che non chiede allo specchio ogni mattina: specchio specchio delle mie brame, chi è il più colto del reame?

Me ne vengono in mente un paio, ma il discorso è aperto. Intanto, maggiori fondi alla Rai per produrre programmi culturali; e che si lasci una buona volta la sottocultura alle reti commerciali. Quindi, alle stesse reti commerciali, sgravi fiscali per programmi con riconosciuto valore formativo. Contemporaneamente, si potrebbe finanziare quei canali su YouTube (penso a Barbasofia, dell’ottimo Matteo Saudino) in cui si cerca di fare, con mezzi poveri e di circostanza, della divulgazione culturale.

Per finire la scuola, scuola, scuola, questa parola dovremmo ripetercela come un mantra, e senza pregiudizi verso la didattica a distanza. Va benissimo anche il teatro, agevoliamo pure il settore, non sia mai detto che un Enrico IV abbia fatto male a qualcuno. Magari non durante la peggiore pandemia degli ultimi cento anni, ecco.


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